Luca Cardinalini per ''il Fatto Quotidiano''
UNA FOTO DELLA MASSIMINIANA CON PIETRO ANASTASI
"La signora, lei sì che mi ha cambiato la vita". La signora, scritta in minuscolo, non la Signora, la Juventus. Per farlo arrivare in Serie A, Pietro Anastasi, detto "Petru lu turcu" o "Pietruzzu", dall' aspetto non proprio ariano, il destino utilizzò un sentiero curioso. E una signora, appunto.
Aprile 1966, al Cibali si gioca Catania-Varese, gara inutile essendo entrambe già quasi retrocesse in Serie B (ci finiranno), 3-0 per i siciliani (doppietta di Facchin e Magi). Alle 21 c' è il volo di ritorno, Catania-Milano, stracolmo.
All' imbarco, un' emergenza: una donna incinta deve salire su quell' aereo, l' aspetta a Milano una visita urgente. Il direttore sportivo del Varese, Alfredo Casati, le cede il posto e prenota il volo del giorno successivo, stesso orario. Tornato in albergo, il barista lo accoglie sorpreso, spiegazioni, poi gli dice: "Già che è qui, perché non va a vedere domani una partita di Serie D, Massiminiana-Paternò?". Ora: non esiste un paese che si chiami Massiminiana, né di sotto né di sopra. Il nome della squadra deriva da quello del suo patron Giuseppe Massimino, fratello di Angelo, presidentissimo del Catania, che darà a sua volta il nome allo stadio.
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Perché l' ego, insomma, non manca. Casati va. La partita finisce 0-0 (e come sennò?) ma il migliore in campo è un ragazzino quasi nero, 18 anni, mille fratelli, famiglia poverissima. Fatta la doccia, Pietruzzu scopre di essere diventato un calciatore del Varese. Casati, in tribuna, si era accordato con Massimino. Raccontava Anastasi: "Non sapevo nemmeno dell' esistenza di un posto chiamato così". Lì visse per il resto della sua vita, si sposò, diventò padre e, due giorni fa, vi morì.
Il mitico '68 fu un "anno formidabile" soprattutto per lui, iniziato a febbraio, in una domenica fredda e nevosa, quando il Varese (il Varese) asfaltò la Juventus, in quello che diventò "il miracolo di Masnago". Pietruzzu: "Quel pomeriggio, col pullman fermo a un semaforo, un signore a spasso con il cane ci riconobbe e ci chiese: come è andata? 5-0. Ehhhh, ne avete presi un po' troppi, disse lui. No, glieli abbiamo fatti, dissi io. Fece il gesto come a dire, ma va là pirla".
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In quel Varese giocava gente come Picchi, Sogliano, Della Giovanna, il patron era Giovanni Borghi, proprietario dell' Ignis, leader negli elettrodomestici anni 60. Per Anastasi, ventenne, autore di una tripletta, fu gioia doppia, visto che è un tifoso juventino. La prima foto che ti mostrava, a casa, era il selfie - termine ancora inesistente - con il suo idolo John Charles, scattata prima di un Catania-Juventus, Pietruzzu è raccattapalle.
Cinque anni dopo, sarà titolare con quella maglia bianconera. Un emigrante - sia pure di lusso - ma pur sempre un emigrante: "Le distanze erano amplificate rispetto a oggi. Per telefonare a casa dovevi andare alle poste, prenotare la chiamata, poi aspettare in cabina.
Oggi, con mio figlio che abita a Los Angeles, ci vediamo e parliamo via Skype".
A Varese vince la B e fa quel po' po' di campionato in A. "Finii il campionato e mi dissero che la società aveva chiuso l' affare con l' Inter. Poi, nell' intervallo di un' amichevole a San Siro, il trofeo Emilio Violanti, un fotografo mi disse: 'Ehi Anastasi, complimenti, sei diventato bianconero'. Rimasi di sasso".
Il sorpasso sull' Inter avvenne in extremis e con un trucco: "L' affare con l' Inter era già fatto, grazie al rapporto tra Casati e Allodi, ds nerazzurro. Poi Agnelli fece un' offerta irrinunciabile al dottor Borghi. L' Ignis aveva bisogno di motorini per un nuovo modello di frigorifero, la Fiat si impegnò a farglieli avere".
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Una sorta di Kulusewski ante litteram, insomma. Sempre quell' estate debutta in nazionale a 20 anni, l' 8 giugno 1968, ancora tesserato del Varese, nella finale dell' Europeo contro la Jugoslavia, allo stadio olimpico di Roma: "Era una cosa quasi impensabile, ero minorenne (all' epoca l' età limite erano i 21 anni, ndr) e senza esperienza, di una squadra di provincia, buttato dentro nella partita più importante".
Prima finale dominata dalla Jugoslavia, ma il bunker di Valcareggi resiste. Nella ripetizione due giorni dopo Valcareggi ne cambia sei, ma non il giovane Anastasi, che lo ripaga con un gol: "De Sisti mise la palla in mezzo, ebbi l' istinto di tirare al volo, senza mirare a niente".
Come dà, il destino toglie.
"Un unico rimpianto. Aver perso il Mondiale del 1970 per una manata di un massaggiatore, uno scherzo finito malissimo, con un' operazione ai testicoli".
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Anastasi ha vinto scudetti, coppe, ha segnato più di 400 gol nella carriera tra Massiminiana, Varese, Juventus, Ascoli e Lugano. Ma più dei gol segnati, diceva, gli capitava di ripensare a quelli sbagliati, vai a capire perché. E la mente, soprattutto, tornava spesso a quella signora, "chissà se aveva portato a termine la sua gravidanza, chissà cosa saranno ora quel bambino o quella bambina, forse juventini o forse no, che non sapranno mai questa storia" e a quel viaggio che ha cambiato - inconsapevolmente - più vite. A cominciare dalla sua.