Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
DONALD TRUMP A RIAD
«Un discorso importantissimo quello di Donald Trump a Riad. Per lui, che cerca di convincere gli americani e il suo elettorato che è uno statista credibile, nonostante tutti gli scandali che lo indeboliscono. Ma soprattutto per la casa regnante saudita, che oggi più che mai ha bisogno del sostegno del vecchio alleato americano per rilegittimarsi di fronte ai propri cittadini».
Così Gilles Kepel commenta a caldo le immagini che arrivano da Riad. Il celebre politologo francese conosce bene l'Arabia Saudita, dove da tempo collabora con vari istituti di ricerca. Ieri sera gli abbiamo parlato per telefono mentre era appena arrivato a Parigi dopo dodici giorni trascorsi a Washington per una serie di incontri ad alto livello alla Casa Bianca e presso il Dipartimento di Stato. I toni più forti del discorso riguardano la lotta al terrorismo.
DONALD TRUMP A RIAD
Sono efficaci?
«Certo e ci riguardano tutti nel mondo occidentale. Noi europei siamo in prima linea, abbiamo bisogno della piena collaborazione dei governi arabi per battere l'estremismo jihadista anche a casa nostra. Però in questo momento è proprio il giovane principe Mohammed bin Salman, ministro della Difesa e nominato erede del padre alla guida del regno, che ha più che mai bisogno degli americani».
In che senso?
«Il Paese vive una sfida esistenziale. Deve rinnovarsi, emanciparsi dalla tradizionale struttura economica basata sul petrolio. I nuovi sistemi di estrazione derivati dal fracking abbassano inesorabilmente il prezzo del greggio e i sauditi devono cambiare il loro welfare state.
DONALD TRUMP A RIAD
E hanno un problema ancora più grave. Sino ad ora la corrente di pensiero che legittimava il potere era fondata sull'antica ideologia wahabita, sull'estremismo islamico religioso, che nelle sue forme più fondamentaliste conduce ad Al Qaeda e all' Isis. Il principe Salman ha scelto di modernizzare il Paese, vuole emanciparlo da wahabiti e salafiti, insomma dal clero conservatore islamico.
E per fare ciò, per rilegittimarsi nella laicità moderna, necessita di successi economici alternativi. Deve dimostrare ai suoi cittadini che con lui il Paese può cambiare e allo stesso tempo restare in piedi. Un compito immenso, che necessita della piena collaborazione americana».
trump e mohammed bin salman
Trump sceglie il mondo sunnita, di cui i sauditi vorrebbero essere i portavoce: è una mossa contro l'Iran sciita?
«Per il momento sì. Ed è interessante che questo avvenga proprio mentre a Teheran le elezioni sono vinte dai moderati interessati al dialogo con l'Occidente. Per l'amministrazione Trump, accusata di collusioni indebite con la Russia di Putin alleata con l'Iran in Siria, è anche un modo per dimostrare che invece persegue politiche alternative a quelle di Mosca.
Tuttavia, non mancano le incognite, tra cui quella di rafforzare le ali estremiste del clero iraniano. Così avvenne dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Allora Bush, nel suo celebre discorso sull'asse del male associò l'Iran ai Paesi terroristi, indebolendo il moderato Khatami e rafforzando l'estremista Ahmadinejad, che poi lo sostituì alla presidenza nel 2005. Così Trump oggi potrebbe indebolire Rouhani».
Dunque? Qual è l'essenza dell'atteggiamento americano nei confronti dell'Iran?
selfie con mercedes presidenziali
«L'ho appena appurato nei miei incontri a Washington: gli americani sono convinti che l'economia iraniana sia agli sgoccioli. Secondo loro, il Paese sarebbe sull'orlo della rivolta. Un quarto della popolazione è disoccupato. Cresce la rabbia per i miliardi spesi dal regime in Siria e Iraq a scapito del benessere interno. Così non possono reggere, non possono proseguire a finanziare in questo modo il regime di Assad e le milizie sciite loro alleate in Iraq».
Salman bin Abdul Aziz bin Salman Al Saud
Ma Trump è pronto a rompere con l'Iran, a pregiudicare l' accordo contro la proliferazione nucleare negoziato da Obama?
«No, non lo penso. Trump non vuole andare tanto lontano. Più semplicemente crede che possa sfruttare a suo vantaggio l' estrema debolezza economica iraniana. Pensa che posti sotto pressione, anche molto dura, alla fine gli iraniani saranno disposti a ritrattare le loro politiche regionali. Il fine è quello di ridurre l' espansionismo iraniano così come cresciuto dal tempo dell' invasione Usa dell' Iraq nel 2003».