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    ADDIO ALL'ULTIMO GAPPISTA – LA STRAORDINARIA VITA TRA BOMBE E NUMERI DI MARIO FIORENTINI, IL PARTIGIANO PIÙ DECORATO D'ITALIA, MORTO A 103 ANNI – SENZA DI LUI NON CI SAREBBE STATA LA RESISTENZA ROMANA AL NAZIFASCISMO – EVASE QUATTRO VOLTE DAL CARCERE. DOPO LA GUERRA, RIFIUTÒ LA CANDIDATURA IN PARLAMENTO E ARRIVÒ A INSEGNARE MATEMATICA AL MIT DI BOSTON 


     
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    Mirella Serri per “La Stampa”

     

    mario fiorentini mario fiorentini

    Dino, Giovanni, Gandi e Fringuello. Tanti i nomi di battaglia per un solo partigiano: Mario Fiorentini. L'ultimo gappista, come annunciato dall'Anpi, si è spento ieri a 103 anni. E' stato il protagonista della guerra civile più decorato d'Italia: si conquistò tre medaglie d'argento e tre croci di guerra. Fu comandante del gruppo «Antonio Gramsci», una delle aggregazioni di resistenti che si impegnò moltissimo tra la fine del 1943 e il giugno 1944, nel drammatico periodo dell'occupazione nazifascista di Roma.

     

    Realizzò ben quattro evasioni dal carcere: senza il mitico Mario non ci sarebbe stata la resistenza romana che, oltre a lui, ebbe fra i personaggi di maggior spicco Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo e donne come Carla Capponi, Maria Teresa Regard e Marina Musu. Grazie a questi gappisti gli uomini di Hitler e di Mussolini subirono attacchi e sconfitte clamorosi.

     

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    Fiorentini era nato a Roma nel 1918. Sua madre Maria era cattolica, mentre il padre era di religione ebraica. Quando il 16 ottobre 1943, il giorno del rastrellamento del ghetto di Roma, i nazisti bussarono alla porta dei Fiorentini, Mario, che si trovava per caso nell'abitazione dei genitori e teneva sotto il letto un deposito di bombe, riuscì a fuggire attraverso i tetti. Il padre e la madre vennero catturati ma fortunosamente anche loro si salvarono corrompendo i carcerieri con gioielli.

     

    Era diventato antifascista fin dai tempi della scuola, Mario, a cui non mancavano né l'astuzia né il coraggio. Aveva cominciato a collaborare clandestinamente con Giustizia e Libertà e con il partito comunista. Fu affiancato in agguati e battaglie dalla sua compagna Lucia Ottobrini. Già dal 25 luglio 1943 era sceso in lizza: con un gruppo di «Arditi del Popolo» faceva propaganda e metteva in atto azioni di disturbo contro i fascisti. Eccolo poi il 9 settembre in prima fila contro i tedeschi a Porta San Paolo, a tirar bombe contro i cingolati nazisti e a ingaggiare una sparatoria furibonda nei pressi della Piramide.

     

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    Non era passato nemmeno un mese che si pose al comando del Gruppo d'azione patriottica (Gap) «Antonio Gramsci», nella IV zona operativa di Roma centro. Questa volta il nome prescelto per mimetizzarsi fu Giovanni. Fiorentini aveva come riferimento la rete comandata da un partigiano silenzioso, solitario, che metteva soggezione ai suoi uomini, Carlo Salinari, destinato a diventare successivamente un valente italianista.

     

    La prima importante impresa a cui Mario fu destinato si presentava rischiosissima: assassinare il ministro dell'Interno di Salò, Guido Buffarini Guidi, e il gerarca Francesco Maria Barracu. I due si stavano gustando una cena in trattoria, vicino a piazza Navona. All'ultimo momento, per via del notevole transito di SS, i partigiani rinunciarono. La successiva imboscata che ebbe come protagonista Fiorentini, e che però andò in porto, culminò con l'uccisione di tre militi della Rsi. La sera del 17 dicembre 1943, con Ottobrini, la Capponi e Bentivegna, Mario freddò un ufficiale tedesco.

     

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    Qualche tempo dopo mise una bomba all'uscita del cinema Barberini, luogo di svago e di ritrovo dei soldati tedeschi. Seguì una nuova, ardimentosa azione. In bicicletta, dal Lungotevere sovrastante via della Lungara, lanciò un pacco contenente due chili di tritolo all'ingresso del carcere di Regina Coeli.

     

    Era un segnale molto importante. I gappisti facevano sentire la loro presenza nei luoghi dove erano detenuti gli antifascisti. Ventotto militari tedeschi stavano effettuando il cambio della guardia e tra loro vi furono cinque morti e circa 20 feriti. Il giorno dopo fu emanata un'ordinanza dal comando tedesco che proibiva l'uso delle due ruote a Roma.

     

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    A marzo 1944 Mario tirò alcune bombe su un corteo di fascisti in via Tomacelli, causando tre morti e numerosi feriti. Era una trappola mortale che prefigurò quella, notissima, del 23 marzo 1944 in via Rasella. Fu proprio Fiorentini che informò i compagni del passaggio quotidiano dei poliziotti altoatesini del Polizeiregiment Bozen. Ma poi non prese parte all'imboscata, poiché era molto noto nel quartiere. Seguì la rappresaglia tedesca con i 335 morti delle fosse Ardeatine.

     

    Mario, successivamente, raccontò di essere venuto a conoscenza dell'eccidio compiuto dai nazisti solo il giorno 26: ribadì comunque che il non agire «sarebbe stato un errore». Dopo la liberazione di Roma, Fiorentini fu posto al comando della missione «Dingo», dell'Office of Strategic Services (Oss), e proseguì il suo periglioso percorso cimentandosi nella guerriglia in Emilia e in Liguria.

     

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    Al termine del conflitto, dopo aver rifiutato la candidatura al Parlamento, si laureò in matematica e realizzò originali studi di algebra e geometria algebrica. Insegnò alle università di Ferrara, Montreal e al Mit di Boston. Il suo ultimo saggio lo scrisse a quattro mani col matematico ed enigmista Ennio Peres nel 2018, a 100 anni di età dimostrando così di avere molte vite.

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