Paolo Salom per il “Corriere della Sera”
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Ha vinto due premi letterari - per l' equivalente di 80 mila euro - ma non ha potuto ritirarli personalmente: perché è confinato dietro le recinzioni di un campo di detenzione. Da sei anni.
Behrouz Boochani, 35 anni, iraniano di etnia curda, non è un prigioniero politico. Ma per lui è difficile apprezzare la differenza: si trova sull' isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, a oltre mille chilometri dalla costa dell' Australia, e le sue speranze di essere accolto, come richiedente asilo, dal governo di Canberra sono prossime allo zero.
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Un migrante clandestino: ecco cos' è Behrouz Boochani. Voleva raggiungere l' Australia, terra immensa popolata da 25 milioni di cittadini tutti (a parte gli aborigeni) immigrati loro stessi o discendenti di immigrati.
Boochani ha un talento: sa scrivere. E bene. Non solo, racconta il britannico Guardian , è anche un uomo capace di non perdersi d' animo. Così, non avendo un computer nella sua baracca sull' Isola di Manus, ha composto il suo romanzo autobiografico (titolo: «No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison», Nessun amico se non le montagne: racconto dalla prigione di Manus), un messaggino alla volta, grazie a WhatsApp. Destinatario, il suo traduttore (dal farsi all' inglese) che ha poi messo tutto insieme in un libro giudicato degno del Premio Victorian per la saggistica e dell' analogo premio per la letteratura.
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«Non so che pensare - ha raccontato al Guardian lo stesso rifugiato-autore -. Davvero mi pare di vivere un paradosso». Altro che paradosso: lo stesso Paese che lo ha respinto e rinchiuso in un campo (attivo grazie ai finanziamenti australiani) alla fine lo premia con una somma importante per la sua opera «trafugata» digitalmente in Australia, dove lui non è mai riuscito a mettere piede. Il Paese ha regole ferree riguardo l' immigrazione.
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I clandestini, la maggior parte dei quali tentano la traversata dall' arcipelago indonesiano, vengono bloccati dalla guardia costiera e spediti nel centro di detenzione a Manus o a Nauru. Canberra, con decisioni bipartisan, ha introdotto nel 2001 questa politica, inaugurando prima la «Pacific Solution» e, poi, la «Operation Sovereign Borders».
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Sono migliaia i boat people finiti nei centri di detenzione, denunciati dalle organizzazioni umanitarie come «prigioni a cielo aperto». Pochissimi tra loro, dopo anni di attesa in condizioni precarie, ottengono asilo.
La maggior parte dei rifugiati, che hanno alle spalle viaggi improbabili da Iran, Afghanistan e altri Paesi dell' Asia, restano, proprio come Boochani, indefinitamente in un contesto di abusi e scarsa assistenza che spinge molti a tentare il suicidio o a chiedere di rientrare in patria. Eppure tra loro ci sono gemme come il giovane curdo iraniano, vero poeta dell' anima.
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