Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
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[…] Meloni non è stata certo l’unica leader a godere di un trattamento in guanti bianchi a Bruxelles. Ma il fatto che lei stessa in Consiglio europeo si sia astenuta su von der Leyen, e che gli europarlamentari di Fratelli d’Italia abbiano votato contro, non significa che la presidente tedesca della Commissione ora passerà dai favori alle vendette.
Non è nello stile consensuale di von der Leyen. Non è nei suoi poteri, in un sistema retto da una Corte di giustizia europea posta al di sopra della Commissione. Né è nell’interesse di von der Leyen, in previsione delle molte decisioni sulle quali, da ora al 2029, i voti italiani faranno comodo. Dunque non ci saranno atteggiamenti punitivi a Bruxelles per l’espressione di un dissenso. Quelli emergono, come nel caso dell’Ungheria di Viktor Orbán, solo quando il dissenso diventa sabotaggio.
GIORGIA MELONI E VIKTOR ORBAN AL CONSIGLIO EUROPEO
Quel che cambia adesso è che von der Leyen smetterà di distribuire favori come prima, semplicemente perché non le serve più. Vale per tutti, come varrà per l’Italia. Eppure i dossier aperti fra Roma e Bruxelles, specie sulla politica economica, non mancano.
In questi giorni per esempio si susseguono le riunioni tecniche in vista della mossa che aprirà la partita del nuovo patto di Stabilità. Entro pochi giorni (in teoria) l’Italia deve mandare a Bruxelles un documento con cui esprime una preferenza per un «Piano fiscale-strutturale di medio termine» distribuito in sette anni […] aggiungendo riforme e investimenti.
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Questi ultimi saranno quelli del Pnrr. C’è però un problema: il Piano nazionale dovrebbe esaurirsi nel 2026, mentre il programma di riforme e investimenti necessario per diluire la stretta sui conti sui sette anni deve arrivare, appunto, al 2032.
Non sarà semplice. Il governo dovrebbe garantire uno stretto controllo della spesa pubblica durante il settennato e, allo stesso tempo, mantenere almeno fino al 2029 gli investimenti pubblici pari al livello degli ultimi tre anni del Pnrr.
In sostanza dovrebbe tenere molto alti gli investimenti in proporzione al prodotto lordo — di almeno dieci miliardi all’anno più di quanto non sia oggi nei piani — eppure far diminuire la spesa complessiva sempre in proporzione al Pil. Dovrebbe, in sostanza, tagliare molto la spesa corrente.
URSULA VON DER LEYEN GIORGIA MELONI - ILLUSTRAZIONE DI POLITICO
Intanto, nota Carlo Altomonte del Pnrr Lab della Bocconi, il governo dovrebbe anche sostenere la spesa corrente necessaria per far vivere le opere del Pnrr: maestre per gli asili nido, personale sanitario per le case di comunità, tecnici per le nuove reti elettriche, per esempio.
Perché tutto funzioni, Roma e Bruxelles dovranno parlarsi moltissimo. Nei dettagli.
Dovranno lavorare insieme costantemente anche per far sì che la sesta rata del Pnrr — ridotta da 12,6 a 8,5 miliardi — arrivi entro l’anno evitando al Tesoro nuove costose emissioni di debito nel 2024. O per sbrogliare un dossier ormai insostenibile come quello sui balneari. Il tempo dei favori è finito, quello delle punizioni non arriverà. Ora è semplicemente il tempo di rimboccarsi le maniche.
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