Gaia Piccardi per il "Corriere della Sera"
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E il quarto giorno di quarantena (i top players ad Adelaide, i peones a Melbourne), il tennis per l'Australia diventò un caso politico. È il premier dello Stato di Victoria in persona, Daniel Andrews, a rispondere con un secco no al cahier de doléance inoltrato dal n. 1 del mondo Novak Djokovic in soccorso ai 72 colleghi in quarantena stretta (allenamento vietato) dopo essere entrati in contatto con un caso Covid: tra le richieste ritenute sconcertanti, l'isolamento ridotto a fronte di un tampone negativo, il permesso di incontrare il coach, cibo migliore e il trasferimento in case private con campo da tennis.
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Inaccettabile per un Paese che, blindando i confini, dall'inizio della pandemia ha contenuto a 28.600 positività e 909 morti il bilancio e che tiene all'estero 40 mila cittadini, che torneranno a casa con il contagocce a causa della chiusura delle frontiere. Il governo non voleva l'Australian Open ma poi, per ragioni di business (l'obiettivo del primo Slam stagionale era centrare i 500 milioni di dollari di profitto ma con il distanziamento del pubblico quest' anno sarà impossibile), ha acconsentito a concedere il visto a giocatori e staff (un totale di 1.200 persone), alcuni dei quali hanno scambiato la serissima quarantena per una vacanza pagata al villaggio turistico che non è come te lo aveva raccontato il depliant dell'agenzia.
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Da giorni sui social piovono lamentele di ogni tipo: il cibo è scadente, il delivery di Uber arriva freddo (ogni tennista, quotidianamente, può mangiare a sbafo del torneo per un totale di 100 dollari), la finestra della stanza non si apre, il calendario degli allenamenti (per chi ne ha accesso) non viene rispettato, fino alla chicca di tale Vanessa Sierra, fidanzata di Bernard Tomic che gioca a Pokemon per 11 ore al giorno e ammette di essere indispettita dalle rigorose limitazioni: «Sono costretta a fare cose che non ho mai fatto in vita mia, come sciacquare i piatti nel lavandino della stanza e lavarmi i capelli da sola».
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Monta l'indignazione degli australiani di fronte a questa vasta platea di adulti mai cresciuti e viziati, che minacciano sottilmente di non partecipare a un torneo che non boicotteranno mai: chi perde al primo turno dell'Australian Open incassa 100 mila dollari su un montepremi di 80 milioni. Tanto vale andare in campo mortalmente annoiati dalle due settimane di quarantena e senza allenamento: il gioco vale la candela. Anche l'Atp è imbarazzata di fronte all'immagine che il tennis professionistico mondiale - con molte lodevoli silenziose eccezioni (tra esse Berrettini a Melbourne e Sinner ad Adelaide alla corte di Nadal) - sta dando di sé agli occhi del pianeta pandemico.
La richiesta, soprattutto al gruppo di top players che nel sud dell'Australia sta godendo di maggiori libertà - incluso Djokovic che si conferma leader debole e confuso -, è twittare meno e limitare le storie su Instagram per non alimentare la lotta di classe con i meno fortunati. Al tennis che prova a ripartire down under con enorme sforzo non servono divisioni, serve ritrovare un po' la faccia.
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