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    IL CINEMA DEI GIUSTI - VI AVVISO SUBITO CHE “IL POTERE DEL CANE”, DI JANE CAMPION, NON PIACERÀ A TUTTI. MA VEDENDOLO, E VI AVVERTO CHE È UN FILM SORPRENDENTE, NON RIUSCIVO A NON RICONOSCERNE L’EVIDENTE SUPERIORITÀ TECNICA, DI MESSA IN SCENA E DI CONTROLLO ASSOLUTO DEGLI ATTORI E DEL QUADRO COMPLESSIVO. JANE CAMPION HA SEMPRE IL SUO FILM IN MANO. E DEVO DIRE CHE BENEDICT CUMBERBATCH, NELL’INTERPRETARE QUESTO MASCHIO ALFA IMPOSSIBILE, CHE PASSA LE SUE GIORNATE A TAGLIARE I TESTICOLI A 1500 POVERI VITELLI, È UNA MERAVIGLIA - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    il potere del cane il potere del cane

    Vi avviso subito che non piacerà a tutti. Esattamente come accadde a settembre a Venezia, dove pur vinse, e giustamente, il premio per la miglior regia. “Il potere del cane” di Jane Campion, il suo primo – diciamo - western, è un film duro e divisivo. Come è duro e divisivo da sempre tutto il suo cinema fortemente ideologico. Non piacque affatto ai critici italiani mentre lo hanno osannato i critici inglesi.

     

    jane campion, benedict cumberbatch, kirsten dunst a venezia jane campion, benedict cumberbatch, kirsten dunst a venezia

    Ma vedendolo, e vi avverto che è un film sorprendente, attenti agli spoiler, non riuscivo a non riconoscerne l’evidente superiorità tecnica, di messa in scena e di controllo assoluto degli attori e del quadro complessivo. Jane Campion ha sempre il suo film in mano. Come i grandi registi, come John Ford, lontanissimo padre-padrone maschio che sembrerebbe il più lontano in assoluto dal cinema della Campion e da questo film.

    benedict cumberbatch the power of the dog benedict cumberbatch the power of the dog

     

    Detto questo, notavo a Venezia, giocando sulla chiave western con cui la stessa Campion gioca  descrivendo il suo protagonista, chi non avrebbe voluto passare la notte tra i monti con Bronco Henry a mangiare fegato d’alce abbrustolito… Il defunto Bronco Henry, del quale sentiamo solo parlare, è il grande amore del complesso, ostile Phil.

    the power of the dog the power of the dog

     

    E devo dire che Benedict Cumberbatch, nell’interpretare questo maschio alfa impossibile, che ancora sogna Bronco Henry, che passa le sue giornate a tagliare i testicoli a 1500 poveri vitelli, che alterna i rudi modi da uomo del west a una laurea in letteratura classica a Yale, è una meraviglia.

     

     E lo ritroveremo probabilmente candidato all’Oscar. Come saranno candidati la Campion e il suo “Il potere del cane”, melo western con scivolamento gaio, tratto da un romanzo del 1967 di Thomas Savage, primo film originale Netflix neozelandese, ambientato in un Montana anni ’20 che presumo sia Nuova Zelanda.

     

    benedict cumberbatch the power of the dog benedict cumberbatch the power of the dog

    Attorno al contraddittorio personaggio di Phil Burbank, allevatore che non si lava e dorme con i pantaloni di pelle di bufalo, che risente un po’ del vecchio modello sirkiano del Robert Stack dell’indimenticabile “Come le foglie al vento”, ruotano tutti gli altri personaggi. Il fratello buono e cicciotello George Boy, Jesse Plemens, costantemente ridicolizzato da Phil, che cerca di vivere in maniera civile la sua vita nel ranch, sua moglie appena sposata Rose, una sofferente Kirsten Dunst, vedova di un medico suicida, già pianista nelle sale cinematografiche, suo figlio Peter, il Kodi Smit-McPhee già ragazzino prodigio di “The Road”, qui in un ruolo di sissy preso di mira dalla comunità dei maschi.

     

    kirsten dunst the power of the dog kirsten dunst the power of the dog

    Tutto ruota attorno alla sessualità e alle contraddizioni di Phil, che alterna citazioni latine e francesi, parla di “amour” e conserva gelosamente la sella di Bronco Henry, e questo porterà Rose a dedicarsi alla bottiglia, George a scomparire, fino a quando qualcosa scatterà tra Peter e Phil.

     

    the power of the dog the power of the dog

    Film difficile, sontuoso ma un po’ lento nella costruzione narrativa, ci sono dei veri e propri capitoli che dettano il ritmo e ognuno di loro ha un finale quasi da film muto. Nella vita di ogni grande regista, disse Orson Welles a Giulio Questi, c’è un western. Anche per Jane Campion. Grande regista, è vero, ma forse limitata qui da una sorta di vendetta idelogica contro ogni potere maschile. E canino. Molto bello e forte comunque, con musiche memorabili di Johnny Greenwood e fotografia di grade fascino di Ari Wegner che cerca di inventarsi un nuovo modello per il western. E Benedict Cumberbacht meraviglioso in un ruolo difficilissimo. Irriconoscibile, ahimé, Keith Carradine nel ruolo del Governatore Edwards. In sala. E dal 1 dicembre anche su Netflix.

    jane campion jane campion

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