GIULIA ZONCA per la Stampa
Jack Johnson Jim Jeffries
A incontro finito è iniziata la vera lotta e non è ancora archiviata, 110 anni dopo «Il combattimento del secolo», giriamo ancora intorno all'uguaglianza, ci facciamo ancora a pugni. Il secolo è cambiato però l'eredità di Jack Johnson, primo campione dei pesi massimi afroamericano, contro Jim Jeffries, noto come «La grande speranza bianca», non si è risolta.
Quattro luglio 1910: quando Johnson manda a tappeto il rivale la gente si riversa in strada. La cintura dei pesi massimi, quasi un simbolo di onnipotenza, non può andare a un nero. Non senza rivolte, non senza spaccare un Paese in due, non nel 1910. La ferita non è più così grave ma è tutt' altro che ricomposta e guardare quell'incontro è come spiare il cuore del razzismo, le parole che lo sostengono, i pregiudizi che lo tengono vivo.
Jack Johnson Jim Jeffries
Siamo negli Stati Uniti del presidente Taft a cui chiedono di arbitrare l'incontro più atteso. Lui saggiamente rifiuta la pagliacciata anche se volere l'uomo che governa la nazione a decidere del destino di bianchi e neri è una richiesta tanto assurda quanto maldestramente logica. I neri sono il 10,7 per cento della popolazione e ce ne sono ben pochi fra il pubblico.
Tutti bramano il ritorno del grande Jim che cinque anni prima si è ritirato imbattuto, che non ha mai sbagliato, che deve riconsegnare l'orgoglio alla sua razza. Per questo lo convincono a tornare e lo scrittore Jack London lo supplica di «togliere il sorriso dalla faccia di Johnson».
Jack Johnson Jim Jeffries
Se oggi «Via col vento» è sotto accusa, anche «Zanna bianca» e «Il richiamo della foresta» rischiano. Johnson è già campione in carica solo che è un titolo traballante: per evitare la consacrazione, la polizia è salita sul ring della sua precedente sfida prima che l'avversario cadesse giù e con lui le improbabili certezze di cui la maggioranza si nutriva in quegli anni. «Il combattimento del secolo» non è boxe, è propaganda: siamo prima di Louis contro Schmeling, prima di Frazier, di Foreman e di Ali, siamo in una terra contaminata dal settarismo e in un epoca in cui titolare «vince il negro» non è neppure scorretto.
Johnson lo sa e vuole che i suoi pugni stiano lì a difendere la comunità che rappresenta. Pure Jeffries è consapevole del ruolo, non stringe la mano all'avversario e non è disprezzo, è panico. Johnson è più giovane, più preparato, schiva veloce e sceglie colpi intelligenti.
Jeffries è pesante e lento, interpreta un pugilato di sola potenza, alla Carnera. Per reggere la pressione e la curiosità, invece di scegliere sparring partner che lo mettessero alla prova ha assoldato amici che sostenessero la parte. Non è preparato, il suo tempo migliore è passato ed è destinato alla catastrofe, una di quelle che restano.
Jack Johnson Jim Jeffries
È il primo incontro filmato e ci sarà la coda per vederlo, le botte per ritirarlo, si muoverà l'ex presidente Theodore Roosevelt per chiedere di abbassare i toni e censurare il film. Ora si discute sulla sua statua che sarà rimossa dall'entrata del Museo di storia naturale di New York per non dare falsi messaggi. Non è la sua figura che crea disagio, piuttosto la composizione del monumento in cui lui giganteggia sopra un africano e un indigeno. Nel film del 1910 il gigante è solo Johnson, c'è un'immagine in cui «La grande speranza bianca» gli scivola letteralmente addosso, crolla tirando giù ogni stereotipo.
È il quattro di luglio, il giorno in cui gli Usa rinascono di continuo. È anche presto per capire che cosa è successo, nessuno dei protagonisti trova quello che cerca, troppo coinvolti e tormentati. Johnson sarà accusato di aver portato al suicidio sua moglie, bianca come le due che verranno dopo.
Resterà campione altri 5 anni poi finirà senza un soldo, costretto a scappare per non essere arrestato. Morirà in un incidente d'auto a 68 anni, mai più gigante dopo quell'attimo di eternità. Jeffries tornerà alla sua fattoria senza più un nome, deriso e insultato, andrà in bancarotta nonostante la borsa faraonica per l'epoca: 101.000 mila dollari più bonus e diritti.
JACK LONDON
Si pentirà per sempre di aver ceduto alla tentazione del rientro e morirà solo e povero a 77 anni. La boxe non avrà un altro campione di colore fino a Joe Louis, nel 1937. L'America è sempre in strada anche se adesso i neri e i bianchi stanno dalla stessa parte e rifiutano di farsi definire dalla pelle, alzano i pugni invece di tirarli. In rivolta contro chi è fermo al combattimento del secolo che non finisce mai.
JACK LONDON