R.Po. per il “Corriere della Sera”
manley marchionne
Un crollo. Il -5% che appare all' improvviso sui monitor, e in fretta diventa -10%, e poi il prezzo che non si riesce più a fare, e infine il pesantissimo conto della chiusura. Meno 15,5%. Quasi quattro miliardi di capitalizzazione bruciati in una manciata di ore.
La morte di Sergio Marchionne non c' entra: Fiat Chrysler senza di lui sarà un' altra cosa, ed è ancora un' incognita, ma nei pochi, drammatici giorni in cui si era persa ogni speranza un po' di tempo per metabolizzare la Borsa l' ha avuto.
marchionne elkann
E infatti ieri mattina, quando da Zurigo arriva la notizia della scomparsa, in Piazza Affari le quotazioni di Fca sostanzialmente non si muovono. Piatte avevano aperto, piatte rimangono. Continua a essere Ferrari, il titolo che soffre di più : se perde un altro po', e in quel momento è giù dell' 1,66%, è perché Maranello sarebbe dovuta essere il prossimo regno dell' uomo definito «un visionario e un grande leader» da Tim Cook (che se ne intende, avendo lavorato fianco a fianco con Steve Jobs). I piani per il futuro della «Rossa» era Marchionne, che li stava disegnando. Una successione, là, non era mai stata messa in conto.
manley
Ma in Fiat Chrysler no. Non erano settimane, erano anni che ci si ragionava. E alla scelta, forzatamente accelerata, di Mike Manley come successore i mercati - Piazza Affari come Wall Street - non avevano reagito così male: «L' uomo giusto per la continuità industriale», l' avevano definito gli analisti, anche se «dovrà dimostrare di essere anche un buon negoziatore». Si riferivano al tema Grande Alleanza, e il timore era (resta) uno: che possa rimanere lontana, o che possa diminuire l' interesse speculativo sul titolo.
Anche per questo era attesa la conference call di ieri, prima occasione per Manley di presentarsi ai mercati e dare un'idea di come sarà la sua guida. L'aspettativa per i conti trimestrali era alta, ovviamente, ma forse non altrettanto. Invece quando, come sempre a un'ora dalla call, Fca comunica i dati, gli analisti scoprono più ombre che luci.
marchionne elkann
Sì, i debiti sono spariti, e anzi in cassa c'è mezzo miliardo di attivo. Però, su ricavi per 29 miliardi (+4%), i profitti industriali scendono a 1,6 miliardi (-11% rispetto ada aprile-giugno 2017), l'utile netto a 754 milioni (-35%), l' utile netto adjusted a 981 (-9%).
Sul semestre i dati sono migliori, ma non cambiano l'effetto che il «trimestre duro» - come lo definisce Manley e come prima della malattia aveva preannunciato lo stesso Marchionne - ha sulle previsioni di risultato a fine anno. Il nuovo amministratore delegato abbassa le stime («Sergio era consapevole che si sarebbe dovuto fare», dice in conference call): nel 2018 i ricavi non saliranno più a 125 miliardi ma si fermeranno a 115-118, i profitti operativi saranno tra i 7,5 e gli 8 miliardi anziché avvicinare quota 8,7, la liquidità netta sarà di tre miliardi e non di quattro.
MARCHIONNE RENZI ELKANN
Poi sì, certo, l'utile netto è confermato: cinque miliardi si era detto, cinque miliardi saranno. Non basta, però, a tranquillizzare i mercati. Gli operatori pensano al piano industriale presentato appena due mesi fa da Marchionne, e che lo stesso Manley ha in buona parte contribuito a scrivere visto il ruolo centrale di Jeep. Si chiedono se anche là gli obiettivi non siano già da ritoccare. No, assicura l' amministratore delegato in conference call: «Io e il mio team siamo totalmente focalizzati sulla realizzazione del piano quinquennale, il mio mandato è portarlo a termine con successo».
E dunque, mentre spiega che una delle carte da giocare sarà quell'espansione in Cina fin qui solo inseguita («È la sfida più grande che ci aspetta, e sarà molto importante il riposizionamento Jeep»), «confermiamo tutti i target al 2022, sono fattibili e ragionevoli». Per quanto ritoccati al ribasso, anche i numeri previsti per fine 2018 sono - aggiunge - «comunque buoni». Vero. Ma la Borsa si aspettava altro.