Fabio Sindici per "La Stampa"
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Nel vasto album d'immagini che illustra la vita multipla di Elizabeth «Lee» Miller - mai ci fu, paradossalmente, una vita tanto sovraesposta quanto misteriosa - quella che la racconta meglio è un ritratto in cui lei non c'è.
Si tratta di una serie di scatti sullo stesso soggetto: una finestra con una zanzariera rovinata da uno strappo, al cui vertice pende sbilenca una cornice; la vista, dal buco, si apre sul deserto egiziano. Lee è dietro l'obiettivo.
Negli archivi messi online dal figlio Antony Penrose se ne trovano sei versioni, la migliore è quella più astratta, solo la rete rotta e il panorama arido e rivelatore di Al Bulwayeb, vicino all'oasi di Siwa. Potrebbe essere una trappola o una via di fuga.
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A Siwa, secondo la leggenda, si perse l'armata del re persiano Cambise. Nel cielo due nuvole sembrano unirsi in un paio di labbra che somigliano a quelle che l'amante e maestro Man Ray dipinse nel 1934 sospese sopra una foresta come un voluttuoso disco volante. Le sue, ovviamente. Un ricordo: la complice di sperimentazioni fotografiche e giochi erotici l'ha abbandonato due anni prima. Portrait of space è del 1937.
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Lee Miller è nel mezzo del cammin della sua vita. Trent' anni abbaglianti come una solarizzazione, la tecnica fotografica inventata insieme a Man Ray e rivendicata da entrambi. La sua è una bellezza da «generazione perduta», secondo la definizione di Gertrude Stein, bionda magnetica con «un pezzetto di ghiaccio nel cuore», come scrive Mark Haword-Boothe, il curatore di «The Art of Lee Miller», una delle mostre più complete che le sono state dedicate.
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Nella zanzariera lacerata s' impigliano ricordi e presagi. Elizabeth, a sette anni, è stata abusata sessualmente, da un amico di famiglia. Uno psicologo le suggerisce di separare sesso e amore, avviando così la sua carriera da seduttrice.
È in Egitto per un uomo, il magnate delle ferrovie Aziz Eloui Bey, follemente innamorato di lei. Alla notizia della relazione Ray, gelosissimo, si vendica alla maniera surrealista, per immagini: ritaglia un occhio di Lee da una foto, lo attacca a un metronomo, seguono istruzioni per demolirlo con una martellata.
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Lo chiama Object to be destroyed, oggetto da distruggere. A uccidersi davvero è invece la bella Nimet, la moglie di Aziz, che Miller ha fotografato prima che la relazione iniziasse. Il suo fantasma inquieta le foto egiziane dell'artista.
Lee ha sposato Aziz e si è trasferita al Cairo, da New York. Ma si sente al confino. Una sera organizza una festa nella villa del marito per mostrare il ritratto che le ha fatto Pablo Picasso à l'Arlésienne, durante un soggiorno a Mougins: labbra verdi come steli, spezzate, occhi lontani e lacrimanti.
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Una voragine scura è al centro della figura, probabilmente un'allusione sessuale, che ricorda molto lo strappo nella zanzariera di Siwa. A Magritte, la stessa foto ispira una delle tele più spoglie ed enigmatiche, Le baiser, del 1938.
Il figlio incompreso Antony, che non la comprese finché, insieme alla moglie, scoprì valigie e scatole piene di negativi e taccuini nella soffitta nella fattoria di Chiddingly, dove Lee aveva trascorso gli ultimi anni, le ha dedicato un libro e un documentario dal titolo eloquente: Le vite di Lee Miller.
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Se è vero che la sua è stata un'esistenza sfaccettata, si nota una cesura nel 1937, una conradiana linea d'ombra. Un prima e un dopo. Icona sexy dell'avant-garde e signora con la Rolleiflex sulla linea del fronte. In quell'anno in Costa Azzurra, oltre a posare per Picasso (e fotografarlo e divenirne l'amante), s' innamora di Roland Penrose, ricco gentiluomo britannico e artista surrealista.
All'inizio della Seconda guerra mondiale è con lui a Londra, dopo essersi separata senza drammi da Aziz. Prende qualche incarico da Vogue per servizi di moda, ma una bomba che distrugge la redazione del magazine la catapulta nel reportage di guerra.
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Miller fotografa le rovine. E arrivano scatti memorabili: Remington Silent, la carcassa quasi organica di una macchina da scrivere tra i detriti; Fire Masks, dove le protezioni sui volti delle volontarie evocano le maschere africane delle foto di Ray. Quella di Lee, si può dire, è una vita fitta d'incidenti. Come quando, a vent' anni, modella in carriera a New York, viene trattenuta per un braccio dal moghul editoriale Condé Nast, prima che un'auto la investa.
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Pochi mesi dopo è sulla cover di Vogue, in un'illustrazione di George Lepape, perfetta flapper fitzgeraldiana. O quando, per lo spavento causato da un topo, accende di colpo la luce durante lo sviluppo di una foto nello studio di Man Ray a Parigi, ottenendo per caso la solarizzazione, quell'effetto da eclissi rovesciata che diventerà la «firma» della coppia.
Sempre per caso, con indosso la divisa da corrispondente di guerra, cucita a Savile Row, capita sulla scena del bombardamento alleato a St. Malo, il primo dove viene utilizzato segretamente il napalm. Entra, insieme al collega ed ennesimo amante David Scherman (in un ménage-à-trois con Penrose) nei campi di concentramento nazisti e nell'appartamento segreto di Hitler a Monaco, di cui si vanta di avere l'indirizzo in tasca da anni: si fa un bagno nella vasca del Führer e dorme nel suo letto.
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Questa performance, fotografata da Scherman, forse le costa la depressione post-bellica; o è la foto straziante di un bambino morente in un ospedale di Vienna che cattura con occhi svuotati, seduta al suo capezzale, insieme a una suora e un'infermiera. La punta di ghiaccio che le protegge il cuore si scioglie. Dopo la guerra, Lee beve e ingrassa, i weekend alla Farley Farm di Chiddingly sono scandalosi e affollati dagli amici artisti: Picasso, Paul Eluard, Max Ernst e Dorothea Tanning, un riconciliato Man Ray.
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Ha sposato Penrose che però ora sogna una trapezista. La novella Lady Penrose si lancia in ricette bizzarre, da cuoca dadaista, per indispettire il critico Cyril Connolly. Ha deposto la macchina fotografica. Raccontò che aveva iniziato a fotografare per uscire da un dannato limbo. Alla depressione segue un cancro che la uccide a 70 anni. Le ceneri vengono sparse nel suo giardino di erbe aromatiche. Le chiavi della sua vita vanno cercate per immagini: la rosebud segreta, per rubare il termine a Orson Welles, è una foto in cui il padre la riprende nuda nella neve, nella natia Poughkeepsie, vicino a New York, bambina, lo stesso anno in cui viene violentata.
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E c'è lo strappo di Siwa. Il cuore buio dell'Arlésienne. Il bambino di Vienna. Ora la sua vita, doppia o multipla, diventerà un film, a interpretarla sarà Kate Winslet. Che le somiglia da lontano. Ma non ha il suo charme magnificante. Julien Levy, il gallerista dei surrealisti, la ricorda come una fata di luce: «Sotto ogni aspetto, Lee appariva luminosa. Il suo spirito era luminoso, la sua mente, le sue fotografie, e i suoi biondi capelli scintillanti». A definire davvero Lee Miller però sono le sue ombre, quel contorno scuro che delimita la figura e fa sprizzare fuori la luce. Come in un'immagine solarizzata.
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