AMERICA FATTA A MAGLIE – QUANTE VOLTE L’ABBIAMO SCRITTO SU QUESTO DISGRAZIATO SITO? L’INTERA INDAGINE DENOMINATA RUSSIAGATE ERA BASATA SUL NULLA – I MEDIA MAINSTREAM AMERICANI E ITALIANI OGNI GIORNO TITOLAVANO CHE TRUMP AVEVA I GIORNI CONTATI. PER LORO LA COLLUSIONE NON ERA UN’ACCUSA DA DIMOSTRARE MA UNA CERTEZZA
DAGONOTA
MATT TAIBBI
Trump aveva pagato il silenzio di una pornostar. È questa l’unica certezza che esce dalla mega inchiesta denominata “Russiagate” che, come abbiamo detto su questo disgraziato sito fin dall’inizio con Maria Giovanna Maglie, si è dimostrata essere una gigantesca bolla, gonfiata ad arte dall’intero sistema mediatico americano, che da subito aveva respinto il puzzone arancione e sperava in San Mueller, il procuratore speciale mandato dal cielo che li avrebbe liberati dal cattivo presidente venduto al nemico, riportando l’ordine naturale delle cose.
Peccato che, come spiega alla perfezione Matt Taibbi in questo estratto del suo libro “Hate inc.”, tutta la vicenda fosse chiara fin dall’inizio. “Non c’è mai stata un’area grigia. O Trump è un agente venduto al nemico, o non lo è. E se non lo è, i media ancora una volta hanno messo in atto una gigantesca campagna di disinformazione, un errore molto, molto più grande di qualsiasi altro fatto nel passato, compresa la grande truffa delle armi di distruzione di massa”.
DAGONEWS
Abbiamo tradotto e “arrangiato” gli estratti Da “Hate inc”, libro di Matt Taibbi, editor di ‘Rolling Stone’, di cui l’autore ha pubblicato in anteprima una parte su https://taibbi.substack.com/ all’indomani della consegna del Rapporto Mueller. All’interno dell’articolo originale, che vi consigliamo di leggere dall’inizio alla fine, ci sono i link a ogni singola citazione riportata.
HATE INC
Nessuno vorrebbe sentirselo dire, ma la notizia che il procuratore speciale Robert Mueller se ne torna a casa senza un’accusa seria è il colpo di grazia alla reputazione del sistema dei media americani. Come si vociferava da tempo, l’indagine indipendente dell’ex capo dell’FBI si è conclusa senza l’incriminazione per cospirazione, che avrebbe potuto compromettere la presidenza, né niente che possa definirsi tecnicamente “collusione con la Russia”.
Con la premessa che persino questa notizia possa in qualche modo essere rigirata e strumentalizzata, il dettaglio chiave in molti articoli sulla fine dell’indagine è stato espresso al meglio dal New York Times:
Un alto funzionario del dipartimento di giustizia ha detto che Mueller non avrebbe proposto nuove incriminazioni. (A senior Justice Department official said that Mr. Mueller would not recommend new indictments)
Il ministro della giustizia americano William Barr ha inviato una lettera al congresso sintetizzando le conclusioni di Mueller, citando direttamente il report del procuratore speciale: “L’indagine non ha riscontrato che i membri della campagna di Trump abbiano cospirato o si siano coordinati con il governo russo nelle sue attività di interferenza nelle elezioni.”
Durante il fine settimana, il Times ha provato ad ammorbidire la batosta per i milioni di americani che in questi anni erano stati addestrati a sperare che Mueller abbattesse la presidenza Trump. Come nella stragrande maggioranza della copertura sui media, era quasi nulla la pretesa che l’indagine fosse una missione di ricerca dei fatti neutrale, sembrava più un’allegoria religiosa, con Mueller nel ruolo dell’eroe inviato per uccidere il mostro.
mueller russiagate
Il procuratore speciale è letteralmente diventato una figura religiosa negli ultimi anni, si vendevano perfino candele votive con la sua immagine, e il cast del Saturday Night Live intonava e gli dedicava “All I Want for Christmas is You” con la rima: “Mueller please come through, because the only option is a coup” (“Mueller, ti prego, pensaci tu, perché l’unica opzione è un colpo di stato”)
Gli articoli del Times ancora oggi provano a preservare la reputazione di “Santa Mueller”, notando come la reazione del ministro della giustizia Barr sia una specie di “endorsement” all’accuratezza del lavoro di Mueller:
In un apparente endorsement di un'indagine che Trump ha inesorabilmente attaccato come una "caccia alle streghe", Barr ha detto che i funzionari del Dipartimento di Giustizia non sono mai dovuti intervenire per impedire a Mueller di compiere un passo inopportuno o ingiustificato.
In alter parole, Mueller non avrebbe mai oltrepassato i confini dati dal suo incarico. Ma si può dire lo stesso dei giornali e dei media americani?
Per chi freme nel mantenere vivo il sogno, il Times ha pubblicato la sua solita grafica dei “contatti” tra Trump e la Russia, invitando i lettori a fare i propri collegamenti. Ma in un pezzo separato di Peter Baker, il giornale ha osservato che la conclusione delle indagini porta con sé gravi conseguenze per la stampa:
russiagate Comey
Sarà una resa dei conti per il presidente Trump, certo, ma anche per Robert S. Mueller III, lo “special counsel”, per il Congresso, per i democratici, per i repubblicani, per i mezzi di informazione e, sì, per il sistema nel suo insieme ...
Lo stesso Times si auto-incrimina in prima pagina. Nonostante le infografiche “collega-i-puntini” nell’altro articolo, e nonostante un ulteriore, sorprendente editoriale carico di sentimento che suggeriva che “non abbiamo bisogno di leggere il report” perché tanto sappiamo che Trump è colpevole, Baker almeno ha cominciato a preparare i lettori a una domanda: “Non è che i giornalisti hanno messo insieme troppi pezzi che non combaciano?”
Il giornale stava dicendo al mondo che aveva capito: adesso ci si porranno molte domande sul fatto che gli stessi media abbiano fatto errori galattici scommettendo fortemente e senza alternativa in un nuovo e politicizzato approccio, in cui provano a essere fedeli al “giudizio della storia”, oltre al già abbastanza difficile lavoro di essere veritieri. Peggio ancora, con una brutale ironia che tutti avrebbero dovuto vedere arrivare, la stampa ha consegnato a Trump la madre di tutte le questioni elettorali in vista delle elezioni del 2020.
il new yorker su jeff sessions e sergey kislyak
Nessuna delle cose di cui Trump sarà accusato d’ora in poi sarà creduta da enormi settori della popolazione, un gruppo che (forse anche grazie a questa storia) adesso è più grande dei suoi originali sostenitori. Come nota lo stesso Baker, il 50,3% degli intervistati in un sondaggio condotto questo mese dice di essere d’accordo con Trump sul fatto che il Russiagate sia una caccia alle streghe.
Negli ultimi mesi sono usciti molti articoli che paventavano un finale “deludente” per il Rapporto Mueller, come se un presidente che non è una spia straniera potesse in qualche modo essere una cattiva notizia.
Usare apertamente questo linguaggio è sempre stato l’equivalente di un’incriminazione. Quanto bisogna essere ciechi per non rendersi conto che ti fa sembrare in malafede, quando le notizie non corrispondono alle aspettative del pubblico che tu stesso hai sollevato. Non esserne consapevoli è incredibile, è l'equivalente giornalistico di andarsene in giro, a spasso, senza pantaloni.
Ci saranno persone che protesteranno: il rapporto di Mueller non prova nulla! Che dire delle 37 incriminazioni? Delle condanne? Delle rivelazioni sulla Trump Tower? Le bugie! L'incontro con Don, Jr.? Le questioni finanziarie! C'è l’indagine del gran giurì in corso e possibili indagini ancora segrete, e poi c’è la commissione d’inchiesta della Camera che...
il new yorker su jeff sessions e sergey kislyak con titolo sospettoso
Smettetela. Smettetela. Qualunque giornalista che si butta in questa direzione sta solo peggiorando le cose.
Per anni, qualsiasi commentatore e politico democratico a Washington si è eccitato su ogni nuovo titolo di giornale sulla Russia come se fosse l’irruzione al Watergate. Oggi, perfino Nancy Pelosi ha detto che l’impeachment non è possibile, a meno che non si scopra qualcosa così “convincente e schiacciante e bipartisan” contro Trump che valga la pena di essere perseguito nonostante gli evidenti ostacoli politici.
La cosa più grossa che questa storia ha scoperchiato, fin qui, è che Donald Trump ha pagato una pornostar. Che è dannatamente lontano da quello che si pensava ci fosse all’inizio, e ogni reporter che finge non sia così deve solo vergognarsi.
Fin dall’inizio ci hanno raccontato che c’era di mezzo lo spionaggio: che c’era un contatto segreto tra lo staff di Trump e alcuni loschi personaggi russi che lo avevano aiutato a vincere le elezioni. La narrativa dell’alto tradimento non è mai stata riportata come metafora. Non era tipo “a Trump piacciono i russi così tanto, potrebbe essere una loro spia”. Si parlava letteralmente di alto tradimento, di crimini, di manipolazione delle elezioni, al punto che un ex dipendente dell’Nsa, John Schindler, disse ai giornalisti che Trump sarebbe “morto in galera”.
donald trump
Nei primi mesi dello “scandalo”, il New York Times sosteneva che gli emissari della campagna di Trump avevano avuto “contatti ripetuti” con l’intelligence russa; il Wall Street Journal ci raccontava che i nostri agenti segreti stavano tenendo nascoste informazioni al presidente nel timore che fosse compromesso; uscivano retroscena sui capi dei servizi avevano detto ad altri paesi come Israele di non condividere la loro intelligence con noi, perché i russi potevano avere “strumenti di pressione” su Trump.
La Cnn ci ha raccontato che alcuni funzionari del presidente erano in “contatto costante” con “russi noti all’intelligence americana” e che l’ex direttore della CIA, che aveva aiutato a far decollare tutto l’impianto che avrebbe portato all’indagine di Mueller, aveva detto che il presidente era colpevole di “alti crimini e reati”, avendo commesso “atti quantomeno sovversivi”.
Nel frattempo Hillary Clinton insisteva nel dire che i russi “non avrebbero potuto sapere come trasformare in armi” annunci e pubblicità politiche se non fossero stati “guidati” da americani. A chi le chiedeva se si riferiva a Trump, disse: “È abbastanza difficile non farlo”. Allo stesso modo Harry Reid disse che “non aveva dubbi” che la campagna di Trump fosse “in combutta” coi russi per aiutarli nelle fughe di informazioni dal Partito Democratico.
I FILONI DEL RUSSIAGATE
Niente di tutto questo è stato ritrattato. Per essere chiari, se Trump fosse stato ricattato da agenzie russe come l’FSB o il Gru, se avesse avuto qualsiasi tipo di relazione con l’intelligence russa, sarebbe un crimine ben oltre lo standard “schiacciante e bipartisan”, e Nancy Pelosi starebbe lanciando missili per un impeachment immediato.
La questione è che non c'è mai stata una vera area grigia. O Trump è un agente straniero compromesso, o non lo è. E se non lo è, i media hanno ancora una volta inghiottito una gigantesca campagna di disinformazione, solo che questo errore è molto, molto più stupido di quelli fatti nel passato recente, inclusa la grande truffa delle armi di distruzione di massa. Reporter onesti come Terry Moran dell'ABC lo hanno capito: Mueller che torna a mani vuote sulla collusione significa una “resa dei conti per il sistema dei media”.
Naturalmente, questa resa dei conti non ci sarà (non c’è mai). Ma ci dovrebbe essere. Perseguendo così questa storia abbiamo infranto ogni regola scritta e non scritta, a partire dal divieto di diffondere informazioni e riportare cose che non possiamo confermare.
Il Russiagate ha fatto il suo debutto nelle notizie a metà dell’estate 2016. Ma le radici di questa storia, cioè quando sono cominciate le indagini, risalgono almeno all’anno precedente. Curiosamente, il punto di inizio non è ancora stato fissato, e il pubblico degli stati a maggioranza democratica non sembra neppure essere così interessato a farlo.
Tra giugno e luglio 2016, pezzettini del dossier compilato dall’ex spia britannica Christopher Steele, finanziato dal Comitato Nazionale Democratico attraverso lo studio legale Perkins Coie (che a sua volta ingaggiò una società che si occupa di raccogliere informazioni sugli avversari politici, la Fusion GPS), erano già nell’etere.
mueller russiagate 1
Il rapport Steele occupa nel Russiagate lo stesso ruolo che le trame tessute da Ahmed Chalabi occupavano nel gran casino sulle armi di distruzione di massa. Ancora una volta, una narrazione diventa sovralimentata quando “funzionari con un movente” acchiappano la stampa per il naso e la conducono in una palude di affermazioni private non confermabili.
Alcune tra le prime storie, come un pezzo di Franklin Foer su Slate (del 4 luglio 2016) intitolato “il burattino di Putin”, avevano già illustrato i temi del futuro rapporto Steele in forma circostanziale. Ma l’effettivo dossier, che pure ha influenzato alcuni articoli sui contatti pre elettorali tra Trump e la Russia (in particolare uno di Michael Isikoff su Yahoo!) per un po’ non fu dato alle stampe.
Sebbene fosse stato spedito ad almeno nove mezzi di informazione durante l'estate e l'autunno del 2016, nessuno lo pubblicò, per un’ottima ragione: cioè che le sue rivelazioni non si potevano verificare.
proteste anti trump pro mueller
Se fossero state vere, le accuse di Steele sarebbero state esplosive. L’ex spia sosteneva che all’assistente di Trump Carter Page erano state offerte delle quote del gigante petrolifero russo Rosneft, a patto che avesse contribuito a far revocare le sanzioni contro la Russia. Steele sosteneva pure che l’avvocato di Trump, Michael Cohen, era andato a Praga per “discussioni segrete con rappresentanti, operatori e hacker associati al Cremlino”.
Com’è noto, nel rapporto si sostiene anche che il Cremlino aveva “kompromat” (materiale compromettente) su Trump che “aveva violato” il letto usato usato da Barack e Michelle Obama nel loro viaggio ufficiale a Mosca ingaggiando “prostitute che gli facessero una ‘golden shower”” proprio lì sopra. Questa era una storia troppo gustosa per non essere pubblicata. Doveva uscire, con le buone o con le cattive.
proteste anti trump pro mueller
Il primo colpo sparato è stato quello di David Corn di Mother Jones il 31 ottobre del 2016: “Una spia di lungo corso ha dato all’Fbi informazioni che sostengono ci sia un’operazione russa per lavorarsi Donald Trump”. Nel pezzo non si parlava di urina, né di Praga né di Page, ma si diceva che l’intelligence di Mosca aveva materiale con cui ricattare Trump. Deontologicamente era un pezzo pubblicabile, perché Corn non stava trascrivendo le accuse vere e proprie, ma diceva soltanto che l’Fbi ne era in possesso.
C’era bisogno di un pretesto più serio per far sì che uscissero gli altri dettagli. E questa occasione arriva subito dopo l’elezione, quando 4 funzionari dell’intelligence portarono le copie del dossier al Presidente eletto Trump e a quello uscente Obama. Dai suoi appunti, sappiamo come il direttore dell'FBI James Comey, preoccupato evidentemente per il benessere di Trump, abbia detto al nuovo presidente che lo stava solo avvertendo di ciò che era là fuori, come possibile materiale di ricatto:
Non stavo dicendo che [il rapporto di Steele] era vero, volevo solo che lui sapesse sia che ne avevano scritto i giornali sia che quel rapporto era finito in molte mani. Gli ho detto che i media come la CNN lo possedevano e che cercavano solo un gancio per pubblicare le notizie. Gli ho detto che era importante non dare loro la scusa per scrivere che l'FBI avesse il materiale o [OMISSIS] e che ce lo stavamo tenendo molto stretto.
proteste anti trump pro mueller
Il generoso avvertimento di Comey a Trump sul non fornire un “gancio per le notizie”, insieme con la promessa cha sarebbe stato mantenuto tutto “molto stretto”, ebbe luogo il 6 gennaio 2017. Nel giro di quattro giorni, praticamente l’intero sistema dei media di Washington sapeva ogni dettaglio di questo meeting e aveva avuto il gancio che aspettava per rendere tutto pubblico. Nessuno, all’interno della stampa mainstream, pensò che questo fosse strano o necessitasse una riflessione.
Lo stesso Donald Trump fu probabilmente abbastanza intelligente da annusare l’aria quando, di tutte le testate, fu la CNN che per prima riportò la notizia di alcuni “documenti secretati presentati la scorsa settimana a Trump”. Era il 10 gennaio.
trump mueller
Proprio in quei giorni, Buzzfeed prese la storica decisione di pubblicare l’intero dossier Steele, riversando anni di pipì nelle nostre vite. Fu questa decisione a dare il via al fenomeno Russiagate come fattore onnipresente e senza fine, minuto dopo minuto, nel flusso delle notizie americane.
Comey aveva ragione. Non avremmo potuto riportare questa storia senza un “gancio”. E infatti le notizie su Steele tecnicamente non erano sulle accuse in sé, ma piuttosto sul percorso che avevano fatto quelle accuse, da un gruppo di mani ufficiali a un altro. La consegna del report a Trump aveva creato il pretesto perfetto.
Questo trucco era stato usato già in precedenza, sia a Washington che a Wall Street, per rendere pubbliche alcune ricerche private non confermate. Poniamo il caso che un venditore allo scoperto assuma una società di consulenza per preparare un report su una compagnia contro cui ha scommesso. Quando il documento è completo, l’investitore prova a farlo entrare in possesso della SEC o dell’FBI. Se ci riesce, esce la notizia che la società è “sotto indagine”, il titolo crolla, e tutti vincono.
trump mueller
Lo stesso trucco si usa in politica. Una traiettoria simile è alla base dei titoli negativi sullo scandalo relativo al senatore democratico del New Jersey Bob Menendez, che si diceva essere sotto indagine dell’FBI per reati sessuali su minori (anche se alcuni erano scettici). La storia iniziale non stava in piedi, ma portò ad altre indagini.
Lo stesso è avvenuto con il cosiddetto “progetto Arkansas”, con i milioni di dollari di ricerche private (filo-repubblicane) che produssero abbastanza rumore sullo scandalo Whitewater da creare anni di titoli sui Clinton. Un altro esempio fu la campagna Swiftboating per lanciare fango sul passato militare di John Kerry. Le “oppo research”, le indagini private sugli avversari politici, non sono di per sé cattive. In realtà hanno portato ad alcuni scoop incredibili, tra cui il caso Enron. Ma i reporter di solito sono scettici quando ricevono questo tipo di informazioni, e cercano di capire che interessi abbia chi le ha commissionate.
ROBERT MUELLER JAMES COMEY
Oggi, dopo la fine dell’inchiesta Mueller, la sequenza degli eventi in quella seconda settimana del gennaio 2017 dovrà essere profondamente riesaminata. Adesso sappiamo, dalla sua stessa testimonianza, che l’ex direttore della National Intelligence James Clapper ha avuto un qualche ruolo nell’aiutare la CNN a preparare la sua cronaca degli eventi, presumibilmente confermando parte della storia, forse tramite un intermediario o due (c’è qualche incertezza su chi esattamente fu contattato, e quando).
Perché dei veri funzionari di sicurezza dovrebbero far filtrare una questione così seria attraverso i media? Perché le agenzie investigative più potenti del mondo si comportano come se stessero provando a spostare un titolo in borsa, dando in pasto ai giornali un documento privato e non verificato che, come persino BuzzFeed aveva ammesso, conteneva varie inesattezze fattuali? Non aveva senso allora, ne ha ancora meno adesso.
Nel gennaio del 2017, la pila di accuse di Steele divenne pubblica e fu letta da milioni di persone. “Non solo non è confermato”, ammise Buzzfeed, “ma include alcuni chiari errori”. La decisione del sito ha fatto saltare ogni standard giornalistico contro la pubblicazione consapevole di materiali di cui si dubita la veridicità. Anche se esperti di etica dei media si meravigliarono, la cosa non sembrava infastidire il grosso dei reporter. Il direttore di Buzzfeed, Ben Smith, ancora oggi è orgoglioso della sua decisione. E penso che questo sia dovuto al fatto che molti giornalisti pensavano che il report Steele fosse vero.
ROBERT MUELLER
Quando io lo lessi, fui scioccato. Ho pensato che fosse un romanzo di suspense di quarta fila (e io ne so qualcosa visto che scrivo romanzi di suspense di quarta fila). Inoltre, sembrava modificato e corretto sia per incontrare il gusto del grande pubblico, sia per soddisfare i clienti di Steele al Comitato Nazionale Democratico (DNC).
Steele parlava di russi in possesso di un file di "informazioni compromettenti" su Hillary Clinton, solo che incredibilmente questo file non conteneva "dettagli e prove di comportamenti non ortodossi o imbarazzanti" o di "condotta imbarazzante".
Cioè noi avremmo dovuto credere che i russi, dopo decenni di ricerche, avessero in mano solo una cartellina vuota su Hillary Clinton. Per non parlare di quella prima pagina di tabloid ambulante anche conosciuto come Bill Clinton?
christopher steele
Questa precisazione [che sulla Clinton non c’era niente di sporco] appariva più volte nel rapporto, come se fosse enfatizzata a beneficio di chi l’avrebbe letto.
C’erano altre parti curiose, come quella sui russi che avevano “talpe” all’interno del DNC, oltre ad alcuni dettagli linguistici che mi facevano mettere in dubbio la nazionalità dell'autore del rapporto.
Eppure, chissà? Magari era vero. Ma anche una lettura totalmente superficiale metteva in risalto dei problemi fondamentali del rapporto, che necessitava di molte conferme. Questo ha reso ancora più sorprendente che Adam Schiff, il deputato più alto in grado della Commissione Intelligence della Camera, il 20 marzo 2017 abbia tenuto udienze in cui leggeva senza tante premure ad alta voce gli estratti della relazione Steele come se fossero fatti reali. Dalle considerazioni preliminari di Schiff:
GLI ESTRATTI DEL DOCUMENTO SU TRUMP E LE PIOGGE DORATE A MOSCA
Secondo Christopher Steele, un ex ufficiale dell'intelligence britannica che stando alle informazioni disponibili è tenuto in grande considerazione dall'intelligence statunitense, fonti russe lo hanno informato che Page ha avuto anche un incontro segreto con Igor Sechin (SEH-CHIN), CEO del gigante russo Rosneft ... A Page vengono offerte commissioni di intermediazione da parte di Sechin su un accordo che riguardava una quota del 19% della società.
Mentre osservavo tutto questo ero sbalordito. È prassi che i membri del Congresso, così come i giornalisti, si sforzino di verificare almeno i discorsi preparati, prima di renderli pubblici. E invece qui avevamo Schiff che diceva al mondo che all’assistente di Trump Carter Page erano state offerte enormi commissioni su una partecipazione del 19% in Rosneft - una società con una capitalizzazione di 63 miliardi di dollari - durante un incontro segreto con un un oligarca russo che sarebbe stato anche un “agente del KGB e un amico intimo di Putin”
GLI ESTRATTI DEL DOCUMENTO SU TRUMP E LE PIOGGE DORATE A MOSCA
(Schiff intendeva “agente dell’FSB”. L’incapacità dei “#Russiagaters” di ricordarsi che la Russia non è l’Unione Sovietica fa infuriare sempre di più man mano che passa il tempo. Donna Brazile ancora non ha cancellato il suo tweet in cui afferma che “i comunisti ora ci stanno imponendo i termini del dibattito”).
Il discorso di Schiff ha sollevato non poche domande. Non dobbiamo più preoccuparci di preparare un’accusa solida e suffragata se il soggetto è legato al Russiagate? E se Page non avesse fatto nessuna di queste cose? Finora non è stato accusato di niente. Un membro del Congresso non dovrebbe preoccuparsi di questo?
Qualche settimana dopo quell’udienza, Steele testimoniò nell’ambito di una causa fatta nel Regno Unito da una delle compagnie russe menzionate nei suoi dossier. In una memoria scritta depositata in giudizio, Steele affermò che le sue informazioni erano “grezze” e che “dovevano essere analizzate e verificate/indagate più a fondo”. Scrisse anche che (almeno per quanto riguardava quel caso) non aveva redatto il report “con l’intenzione che fosse letto dal grande pubblico”.
donald trump putin sex
Si tratta di una dichiarazione quantomeno curiosa, dato che sappiamo che Steele ha parlato con molti giornalisti nell’autunno del 2016. Ciò detto, questa era la sua strategia difensiva. La notizia delle dichiarazioni di Steele alla corte britannica non ha avuto molto spazio negli Stati Uniti, fatta eccezione per alcuni stralci in giornali conservatori come il The Washington Times.
Ho contattato l’ufficio di Schiff per chiedere se il deputato sapesse che Steele aveva ammesso che il suo report aveva bisogno di essere verificato, e se questo aveva cambiato in qualche modo il suo punto di vista. La risposta (l’enfasi è mia):
TRUMP PUTIN
Il dossier compilato dall'ex agente dei servizi segreti britannico Christopher Steele, che è stato divulgato pubblicamente diversi mesi fa, contiene informazioni che potrebbero essere pertinenti alla nostra indagine. Questo è vero indipendentemente dal fatto che fosse destinato o meno alla divulgazione pubblica. Di conseguenza, la Commissione spera di parlare con il Sig. Steele affinché ci aiuti a confermare o confutare ciascuna delle accuse contenute nel dossier.
Quindi Schiff non aveva parlato con Steele prima dell’udienza, e aveva letto ad alta voce le accuse sapendo che non erano suffragate da prove.
GLI ESTRATTI DEL DOCUMENTO SU TRUMP E LE PIOGGE DORATE A MOSCA
Il dossier Steele è la Magna Carta del Russiagate. Ha fornito il contesto implicito per migliaia di articoli a venire, eppure nessun giornalista era in grado di confermare le sue accuse più scandalose: il piano che andava avanti da cinque anni con l’obiettivo di “lavorarsi” Trump, i ricatti, la tangente da Sechin, il viaggio a Praga, la scappatella a base di pipì, eccetera. In termini metaforici, non eravamo in grado di ricreare i risultati di Steele in laboratorio. Il non aver saputo fare i conti con questo elemento chiave ha reso la narrazione marcia sin dall’inizio.
Per anni, ogni indizio che indicava la veridicità del dossier è diventato un titolo a tutta pagina, mentre ogni volta che venivano gettati dubbi sulle rivelazioni di Steele la stampa taceva. Il giornalista del Washington Post Greg Miller aveva messo su una squadra che lavorava nella ricerca di prove che Cohen fosse stato a Praga. I reporter, ha detto, “hanno letteralmente passato settimane e mesi nel tentativo di mettere nero su bianco” la storia di Cohen. "Li abbiamo mandati in tutti gli hotel di Praga, dappertutto, solo per cercare di capire se fosse mai stato lì," disse, "e siamo tornati a mani vuote."
piccolo trump putin
Questo è giornalismo da testa o croce, ma nel senso di: “testa, vinco io; croce, perdi tu”. Se la squadra avesse trovato il nome di Cohen nel registro di un albergo, sarebbe finito in prima pagina sul Post. Il contrario, invece, non ha meritato nemmeno una menzione nel giornale di Miller, che ha parlato di questa storia soltanto durante una la presentazione del suo nuovo libro trasmessa dal canale dei lavori parlamentari C-SPAN. Solo The Daily Caller e alcuni blog conservatori ne hanno poi parlato.
Lo stesso è successo quando Bob Woodward ha detto “Non ho trovato [spionaggio o collusioni]... eppure eccome se ho cercato, ho cercato in lungo e in largo”. Il celebratissimo “ravanatore di scandali” del Watergate - che una volta disse di aver ceduto al "groupthink’’, il condizionamento del suo circolino, nel caso delle armi di distruzione di massa aggiungendo: "Do la colpa a me stesso per non aver spinto più forte [alla ricerca della verità]" - neanche in questo caso deve aver spinto molto forte.
La notizia che aveva provato a trovare la “collusion” ma non ci era riuscito non è stata data neppure dal suo stesso giornale. Venne fuori, anche in questo caso, soltanto durante la promozione del suo libro “Fear”, in una discussione con il presentatore conservatore Hugh Hewitt.
donald trump vladimir putin
Quando Michael Cohen testimoniò davanti al Congresso negando sotto giuramento di essere mai stato a Praga, è successo lo stesso. Poche testate si sono preoccupate di quanto questa dichiarazione avrebbe influito su quello che avevano scritto fino ad allora. Un uomo sull’orlo di un patteggiamento mentirebbe al Congresso in diretta tv nazionale su una tema come questo?
Uscì un pezzo della CNN, ma il resto degli articoli erano tutti sui media conservatori – la National Review, Fox, The Daily Caller. La risposta del Washington Post fu un editoriale indignato su “Come i media conservatori hanno minimizzato la testimonianza di Michael Cohen”.
Probabilmente però il peggior episodio di tutti riguarda il giornalista di Yahoo! Micheal Isikoff. Era già stato protagonista di una storia strana: il “double-dipping”, il “doppio-intingolo” dell’FBI che chiese un mandato FISA [le FISA court sono tribunali segreti specializzati in questioni di spionaggio e sicurezza nazionale attraverso udienze a porte chiuse e di cui non esiste traccia fino a conclusione delle indagini, per non comprometterle, ndDago] per sorvegliare segretamente Carter Page, il potenziale genio del male che avrebbe dovuto negoziare un accordo con l'oligarca Sechin.
james clapper
Nella richiesta FISA, l’FBI includeva sia il non confermato rapporto Steele, sia l’articolo di Isikoff pubblicato su Yahoo! il 23 settembre 2016, “Funzionari dell’intelligence statunitense indagano sui legami tra un assistente di Trump e il Cremlino”. L’articolo di Isikoff, che sosteneva che Page si era incontrato con “funzionari di alto grado sottoposti a sanzioni”, si basava su Steele come fonte anonima.
E’ simile alla tecnica di riciclaggio usata nell’ambito delle notizie sulle armi di distruzione di massa, chiamato “stove-piping” (in italiano potremmo tradurlo con “ribollita”, ndDago). Cioè agenti dell’intelligence che usano articoli di stampa per "confermare" davanti a un giudice le informazioni che loro stessi hanno fornito ai giornalisti, così da ottenere un mandato per investigare a fondo qualcuno.
OBAMA CON JAMES CLAPPER
Ma di questo “ricicciare” nessun giornale ne ha parlato, salvo quelli conservatori e il Washington Post, ma solo un articolo che aveva l’obiettivo di sminuire la questione. (Ogni notizia che mette in dubbio l’ipotesi accusatoria della collusione sembra scatenare un “fact-checking” istantaneo al Post.) Il Post insisteva sul fatto che la questione del mandato FISA non era così seria, tra le altre cose, perché Steele non costituiva una delle "fondamenta" del pezzo di Isikoff.
Isikoff è con tutta probabilità il giornalista che conosce meglio Steele. Lui e Corn di Mother Jones, che pure ha avuto a che fare con l’ex spia, hanno scritto un best seller basato sulle teorie di Steele, “Russian Roulette”, che includeva pure una riflessione sull’episodio della pipì. Tuttavia a fine 2018 Isikoff improvvisamente ha detto che alla fine il rapporto Steele si sarebbe rivelato “perlopiù falso”.
DONALD TRUMP JAMES COMEY
Ancora una volta, questa dichiarazione è emersa solo durante un podcast, “Free Speech Broadcasting” di John Ziegler. Qui c’è una trascrizione di una parte rilevante.
Isikoff: Quando si entra nei dettagli del dossier Steele, le accuse specifiche, sapete, non abbiamo visto delle prove a sostegno. E in effetti ci sono buone basi per pensare che alcune delle accuse più sensazionali non saranno mai provate e sono ampiamente false.
Ziegler: Questo è...
Isikoff: Penso si tratti al massimo di un chiaroscuro, a questo punto, anche se le cose potrebbero cambiare, Mueller potrebbe ancora produrre prove che cambiano questa previsione. Ma basandoci su quanto è di pubblico dominio fin qui devo dire che la maggior parte delle accuse specifiche non sono state confermate.
Ziegler: È interessante sentirti dire questo, Micheal, perché, come sono certo saprai, il tuo libro è stato di fatto usato per avvalorare il “pee tape” (il nastro della pipì), o come vogliamo chiamarlo.
buzzfeed gatti
Isikoff: Sì, Penso di aver trovato prova di un evento che potrebbe aver ispirato il “pee tape” ed è stata la visita che Trump ha fatto con un certo numero di personaggi che in seguito sono stati a Mosca, parlo in particolare di Emin Agalarov e Rob Goldstone, in una discoteca zozzona di Las Vegas dove uno degli spettacoli che veniva messo in scena più spesso era lo sketch "Hot For Teacher", in cui ballerine travestite da studentesse del campus urinavano - o fingevano di urinare - sul loro professore. Il che mi colpì come una strana coincidenza. Credo che, sai, non è implausibile che l'evento possa aver ispirato ...
Ziegler: Una leggenda metropolitana?
Isikoff: ...accuse che erano apparse nel rapporto Steele.
buzzfeed intervista obama
Isikoff ha raccontato questa storia con tono ridanciano. Senza interruzioni è passato a ciò che lui chiama il “vero punto”, cioè “l’ironia che Steele potrebbe avere ragione, ma non era il Cremlino che aveva materiale sessuale compromettente su Donald Trump, bensì il National Enquirer”.
Ricapitolando: il giornalista che ha introdotto Steele al mondo (il suo articolo del 23 settembre 2016 è stato il primo a riferirsi a lui come una fonte), che aveva scritto un libro che come lui stesso sostiene “ha convalidato” la “pee tape story”, improvvisamente torna sui suoi passi e dice che l’intera situazione potrebbe essere ispirata da uno spettacolino a Las Vegas. Eppure tutto questo non importa, perché Stormy Daniels, eccetera eccetera.
Un’altra storia di questo tipo è la causa intentata da Webzilla e la sua casa madre XBT contro Steele e Buzzfeed, che avevano menzionato la loro azienda in uno dei promemoria. Nella testimonianza venne fuori che Steele aveva raccolto informazioni su XBT / Webzilla da un post 2009 sulla pagina "iReports" della CNN. Alla domanda se l’ex spia avesse capito che questi post provenivano da utenti casuali e non da giornalisti della CNN con fonti verificate e verificabili, Steele rispose "No".
DONALD TRUMP CONTRO LA CNN
Questo dettaglio abbastanza comico ci ricorda quando il secondo dossier dell’Mi6 britannico, pubblicato poco prima dell'invasione irachena, era stato in parte copiato dalla tesi di una studentessa tredicenne della California State University, e non da parte di persone dei servizi, ma da funzionari di medio livello in forze all’ufficio stampa di Tony Blair.
C’erano così tanti profili in cui Steele veniva rappresentato come un esperto di spionaggio “straordinariamente diligente” come se fosse uscito direttamente da Le Carré: era regolarmente descritto come un tritacarne di stampo Lecarreiano, simile per aspetto e modi al leggendario George Smiley. Era un uomo nell’ombra la cui intensità romanzesca veniva smentita dal suo modo di fare “medio”, “neutrale”, “tranquillo”, che sembrava più sobrio di quello di Smiley. Uno penserebbe che il nuovo “Smiley” che si mette a fare copia-e-incolla da testi apocrifi come la matricola di un college statale avrebbe meritato qualche approfondimento. Ma la storia a malapena fece notizia.
la cnn ammette di aver toppato lo scoop su trump e russiagate e lo cancella dal sito
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