Articolo di Geminello Alvi per “il Venerdì di Repubblica” ripubblicato da “il Foglio del lunedì”
STANLIO E OLLIO
A New York, qualche settimana fa, s' è tenuto il raduno dei "Figli del Deserto", società internazionale dedicata a Stanlio ed Ollio, della quale esistono filiali anche in Italia. Un raduno di vecchietti coi fez rossi, come quelli del film del 1933, o di grassoni che danzano vestiti da hawaiani cantando Honolulu Baby.
Ancora confortati dalle pose di Oliver Hardy, che li saluta nei film sbandierando la cravatta, mentre quell' enigma che era Stan Laurel li sorprende con la voce stentorea di basso e l' inglese perfetto. Di Stanlio, tra l' altro, si trova adesso su internet la ripresa di lui ritornato in Inghilterra a trovare il vecchio padre. Soddisfatto Stanlio se ne sta prima in bella posa per i flash dei fotografi, col cappello in mano, compito; ma non resiste, guarda il padre e lo bacia sulla guancia, stendendosi ad abbracciare la madre: emana bonomia infantile, rassicurante e totale.
Era nato Arthur Stanley Jefferson, questo il suo nome, a Ulverson in Inghilterra e il suo debutto era avvenuto, non troppo distante, in Scozia, quand' era un sedicenne lisciato, con orecchie incurvate e così vaste da lasciar pensare che, se avesse tirato vento bastante, avrebbe volato. Non badò quella sera alle pareti coperte di nichelini del Pickard Panopticon, ch' era un minuscolo teatro di Glasgow.
Anzi una sonnambulica frenesia, votata al peggio, ritmò il passo oscillante con cui entrava nel palcoscenico di quel debutto. S' arrestò dietro l' usurato tendone in attesa che s' aprisse, sorpreso dalla sua calma, che però disparve tutta appena scorse la testa di suo padre nel pubblico. Era costui impresario inglese di successo: amato esempio al quale Stanley temeva di paragonarsi. Il tuffo al cuore, che ne sentì, coincise con l' aprirsi del sipario. Complicò un avvio già non brillante.
STANLIO E OLLIO
Quasi s' imbrogliò; persino in quelle prestidigitazioni che gli riuscivano meglio delle parole. Eppure la frenesia si mutò poco dopo in ebbrezza. S' entusiasmò di quel suo pessimo recitare, e ne ottenne l' applauso. Senza accorgersi che gli era riuscito lo strano miracolo teatrale di far sentire il pubblico imbarazzato per lui.
La notte, preparato al peggio, s' avvicinò quindi al padre. E costui invece di scoraggiarlo, come da teatrante avrebbe dovuto, l' incoraggiò, felice che almeno quel figlio, mite e fragile per quanto era strampalato, avesse mostrato infine interesse a qualcosa. Era nato il 6 giugno 1890, e spiare i commedianti, che recitavano nel teatro paterno, e fargli il verso divenne presto la stessa cosa.
Settenne, dominava trucchi infiniti e giochini, utili quindi nelle migliori scuole d' Inghilterra per intrattenere nel pomeriggio i suoi insegnanti; invece di studiare. Nel 1910 s' imbarcò per l' America coi famosi Fred Karno London' s Comedians. C' era anche Chaplin. Fu così che si trovò inglese ventenne in America a recitare nei varietà, con modesta fortuna ma senza mai rammaricarsene.
STANLIO E OLLIO
A crucciarlo bastavano gli innamoramenti ogni volta rovinosi, per lui vittima predestinata delle donne, come sempre chi, sentimentale, ogni volta confonde la ragione coi ragionamenti di costoro. E vittima pure quindi di Mae Dahlberg, ballerina australiana erotica e smodata, che almeno gli diede il nome di Laurel.
Ma le sue glorie d' artista non migliorarono, neppure dopo una sessantina di film. Un collega suo e di Hal Roach, che allora già lo conosceva, spiegò: «Ho pensato che fosse uno dei meno divertenti attori del mondo. Aveva bisogno e voleva risate così tanto, che rideva di sé durante le parti. Pessima tecnica». A vent' anni dal suo debutto non s' era inventato un qualche carattere, anzi vi aveva rinunciato. Nel 1926 si considerava ormai solo uno scrittore di gag.
STANLIO E OLLIO
All' inizio dubitò persino se gli convenisse far coppia con Oliver Hardy. Neppure capì all' inizio come mai bastava che s' avvicinasse a Oliver in una scena perché tutti i tecnici ridessero. Ma ne rise lui stesso. E s' accorse che Oliver era come lui: un innocente in un incubo e, da prima che esistesse il tempo, suo amico.
Provvide quindi ad organizzare le scene, come la pigrizia dell' altro non avrebbe mai potuto. Impaurito quindi non per finta, gravitò a sessanta metri sulle travi d' acciaio, dove Ollio agilmente andava e lo tranquillizzava dicendo che tanto c' erano delle assi di sicurezza. Per mostrarglielo ci si gettò sopra, rompendole.
Ma la prudenza d' un operaio, prevedendo l' enorme peso di Oliver, aveva aggiunto una rete che gli salvò la vita. E Stanlio allora lo guardò, precipitato cinque metri più sotto dolorante sopra l' abisso. Comprese. Issarono cavalli bianchi sopra pianoforti a coda; duettarono danzanti nella Legione Straniera; conobbero la baldoria dei figli del deserto, e le vertigini di molti altri abissi.
STANLIO
Il film sonoro non li disturbò. Alla perfetta voce di tenore di Oliver s' adattava bene quella sua, inattesa, di basso. E comunque Stanlio seguitò a girare con lui le scene come fossero quelle del cinema muto: senza mai tagliare, perdere naturalezza o rifare. Seguitarono a improvvisare, deliziosi.
E, gran mistero, nessuno dei due fu mai la spalla dell' altro. La Depressione nel 1933 finì però la short comedy, che era la loro misura ideale. C' erano meno soldi da spendere e si vendevano meglio i film lunghi, con le star, che i pezzi brevi. Hal Roach, che aveva fatto la loro fortuna e la sua lasciandoli fare, scelse allora altre produzioni più complicate. Scrisse perciò il testo di Babes in Toyland. Ma Stanlio non s' adattò. Seguitò a recitare con Oliver improvvisando. A Roach non piacque. Ma la rottura arrivò soltanto nel 1940, dopo settanta film. E le cose erano intanto peggiorate.
Il cinema s' era ancora più adattato ai modi isterici del taylorismo. Firmarono con la MGM e fu l' inizio della fine: film inadatti e parti di contorno. Ma si deliziò invece del gran successo che ebbero le sue recite teatrali con Oliver in Inghilterra. In una gli parve di rivedere, nello scrosciare di applausi sinceri, suo padre, che invece era morto. Dopo quattro o cinque mogli trovò pace con l' ultima, russa.
STANLIO
Ma l' incubo più originario di Stanlio e Ollio aveva pur sempre forma matrimoniale: alle manie delle mogli preferivano il deserto. Non gli piacevano Jerry Lewis, Charlot, i fratelli Marx. Era affezionato ai vecchi artisti del music hall inglese, di cui collezionava i dischi e imitava le entrate in scena. Credeva nelle reincarnazioni. Fu pessimo amministratore dei denari, che dissipò in alimenti alle mogli incattivite da cui si divideva, tasse, prebende agli amici d' un tempo, per lo più in miseria. Patì anche serie ristrettezze. Era capace d' ira, ma senza durata.
Predilesse suo padre, la pesca, le donne un po' calme, Oliver, allevare papere; e nel suo campo gli riuscì pure un ibrido tra una patata ed una cipolla, ma nessuno la volle mangiare. Ollio era già morto quando assentì alla creazione dell' associazione "Figli del Deserto", suggerendone anche il motto: «due menti senza un pensiero solo».