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    IL NON-COMING OUT DI PAOLA EGONU: ''LA MIA FIDANZATA MI HA CONSOLATA DOPO LA SCONFITTA IN GIAPPONE''. MA LO RACCONTA SENZA ANNUNCI O PROCLAMI. DUE ANNI FA A CHI LE CHIEDEVA SE AVEVA UN FIDANZATO, RISPONDEVA SOLO ''NO''. ORA PARLA DELLA COMPAGNA MA COME ANEDDOTO DEL DOPO-PARTITA IN CUI HA SFIORATO L'ORO MONDIALE - SULL'OSSESSIONE DI TRASFORMARLA IN UN SIMBOLO PERCHÉ NERA E ITALIANA: ''VIVIAMO IN UN MONDO PIENO DI STEREOTIPI, CHE NON T’INSEGNA A VIVERE LA TUA VITA E TI EDUCA AD AVERE RIMPIANTI. IO NON NE HO PERCHÉ NON M'IMPORTA DELL'OPINIONE DEGLI ALTRI''


     
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    Candida Morvillo per il ''Corriere della Sera''

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    Paola Egonu, che cosa ha fatto subito dopo l’argento in Giappone?

    «Sono tornata in albergo e ho chiamato la mia fidanzata. Piangevo e lei mi ha consolata, mi ha detto che le sconfitte fanno male, ma sono lezioni che vanno imparate. E che ci avrei sofferto, però, poi, sarei stata meglio».

     

    Lei ha una fidanzata?

    «Sì».

    Lo dice con grande semplicità.

    «Infatti. Lo trovo normale».

    E quindi, ha chiamato la sua fidanzata e, mentre l’Italia impazziva per lei e le altre Azzurre del volley, per un podio mai più raggiunto dopo il 2002, e per le pallavoliste multietniche, lei non era contenta neanche un po’?

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    «No. Stavo male. Potevamo fare meglio».

     

    Siamo a bordo campo, nel Pala Igor Gorgonzola. Le pallavoliste dell’Igor Volley Novara stanno uscendo alla spicciolata dopo l’allenamento. Paola si è seduta serrando le braccia, 23 minuti e l’aspetta il fisioterapista. Dice: «Vedrà che do risposte così brevi che ci metteremo anche meno». La sensazione, se ce l’hai di fronte, solo sulle prime ispida come un istrice, è che avere 19 anni e diventare di colpo il simbolo di un Paese significa imparare in un giorno che, se sei un campione, tutti proiettano su di te quel che gli pare e vedono solo quello che già credono di sapere.

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    E quindi, che con 324 punti, massima realizzatrice di questi mondiali, «Miglior opposto del mondo», pelle nera ma eroina delle Azzurre, stai portando «un messaggio». Quello di una Nazionale che travolge, e soprattutto è multietnica, come se solo ora un Paese si fosse accorto che, insieme, si va lontano.

     

    La sensazione è che non le va d’incarnare qualcosa di così grande. Che abbia a noia le mille volte in cui è stato sottolineato che i genitori vengono dalla Nigeria, che il nonno rimasto giù ha da ridire sui calzoncini corti e che Matteo Salvini dedica la vittoria a tutti, «bianchi o neri che siano». Le dici che la chiamano «pantera azzurra» e rotea gli occhi all’insù. Non sa. Non le importa e lo fa capire senza un «bah», ma solo con gli occhi e con la postura serrata.

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    Quando si è accorta dell’affetto dei tifosi?

    «In aeroporto, atterrati in Italia».

    Vi hanno chiamate «ragazze terribili». Lei, un po’, si sente terribile?

    «Mi sento terribile nell’impatto, che può sembrare molto scontroso. Dopo, quando riesco ad aprirmi, non sono così terribile».

    Che cosa ha reso grandi voi azzurre?

    «Crederci. Dopo il primo allenamento, io che avevo tantissime aspettative non vedevo quello che volevo. Poi, ci abbiamo creduto e siamo cresciute».

     

    Vuole diventare la più forte del mondo?

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    «Vediamo».

    Come iniziò a giocare a pallavolo?

    «Finivo i compiti presto, mi mettevo sul divano. Papà disse: prova uno sport. Ho visto che la pallavolo mi divertiva, ne ho fatto un’opportunità».

    Il sacrificio più grande?

    «Lasciare casa. Avevo 13 anni. Lasciavo mamma, papà, fratello, sorella, le amiche, le sicurezze, tutto».

     

    Il presidente Sergio Mattarella ha detto che il Paese dovrebbe prendere esempio da voi azzurre del volley. In che cosa, secondo lei?

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    «Nella voglia di far bene anche in situazioni scomode e sempre mantenendo il rispetto degli altri».

    L’Italia si è innamorata della multietnicità della squadra, che effetto le ha fatto?

    «Mi stupisce questa reazione. Siamo italiane. Per me, avere origini diverse è normale».

    Su Instagram, ha messo la frase di Nelson Mandela che dice «nessuno nasce odiando un’altra persona per il colore della sua pelle...». Perché l’ha scelta?

    «Perché è la realtà. Il bimbo non s’accorge del colore che ha finché, a scuola, una maestra dice che è nero o giallo».

     

    E lei ha incontrato una maestra così?

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    «Ho vissuto alcuni episodi di razzismo. È normale, ma non dovrebbe esserlo».

    Su Instagram, ha scritto anche: «Il duro lavoro ti porta lontano, ma per fare la differenza serve qualcosa di più potente». Che cosa?

    «Qualcosa che viene da dentro. È come quando smetti di fare una cosa per stupire qualcuno, ma la fai per te e, allora, diventi tutt’uno con quello che fai».

    Ha postato frasi da una canzone di Jessie J contro gli stereotipi di bellezza, quella che fa «amo il mio corpo, amo la mia pelle». Lei è femminista?

    «Sono temi che riguardano un mondo pieno di stereotipi, che non t’insegna a vivere la tua vita e ti educa ad avere rimpianti».

     

    Lei ha rimpianti?

    «No, perché non m’importa l’opinione degli altri».

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    Cos’è l’amore per lei?

    «Non lo so. Lo sto scoprendo ora, forse. Penso che l’amore sia in tutto. La telefonata di un amico, le compagne di squadra che si interessano a te e tu a loro. Nasciamo con l’amore, perché nasciamo con nostra madre che ci riempie di baci e ci coccola e vorrebbe che fossimo protetti per tutta la vita. Solo che non sempre è così. Adesso però, almeno per ora, lo è».

     

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