VIDEO - MILENA GABANELLI: ''DATAROOM'' DEL ''CORRIERE'' SUI CENTRI PER L'IMPIEGO
CENTRI PER L' IMPIEGO: PERCHÉ NON FUNZIONANO
Milena Gabanelli e Rita Querzè per “il Corriere della Sera”
Il reddito di cittadinanza erogherà fino a 780 euro al mese a chi non ha lavoro, e le offerte transiteranno dai centri per l' impiego presso i quali tutti gli aventi diritto devono registrarsi. La manovra vale 7,1 miliardi l' anno. L' efficienza di questi centri è dunque cruciale, per scongiurare il rischio che l' operazione non sia una forma di assistenzialismo. Il sistema oggi è mal messo, e per capire cosa serve per farlo marciare abbiamo visitato i centri per l' impiego che funzionano. Non c' è bisogno di andare nello Stato del Mississippi (da cui arriva il consulente del ministero del Lavoro, Mimmo Parisi), perché ce ne sono alcuni anche in Italia, pochi, ma ci sono: a Milano e Treviso, per esempio. Ecco dieci cose necessarie subito.
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Una banca dati unica. Le offerte di lavoro di Trieste devono essere visibili anche da Reggio Calabria. Oggi, invece, c' è un Sistema Informativo Unitario composto da un livello nazionale gestito dall' Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) e da 21 sistemi locali (uno per Regione più la Provincia di Bolzano). Il fatto è che il meccanismo è talmente farraginoso che i dati non circolano: in teoria ogni Regione dovrebbe mandare le sue offerte sul sito Anpal, dove ogni Cpi dovrebbe andare a vedere quello che viene messo in comune.
In realtà pochi lo fanno. In Lombardia dove i Cpi sono rimasti in capo alle Province, succede che il disoccupato di Varese non sa che posti ci sono a Como. Servirebbe una banca dati unica, ma ci vuole una legge e l' assenso delle Regioni. Su questo si litiga da 25 anni, dai tempi del Sistema informativo lavoro e della Borsa lavoro. Difficile immaginare che si possa fare entro aprile.
Fare dialogare la banca dati dei Cpi con Inps, Agenzia delle entrate e Miur. Se vuoi aiutare davvero qualcuno devi sapere che titolo di studio ha, dove ha lavorato prima, in che ruolo, con quale anzianità di servizio, quanto gli manca alla pensione. Oggi i Cpi non dialogano con nessuno di questi enti, ma è il diretto interessato a fornire tutte le informazioni del caso. Si perde tempo e non sempre le informazioni sono complete. Esempio: spesso chi possiede una laurea, e si adatterebbe a un lavoro manuale, non dichiara il titolo di studio per timore di perdere l' impiego.
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Precludendosi così delle possibilità future.
Fornire un servizio vero alle imprese. Oggi poche imprese segnalano le loro ricerche ai centri per l' impiego. A Treviso, per esempio, gli addetti del Cpi segnalano che le offerte sono insufficienti. D' altra parte le aziende dicono di non rivolgersi ai Cpi perché le risposte arrivano dopo mesi, se non anni. Prendiamo un' azienda che cerca un saldatore. Se i centri in un paio di settimane fornissero una preselezione con una decina di curriculum adatti, scommettiamo che le imprese cambierebbero idea in fretta?
Stop alle incombenze burocratiche. Oggi il 50% del tempo dei dipendenti dei Cpi non è dedicato alla ricerca di un lavoro per chi non ce l' ha, ma a un giro di carte e timbri, per esempio l' emissione di certificati di disoccupazione. Li chiedono alcuni supermercati per garantire lo sconto sulla spesa, gli enti case popolari, le farmacie per ridurre il ticket sanitario. Poi c' è la Dichiarazione di immediata disponibilità, che deve essere fatta per avere l' indennità di disoccupazione.
Mandare ai Cpi solo chi cerca davvero lavoro. Anpal Servizi stima che dei quasi 5 milioni di poveri aspiranti al reddito di cittadinanza, solo il 25-30% sia in condizioni di lavorare.
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Purtroppo tra i poveri ci sono tossicodipendenti, alcolisti, anziani, persone sole con figli piccoli da accudire o con disabili a carico: prima del centro per l' impiego avrebbero bisogno dei servizi sociali.
Le persone vengono prima delle app. Suggestiva l' idea di fare tutto tramite app, ma spesso chi cerca lavoro non ha dimestichezza con le pratiche online. Al Cpi di Milano spiegano che sono meno del 10% coloro che prendono appuntamento con l' app per fare la dichiarazione di disponibilità al lavoro.
Evitare che i Cpi diventino un assumificio fine a se stesso. Il governo ha annunciato 4.000 nuovi assunti (le Regioni ne avevano chiesti 8.000), ma se l' organizzazione non viene contestualmente risanata il rischio è che continui a non portare risultati. Il governo Gentiloni aveva già deliberato 1.600 assunzioni a tempo determinato fino al 2020 con i soldi del Fondo sociale europeo. Le assunzioni però devono passare dai bandi pubblici delle Regioni, e nessuna ancora li ha fatti.
Difficile quindi pensare che le 4.000 assunzioni possano essere fatte entro aprile. Fondi solo alle Regioni che fanno funzionare i servizi. Con la precedente finanziaria sono stati assegnati 235 milioni per il 2018 e altrettanti per il 2019 ai centri per l' impiego. Sono anche stati fissati dei livelli essenziali delle prestazioni, e definito che chi non li rispetta non riceverà la seconda tranche dei soldi l' anno successivo. In pratica vieni commissariato, ma da chi, sapendo che si rischiano ricorsi delle Regioni?
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Il meccanismo andrebbe rafforzato. La legge dice che entro 60 giorni dalla tua dichiarazione di disponibilità al lavoro dovresti essere richiamato dal Cpi. In troppi centri si va ben oltre. Nel Lazio si sfiorano i due anni.
Naspi più lavoro nero: il circolo vizioso da interrompere. Dal 2015 se ricevi l' indennità di disoccupazione ma non ti presenti alla chiamata del Cpi o rifiuti un' offerta «congrua» l' assegno viene progressivamente ridotto fino a perderlo. Per ora è successo solo a Trento. Quest' anno è stato offerto a 28 mila persone un bonus aggiuntivo all' indennità di disoccupazione da spendere per orientamento e servizi all' impiego. Hanno risposto in 2.800. È facile dedurre che gli altri 25.200 non abbiano interesse perché un lavoro ce l' hanno già (in nero).
Concorrenza pubblico-privato. La Lombardia ha messo in concorrenza agenzie private e pubbliche nel cercare lavoro ai disoccupati. In pratica la Regione, grazie anche a fondi europei, garantisce un compenso a Cpi o privati che riqualificano un disoccupato e gli trovano un impiego. Il risultato è che il Cpi di Lecco nel 2017 ha «sistemato» il 50% dei suoi contatti. Mentre quello di Afol Milano è primo in classifica per capacità di collocare disoccupati «difficili».
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Per finire, il governo ha appena dichiarato che per mandare a regime i centri per l' impiego bastano tre mesi. Solo per mettere in piedi una effettiva collaborazione fra i diversi attori coinvolti, dalle Regioni all' Anpal, partendo subito, servono almeno un paio d' anni. A meno che il «navigator» annunciato dal ministro di Maio faccia miracoli.