Estratto dell’articolo di Simonetta Sciandivasci per “la Stampa”
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[…] nel corso di un conflitto si muore moltissimo e si nasce pochissimo. Il calo demografico si registra durante e dopo, anche molto dopo, tanto nei Paesi in cui si combatte, quanto altrove, nel mondo intorno. «Le guerre stanno indebolendo la propensione ad avere figli: tutti i rapporti che abbiamo lo dicono. E questo riguarda i giovani italiani, spagnoli, tedeschi: la visione positiva del futuro, già molto provata, viene ulteriormente minata, e condiziona le decisioni più impegnative e responsabilizzanti, come è quella di costruire una famiglia», dice a La Stampa Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia all'Università Cattolica di Milano.
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[…] Sarà sempre più difficile assistere a un "babyboom" come quello italiano degli anni Sessanta, quando l'euforia della ripresa dalla Seconda guerra mondiale incrementò le nascite: all'epoca, sul mettere al mondo un bambino non gravavano le incertezze strutturali del nostro tempo e, soprattutto, la voglia di creare una famiglia era robusta, indiscussa, nella maggior parte dei casi indiscutibile.
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«In guerra si nasce pochissimo. Non ci sono le condizioni per formare una famiglia, gli uomini sono al fronte e si vive una condizione di disagio perenne che affievolisce e spegne la sessualità. Ma il punto più rilevante è quello che succede dopo: in passato, dopo un grande trauma, di solito, si assisteva a una ripresa rapida e molto vivida: i matrimoni e le unioni riprendevano, così come le nascite. Oggi è molto diverso: formare una famiglia non è più scontato e, anzi, è una scelta molto debole, riflettuta, indagata.
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E il rischio è quindi che, dopo le ferite della guerra, anziché ripartire di slancio, i Paesi che l'hanno subita si ritrovino a fronteggiare un andamento demografico indebolito, e in sofferenza cronica. L'Ucraina era già un paese con una natalità molto bassa e con molti flussi migratori in uscita: è molto probabile che la guerra abbia accelerato ulteriormente tanto l'uscita di popolazione quanto il declino della natalità. In sostanza, le condizioni che in passato consentivano di recuperare un declino demografico dopo una guerra, oggi si ripropongono assai più faticosamente[…]».
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Gaza può fare eccezione, visto quanto è giovane la sua popolazione?
«A Gaza la natalità è particolarmente elevata: è una forte dimostrazione identitaria. Nel fare figli la comunità trova il mezzo migliore di esprimere il desiderio di venire riconosciuta e, naturalmente, di esistere.
La guerra è andata a incidere su questa popolazione che ha una base demografica ampia, difficilmente riscontrabile altrove, anche in Medio Oriente, e che però adesso viene fortemente colpita, ma gli effetti futuri dipenderanno dal modo in cui si deciderà di risolvere la crisi attuale».
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A pesare sulle fragilità persistenti che un conflitto crea rispetto alla demografia, sono di più gli aspetti economici o quelli psicologici?
«[…] I ragazzi di tutto il mondo si sentono minacciati da quello che succede a Gaza: per tutti si tratta dell'ennesimo segnale di futuro fosco, insicuro, insondabile. Le nostre società sono abitate da chi considera prioritario fare figli e, quindi, non bada alle difficoltà oggettive, e li fa comunque.
Non sono pochi, però, quelli che a fare figli sono poco interessati e, pertanto, li farebbero solo in presenza di condizioni oggettivamente adeguate».
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Quali sono queste condizioni?
«La sicurezza economica e la garanzia di un benessere inteso nel senso più ampio, su vasta scala: di un tenore di vita che renda possibile la felicità.
Se ci confrontiamo con Paesi come Francia e Svezia, la sensibilità rispetto al cambiamento climatico pesa su tutti e riduce la natalità.
In Italia, dove ci sono condizioni oggettivamente peggiori per fare una famiglia, quella sensibilità ha un peso maggiore. La fecondità è bassa tanto in Italia quanto in Francia, ma in Italia è dell'1,2 figli per donna, in Francia dell'1,8. Quella differenza è legata a condizioni oggettive e carenza di politiche pubbliche adeguate».
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Perché gli immigrati che arrivano in Italia smettono di fare figli?
«Perché si scontrano con le stesse difficoltà che hanno le donne e le famiglie italiane: la vita è molto più complessa, accedere ai servizi non è scontato e non si può far affidamento alla propria rete familiare. Poi, cambiano gli orientamenti di valori. Nonostante questo, la fecondità delle italiane è 1,2: quella delle straniere di 1,9». […]
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