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    AD AUSCHWITZ NON SI MORIVA IN SILENZIO – IL LIBRO “AUSCHWITZ” DI FREDIANO SESSI SMENTISCE UN LUOGO COMUNE TROPPO DIFFUSO: LA DOCILITÀ CON CUI GLI EBREI ANDAVANO INCONTRO ALLA MORTE - LE RESISTENZE, DESTINATE AL FALLIMENTO, CI MOSTRANO QUANTO, ANCHE ALL'INTERNO DEL SISTEMA DI DISUMANIZZAZIONE, FOSSERO PRESENTI LA VOGLIA DI RIBELLIONE, DI LIBERTÀ E LO SPIRITO DI SOLIDARIETÀ…


     
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    Da "www.corriere.it"

     

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    Abbiamo bisogno, a ottant' anni di distanza dalla sua costruzione, di un libro che racconti che cosa è stato Auschwitz? Quel nome è diventato simbolo di uno degli eventi più tragici della storia, incarnazione della politica razzista del nazionalsocialismo e del tentativo - in gran parte riuscito - di distruzione degli ebrei d'Europa da esso perseguito. Eppure se si domandasse non solo a giovani studenti, ma anche a insegnanti e storici, di raccontare che cosa è stato, nella realtà, Auschwitz, riceveremmo probabilmente risposte approssimative.

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    Frediano Sessi ha dedicato gran parte della sua vita di storico a studiare la questione ed è riuscito a proporre, proprio nell'ottantesimo anniversario dell'apertura del lager nella cittadina polacca di Oswiecim (14 giugno 1940), il volume Auschwitz (Marsilio), una sintesi ampia ed esauriente che permette a chiunque di comprendere quanta storia ci sia dietro quel nome, quel simbolo, quel richiamo a una tragedia su cui si sono interrogati filosofi e teologi, politici e scienziati sociali, senza mai riuscire a penetrare - in modo convincente, coerente, completo - il dramma di quell'evento storico.

     

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    La forza del libro di Sessi risiede nella semplicità del racconto fattuale: come è stato costruito il lager, quando è stato deciso, con quali tappe, con quali finalità, come è stato ingrandito, come è stato utilizzato per propositi differenti, chi vi è stato rinchiuso, chi erano le vittime, come lavoravano, vivevano e morivano, chi erano i carnefici, quali compiti avevano, che organizzazione esisteva nel campo, che cosa si mangiava, come si veniva puniti, che informazioni si avevano sulla natura di quello che vi avveniva.

     

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    È incredibile rendersi conto che quando un evento storico è raccontato nella sua complessità - e lo si può fare con semplicità e con un linguaggio accessibile -, affrontandone ogni aspetto, l'interpretazione su cosa sia stato e abbia significato appare improvvisamente chiara ed evidente, senza bisogno di elucubrazioni teoriche che sono spesso la giustificazione di una scarsa conoscenza e cognizione della realtà. Ed è per questo che il libro di Sessi dovrebbe essere letto da tutti.

     

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    Man mano che il racconto procede, nella prima parte, sulla fondazione e struttura organizzativa del campo, sul personale, sulle unità amministrative, sulla vita quotidiana (cibo, vestiario, lavoro, malattie), si scopre una realtà complessa, che illumina aspetti poco noti (i medici detenuti, le visite della Croce Rossa, la sessualità) e che ci fa entrare con l'immaginazione nella «normalità» dell'universo concentrazionario. La seconda parte racconta invece lo sterminio, i luoghi e le forme dell'eliminazione, il personale delle SS e gli ultimi istanti di vita delle vittime, le tante e diverse categorie in cui esse sono divise, il destino delle donne e dei bambini.

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    Tra i tanti temi già noti agli specialisti, Sessi insegue con tenacia la realtà dei Sonderkommando , degli ebrei destinati al funzionamento delle camere a gas e dei forni crematori, per definire il cui ruolo Primo Levi parlò del «delitto più demoniaco» inventato dal nazismo. È grazie ad alcuni di loro che abbiamo le poche scarne fotografie che non siano quelle ufficiali scattate dai carnefici e la storia di quella controversa azione si conclude con il tentativo di ribellione che portò il 7 ottobre 1944 all'eliminazione della maggior parte di loro.

     

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    È proprio attraverso questa immersione nella vita quotidiana del lager che ci si rende conto di quanto sia falso un luogo comune che ha accompagnato da sempre la Shoah, e cioè la docilità con cui gli ebrei sarebbero andati incontro alla morte.

     

    Il capitolo sulle «resistenze», molteplici e differenziate, anche se spesso individuali o di piccoli gruppi, pur se quasi sempre destinate al fallimento, ci mostrano quanto, anche all'interno del sistema di disumanizzazione creato nei campi di sterminio, fossero sempre presenti la voglia di ribellione, di libertà e lo spirito di solidarietà, spesso dimenticato per ricordare l'egoismo della sopravvivenza di cui Primo Levi e gli altri grandi sopravvissuti ci hanno più volte drammaticamente raccontato.

     

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    Di grande utilità il capitolo su processi e sentenze, che ci permette di comprendere come mai solo negli anni Sessanta la Germania inizierà a fare i conti col suo passato genocidario. L'ultima parte, sulla memoria di Auschwitz, con l'aiuto dei contributi di Enrico Mottinelli, di Carlo Saletti, Claudio Gaetani e Fulvio Baraldi, completa il racconto parlandoci della musealizzazione, delle memorie delle vittime e dei carnefici, della rappresentazione che di Auschwitz ci hanno dato il cinema, la letteratura, la musica.

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