Giuseppe Bottero per la Stampa
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Una rosa rossa lasciata sul cancelletto della casa, nel quartiere borghese della Crocetta. L' omaggio di Torino è discreto, silenzioso, come il rapporto tra Sergio Marchionne e quella che, per quattordici anni, è stata la sua città. È arrivato come un marziano, ha imparato a viverla un pezzo alla volta: prima nell' appartamento in centro, poi in quella villa nel borgo liberty, a qualche centinaio di metri dall' Unione industriale che non smetterà di frequentare neppure dopo l' uscita di Fca da Confindustria.
Lì vicino c' è il mercato, ed è uno dei posti in cui Marchionne si vedeva più spesso, al sabato mattina. «Non ci siamo mai nemmeno accorti della scorta. Era lui che pagava e che portava le buste della spesa», raccontano Mauro e Alice Allara, una vita dietro il banco degli alimentari. Qualcuno, tra gli ambulanti, scattava selfie.
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Serena De Stefanis mostra il telefono: sono abbracciati, l' amministratore delegato sorride.La compagnia giusta Salotti zero, frequentazioni poche. John Elkann, certamente, il mentore Gianluigi Gabetti, Paolo Rebaudengo, per anni l' uomo delle relazioni sindacali. Mai una prima del Regio, zero appuntamenti mondani, una certa consuetudine con Eataly. È il 2015, il top manager ha appena finito di illustrare ai giornalisti il nuovo contratto, che rivoluziona gli stipendi dei dipendenti legandoli ai risultati.
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Segue conferenza stampa, ma la frase che dà il titolo il manager se la lascia scappare qualche minuto dopo, intercettato tra gli scaffali: «Questo accordo era dovuto ai lavoratori. Sarà una bella spinta per il Paese». Segno che nella cittadella del gusto a due passi dall' ufficio al quarto piano della palazzina del Lingotto in cui ieri, in segno di lutto, c' erano le bandiere a mezz' asta, si potevano abbassare le barriere. Qualche sera la si trascorre alla Piazza dei Mestieri, in San Donato.
C' è la terrazza, la compagnia giusta. O all' Osteria del Musicante di Pianezza. Più spesso si sale al Ristorante Giudice in strada Val Salice. «Beveva solo vini rossi, generalmente Barbaresco, mai bianchi o frizzanti, amava i secondi di carne» raccontano i titolari, Carmelo Damiano, Marco Granato e Diego Bava. Assieme, si erano inventati un tormentone. Marchionne arrivava, salutava, e chiedeva: «Di chi è quella Mini li fuori?». Era di Granato, che ha «confessato» soltanto dopo mesi. Ed è passato a una Fiat.
SERGIO MARCHIONNE
«Un giorno ha chiamato l' ad: «Tutto bene con la nuova auto?». Lì, in collina, la tensione si allenta. «Una sera ha fatto portare una pianola, ha messo tutti intorno a un tavolo, scorta compresa, e ha dato il via a una festa». Qualcuno ha intonato «'O Sole mio», anche se per gli uomini della sicurezza seguire Marchionne come un' ombra è stato complicato. «Gli orari di lavoro erano massacranti, difficile stargli dietro con i cambio-turni, archi di impiego di decine di ore. Ma si condividevano con lui anche i disagi».
Tanto lavoro, ovvio. E poi le visite negli impianti, specie all' inizio. A Mirafiori rivoluziona tutto. «Come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?».
SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN
In fabbrica Quell' abitudine non la perderà più. E nel 2014, nei giorni tesi dello sciopero: Marchionne si presenta a sorpresa alla Maserati di Grugliasco, riunisce i dipendenti della ex Bertone in una sala riunioni. Ascolta, e dà il via libera al trasferimento di 500 lavoratori da corso Tazzoli. C' erano anche loro, ieri, a rendergli un tributo tra le linee. Tutti fermi, per un quarto d' ora. E ai cancelli, il silenzio.
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