Captain Marvel di Anna Bodene e Ryan Fleck
Marco Giusti per Dagospia
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Diciamolo subito, il gatto rosso, Goose The Cat, interpretato da ben quattro gatti diversi, Archie, Reggie, Rizzo e Gonzo, è piaciuto a tutti. E magari non è solo un gatto. La bella Brie Larson, ragazzona che si è allenata ben nove mesi per la parte, come Carol Denver, cioè la versione al femminile di Captain Marvel, che all’origine era un maschio, pure.
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Ci mette un grande entusiasmo, una grande carica emotiva, anche se la vediamo ormai lontana da una carriera meno scontata e più acchiappa-Oscar come ai tempi di Room. Ma le hanno dato 5 milioni di dollari sull’unghia, e un futuro da supereroina, che poteva fare…
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Jude Law, Annette Bening e Ben Mendelsohn fanno il loro, Samuel L. Jackson ringiovanito con una parruccaccia in testa e senza la benda sull’occhio del suo personaggio, visto che siamo nel 1995, è un filo ridicolo. Ma nel complesso questo Captain Marvel, venticinquesima avventura della Marvel, la prima diretta dalla coppia Anna Boden e Ryan Fleck, che lo hanno scritto assieme a Geneva Robertson-Dworet, tutti provenienti dal mondo del Sundance e dalla cinefilia dei nerd quarantenni di oggi, cresciuti a Top Gun e a Blockbuster, è un ottimo avventuroso che mischia bene le carte che deve giocare.
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Cioè la rivitalizzazione al femminile di una storia Marvel, perfino il capo di Carol è diventato femmina, cioè Annette Bening, con scrittura in gran parte al femminile, la costruzione di una space war epocale, vedi la guerra tra i più evoluti Kree e gli Skrull, in grado di prendere le sembianze di chiunque, e l’avventura sulla terra, “ci sono stato, è un letamaio” dice un Kree, alla Terminator, cioè con un violento scontro tra alieni mediato dalla presenza di umani, come il Fury di Samuel L. Jackson, e dalla stessa Captain Marvel, che ci viene presentata come guerriera Kree, ma che sappiamo avere troppe visioni del passato per non aver nulla a che fare con la terra.
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Il mischione, insomma, anche se non produce nulla di davvero originale, funziona bene. E direi inoltre che è proprio la ritrovata umanità di Carol Denvers, che precipita sulla terra inseguita dal perfido Skrull Latos, Ben Mendelsohn, che in versione “umana” parla come Donald Rumsfeld, e in versione aliena con accento australiano, alle prese con la terra e i terrestri a far davvero funzionare il film.
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Perché la sua avventura viene trasportata nella Los Angeles del 1995, gli anni di P.J. Harvey e dei Nine Inch Nails, lei cade proprio dentro un negozio di Blockbuster che vnede vhs di The Right Stuff, e ogni volta che ci viene mostrato un vecchio computer con il dischetto che stenta a caricarsi il pubblico ride come ci parlassero di milioni di anni fa. Come in tutti i Terminator o i film di scontri alieni sul pianeta terra, funzionano al meglio le grandi scene su metro e sopraelevate, ce n’è una clamorosa con Carol che si mena con uno Skrull travestito da vecchietta, ma è notevole anche il gioco di scambi di identità di Latos, che è molto più divertente da alieno verdastro che da umano.
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Dedicato allo scomparso Stan Lee, che fa pure una apparizione, ci sembra che i registi abbiano non solo ben dosato gli elementi di avventura e di film di supereoi, ma anche l’aspetto vintage nostalgico dell’ambientazione, per catturare il pubblico più vecchio dei trenta-quarantenni, e l’ironia e l’umanità dei personaggi, sul modello de I guardiani della Galassia, che non a casa dovevano girare proprio Anna Boden e Ryan Fleck. Mi sembra, infine, il film più giusto per l’8 marzo. E, fidatevi, il gattone Goose, si chiama così per citare il gatto di Top Gun, ruba la scena a tutti. Ammesso che sia proprio un gatto. In sala dal 6 marzo.
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