Emiliano Liuzzi per "Il Fatto Quotidiano"
La senatrice Josefa Idem non parla da mesi. Chiusa nel suo fortino ravennate, la pagaia appesa alla parete, le medaglie e il ministero nel cassetto dei ricordi. È arrivato tutto insieme: l'addio allo sport, il trionfo alle primarie del Pd, la nomina a ministro e le dimissioni forzate per una storia di Ici non pagata. Dalle larghe alle basse intese, nel senso di "sterco che le è piovuto addosso", come dice lei.
Senatrice Idem, rispetto a quello che accade in questi giorni lei si è dimessa per molto meno?
Io mi sono dimessa per niente. Ma non parlo del caso Cancellieri.
Poteva restarsene al suo posto,invece lei è uscita.
Non sarei potuta rimanere.
Perché?
Non ero più persona gradita.
Si riferisce a Enrico Letta?
Mi riferisco all'accerchiamento mediatico di cui sono stata vittima.
Colpa dei giornali, anche lei?
No, hanno contribuito. Inseguivano me e la mia famiglia per strada. Ogni tanto il fornaio del mio paese lo dice: come abbiamo guadagnato in quei giorni non era mai accaduto.
Letta lo ha più sentito?
Non ho più sentito nessuno.
Sono passati due mesi: lo rifarebbe lo sforzo di dimettersi?
Sì. Non avrei pagato quel prezzo. Non ero più gradita. Lo sapete cosa dicevano sui social network in quei giorni e non sto a raccontare quello che hanno dovuto subire i miei figli a scuola. Eppure io ci mettevo impegno. Ci credevo. Non era attaccamento alla poltrona.
Crederci non basta.
Intanto le persone si giudicano sul lavoro. Io giravo per sei giorni alla settimana, lontana dalla famiglia, dai figli. Credevo in quello che facevo e lo facevo bene.
Torniamo all'inizio: lei dice di essersi dimessa per niente. In realtà c'era un versamento dell'Ici che mancava.
Non è corretto nemmeno questo. Io avevo già iniziato a sanare una posizione dal 2011. C'era un accatastamento da ridefinire. Ma io dovevo di imposte 3.000 euro e me ne dovevano indietro 2.000. Mi sono dimessa per 1.000 euro.
È una posizione non creata da me, ma dal geometra che avevo incaricato. L'errore è stato il suo. Io pagavo l'Ici, una cifra inferiore, ma lo pagavo. Ero in buona fede, ma non mi è stato dato neppure il tempo di spiegare: sono stata condannata prima del tempo. Lo ripeto e lo dico: condannata per nulla. Per una posizione che è sanata.
Considera le sue dimissioni un sacrificio?
Le mie dimissioni sono state un sacrificio, certo. In nome delle larghe intese. Il governo in quei giorni era debole.
Se è per questo, sembra debole anche oggi.
Le larghe intese di per sé sono deboli. Ma io avevo un dovere preciso nei confronti della mia famiglia, nei confronti di chi mi aveva dato fiducia e nei confronti degli italiani. Se qualcuno pensa che non abbia capito si sbaglia.
Capito cosa?
Che per coloro che pagano le tasse fino all'ultimo centesimo, io che venivo fatta passare per un evasore fiscale sembrava grave. Ma non ho evaso proprio niente. Mai. I giornali continuano a scriverlo, ma è una loro fantasia.
Cos'è se non evasione?
Un errore commesso da un tecnico, non inquadrato nemmeno dalla legge nel reato di evasione. Un errore di una terza persona che avevo iniziato a sanare in tempi assolutamente non sospetti.
E la storia della palestra censita come abitazione?
E' un errore. Io pagavo, ma non sapevo come fosse censita. Sono state una serie di dimenticanze burocratiche. E non mie.
Torniamo a quel giorno: fu Letta a chiederle di lasciare?
Non ebbe il tempo, non so se lo avrebbe fatto: io mi presentai con una decisione presa.