1. QUELLA RAI ANNI '60 PEDAGOGICA E POP IN MISSIONE PER CONTO DELLA DC
Antonio Dipollina per ‘la Repubblica’
ettore bernabei
La Rai era "di Bernabei", dopo di lui fu la Rai e basta. Chi c' era ricorda l' enorme feticcio con cui potevi individuare il nemico, nel moloch del monopolio democristiano che ti invadeva via televisione. Ricorda forse anche il respiro ampio che si produsse con la riforma, nel 1976, con Bernabei fuori dopo 14 anni, e via di Tg2 rivoluzionario e di Dario Fo che torna e in prima serata.
Ettore Bernabei
Eventi veri, perché prima la Rai "d.B." Fo lo aveva cacciato da Canzonissima (oggi il Nobel ricorda con vago astio, accusando gli intellettuali attuali - «allora sì che si indignavano » - e glissa un po') mentre quel sulfureo quanto immerso d' incenso direttore generale gestiva l' Italia per la - enorme - parte che gli competeva con poche ma sentite regole: educare con la tv, valorizzare lo spirito nazionale e le sue qualità, rasserenare gli italiani la sera, essere in missione per conto di Dio e dei suoi rappresentanti in Terra.
Ettore Bernabei
Un calderone imponente, quella Rai, che mescolava varietà di prim' ordine (ma lo si scoprì molto tempo dopo), la cultura via sceneggiati, tribune politiche micidiali e mai dopo le 22 perché un politico è meglio che lo veda un italiano ancora sveglio, per quanto possibile. Nomi clamorosi da snocciolare poi in sede di bilancio - Biagi, Ronchey, Arrigo Levi, Barbato ma anche l' intuizione Arbore - lasciato però libero solo dopo il 76 - episodi da leggenda, le Kessler (80 anni a giorni) sgambate ma velate di nero come simbolo di tutto, si può ma con misura: mentre invece le Veline, disse poi, facevano venire voglie insane e siccome poi l' italiano qualunque non riesce a soddisfarle quelle voglie allora va a dormire contrariato. C' è del genio, nella sintesi.
Per non dire del maestro Manzi e dell' analfabetismo o del chiedersi ogni due secondi se la tal cosa, mandata in tv, avrebbe provocato danni. C' era una logica, per quanto opprimente, c' era soprattutto il sistema di potere che ebbe in quella Rai un baluardo d' eccezione: ovvio che diventasse per gli spiriti liberi l' incarnazione del male assoluto. Per rimpiangerla (!) ci sarebbe stato tempo e sarebbe avvenuto proprio sulle basi di quello che Bernabei predicava: siete sicuri di voler liberare dalla gabbia il mostro televisivo?
Lo sapete cosa succede dopo?
don matteo
Ora lo sappiamo. Così come a mezza voce viene ricordata la sua sentenza sul popolo dei telespettatori («Venti milioni di teste di c.») che lui in numerose occasioni provò a smentire ma una smentita vera, insomma, è fatta in un altro modo.
Un solo nemico letale, il telecomando. La Rai "d.B." era monopolio e si prendeva tutto il potere, senza scrupolo. Sornione, ma anche alzando la voce, nei decenni successivi Bernabei tornava sull' argomento e il senso era: «Siete contenti adesso?». Un lungo dibattito, oppure no, meglio farne storia. E forse, continuando con la missione di cui sopra, il capolavoro vero è stato la Lux, che ancora oggi fornisce alla Rai il prodotto seriale più visto, ovvero Don Matteo.
Cos' è, in fondo? Il Vangelo diffuso negli anni Duemila da un biondino con gli occhi azzurri. Negli ultimi anni i cattolici sono sempre andati di meno in Chiesa e hanno visto sempre di più Don Matteo. E forse per l' esistenza di quest' ultimo, nelle gerarchie vaticane, non si sono mai preoccupati più di tanto per la crisi: ci pensava come sempre Ettore il Patriarca, con l' ultima delle sue creazioni perfettissime.
PIPPO BAUDO ETTORE BERNABEI
2. "GUARDAVA AL FUTURO INVENTÒ IL TRAINO DEL TG"
Silvia Fumarola per ‘la Repubblica’
«Bernabei non era autoritario ma autorevole» dice Pippo Baudo. «Mai più incontrato un direttore generale forte come lui. Forse solo Biagio Agnes, che però era affettuoso, accogliente. Bernabei dava del lei, sempre».
Baudo era intimorito?
«Ricordo quando ci andai a parlare la prima volta. Allora la programmazione iniziava alle 16 con la Tv dei ragazzi, io facevo Settevoci alle 18 ma Bernabei lanciò il tg alle 13 e fui anticipato a mezzogiorno ».
Che gli disse?
«"Direttore, mi rovina, mi mette in un orario in cui non c' è pubblico". Lui mi fissò: "O grullo se non metto uno come te prima del telegiornale, il tg chi lo vede?". Aveva inventato il traino. Uscendo dalla stanza rilanciai: "Però direttore, la sera lo replichiamo su Rai-Due". "Va bene" fu il patto " se ci fa una piccola aggiunta". E m' inventai il "disfidone"».
PIPPO BAUDO ETTORE BERNABEI
La Rai di oggi cosa deve a Bernabei?
«Tanto. Il passaggio da Via del Babuino a Viale Mazzini si deve a lui, lui fece fare il palazzo di Viale Mazzini. Capì l' importanza delle sedi regionali. Era un democristiano molto aperto, era stato il preferito di Fanfani ma non era ottuso, ascoltava chi non la pensava come lui».
Davvero quella televisione unì l' Italia?
«Certo. E portò la cultura in case dove non c' erano libri e andava a teatro. Grazie a Gadda, Bolchi, Majano, D' Anza, Bernabei fece entrare i classici, la sua era una televisione popolare colta. Ebbe la fortuna di avere grandi collaboratori, Fabiani, Gennarini, Milano, Salvi, tutti di formazione cattolica progressista».
renzo arbore
Un direttore che gli assomiglia?
«Autorevole come lui c' è stato solo Biagio Agnes che si è speso tanto. Ma erano molto diversi: Bernabei era dotato di autocontrollo, sapeva essere gelido; Biagio era più aperto, più istintivo».
Perché Bernabei ha lasciato il segno?
«Rispettava il pubblico, sapeva che ogni parola andava pesata perché doveva essere interpretata dal pubblico alto, medio e basso. Era stato scelto dalla politica ma ha fatto il direttore generale della Rai, non il direttore generale della Dc».
3. "SCONTRO SU PICKWICK E NON LAVORAI PIÙ IN TV"
Silvia Fumarola per ‘la Repubblica’
ugo gregoretti
Ugo Gregoretti in Rai è stato un innovatore: da Controfagotto alla regia provocatoria del Circolo Pickwick, sceneggiato del 1968 in cui entrava in scena come un giornalista che commentava i fatti. I rapporti con Bernabei non furono idilliaci. «C' è sempre stata un po' di diffidenza reciproca»
Gregoretti, racconti.
«Lavoravo ai primi numeri di Controfagotto, e fece su di me un commento: "Il tipo gli è furbo, si è messo in vetrina" . Sinceramente non ci avevo mai pensato e poi ho capito».
Cosa?
«Che si era fatto un' idea su di me. Gli chiesi l' aspettativa perché avevo ricevuto la proposta di girare I nuovi angeli il mio primo film. Volevo diventare regista di cinema. Scaduto il termine lasciai la Rai, scelta che scatenò la riprovazione bi-familiare, dei miei genitori e di quelli di mia moglie Fausta. Il posto in Rai era una dote».
Com' era la Rai di Bernabei?
«La Rai aveva un' élite di intellettuali ideatori di programmi di qualità superiore, erano i "corsari" dell' ex direttore Guala: Sanvitale, Silva, Eco, Gugliemi, Colombo, Vattimo. La Rai diventò un' altra grazie a questa trasfusione di intelligenze. Quando Bernabei arrivò se li trovò, il suo ingresso coincise con l' entrata in fase operativa dei "corsari, tutti giovani, tra i quali io, stra-raccomandato».
ugo gregoretti foto lapresse
Cosa successe col "Circolo Pickwick"?
«Lo vide in anteprima e rimase entusiasta. Ma siccome gli indici di gradimento furono deludenti - era un petardo nello stagno della domenica dello sceneggiato classico alla Majano - ebbe un effetto deflagratorio. Bernabei mi chiamò e mi mostrò un elenco di indici di gradimento da cui risultava che al penultimo posto c' era il Circolo Pickwick e all' ultimo il film di Dreyer.
Presi il foglio e lo capovolsi, così al primo posto c' era Dreyer e poi Pickwick. Mi dissero che per cinque anni non avrei più più messo piede in Rai e in effetti così fu. All' epoca non veniva considerato questo alfiere della democrazia televisiva, non andava di moda elogiare Bernabei, anche se di grandi innovazioni ne ha fatte».
Vi siete più incontrati?
ETTORE BERNABEI CAMILLO RUINI
«Ero convinto di essere nel libro nero, invece accettai un suo invito a un incontro: quando mi vide si alzò e mi prese sotto braccio. Lo ringraziai, un po' stupito, si vede che mi aveva riabilitato».