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    GLI ISRAELIANI NON SI SENTONO PROTETTI DA NETANYAHU - AUMENTANO LE RICHIESTE DI PORTO D’ARMI DA PARTE DEI CITTADINI DELLO STATO EBRAICO, CON OLTRE 290MILA DOMANDE DA DOPO LA STRAGE DEL 7 OTTOBRE: “UNA VOLTA CI SENTIVAMO SICURI, PUR ESSENDO CIRCONDATI DA NEMICI, PENSAVAMO CHE IL NOSTRO ESERCITO CI AVREBBE PROTETTO. ORA NON È PIU’ COSI" – AUMENTANO I TIMORI PER POSSIBILI ATTACCHI DI HEZBOLLAH DAL LIBANO. LA RABBIA NEI CONFRONTI DI NETANYAHU PER LO STALLO NEL RILASCIO DEGLI OSTAGGI IN MANO AD HAMAS…


     
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    Estratto dell’articolo di Fabio Tonacci per “la Repubblica”

     

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    […] A shabbat appena finito, i ristoranti attorno al mercato storico di Tel Aviv si stanno popolando. La serata è tiepida. Il fucile d’assalto appeso alla sedia di una donna che ha portato a cena i figli piccoli è scena abituale, nella città dove si passeggia con gli infradito e l’M16 a tracolla.  […] Sembra tutto come prima. Ma niente è davvero come prima. «Una volta ci sentivamo sicuri nel nostro Stato, pur essendo circondati da nemici», dice Yael, 39 anni, la mamma col fucile. «Vivevamo nella convinzione che l’esercito ci avrebbe protetto. Il 7 ottobre non lo abbiamo visto arrivare, ha infuso in noi tutti il senso di insicurezza».

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    A quanto pare, sono convinti che pistole e fucili siano un buon antidoto alla paura: centomila le nuove licenze di porto d’armi rilasciate dopo l’attacco di Hamas, a fronte di 299 mila domande pervenute. Si sono formate 900 ronde cittadine armate, 12.500 volontari hanno seguito un breve addestramento della polizia. Parlando, discutendo, talvolta litigando al Café Noir si apprende un fatto inoppugnabile: c’è un Israele prima del 7 ottobre e c’è un Israele dopo il 7 ottobre. Due paesi che non si somigliano molto.

     

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    […] «Hezbollah ci attaccherà dal Libano», è la convinzione generale, irrobustita da altri nove razzi piovuti sul Nord nelle ultime ore. «Anche l’Iran ci colpirà, forse non direttamente». Nella mente di ogni israeliano sono impressi due numeri, 1.200 e 133. Aiutano a capire lo stato d’animo di un’intera nazione. Il primo indica le vittime del massacro dei kibbutz, quando l’odio di Hamas è esondato dalla Striscia: era esattamente sei mesi fa, un sabato.

     

    «Equivale a un decimo di una giornata ordinaria ad Auschwitz, dove nelle camere a gas morivano in diecimila ogni 24 ore». Il secondo numero segnala gli ostaggi tuttora nelle mani dei miliziani. Erano 134 fino a venerdì, prima che venisse rivelata la morte di Elad Katzir trovato cadavere a Khan Yunis. Milleduecento e centotrentatré, cifre che ancora questa sera spingono centomila persone in piazza per urlare a Netanyahu la sua colpa: non aver protetto gli ebrei e non aver salvato i sequestrati. Vogliono elezioni anticipate, ora le chiede anche Benny Gantz.

     

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    Le brutalità dell’esercito a Gaza, che rischiano di isolare Israele a livello internazionale, non sono però all’ordine del giorno della protesta. «Per la prima volta non mi interessa cosa il mondo pensa di noi», ragiona chi, reggendo un manifesto con la faccia di Bibi sovrapposta a quella del narcotrafficante Escobar, si dichiara di sinistra. «È in gioco la nostra esistenza». […]

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