CANNABIS
Luigi Mastrodonato per “espresso.repubblica.it”
Lacca, lana di vetro e piombo. Sono solo alcune delle sostanze con cui viene mescolata la cannabis in circolazione in Italia. E poi alluminio, ferro, cromo, cobalto ed altri metalli pesanti altamente nocivi.
Si chiama taglio della cannabis, è un’operazione molto diffusa nel mercato nero delle droghe ed operata per lo più dalla criminalità organizzata. L’obiettivo è quello di aumentare il peso del prodotto così da accrescere i ricavi dalla vendita. A risentirne è però la qualità, con i consumatori che inconsciamente si ritrovano a fumare sostanze tossiche, con tutti gli effetti collaterali che ne conseguono. A soffrirne sono soprattutto il sistema respiratorio, nervoso ed immunitario.
In molti casi la scelta degli additivi non è casuale: coprire la marijuana con la lacca di vetro crea ad esempio un effetto cristallizzazione che rende ancora più appetibile il prodotto. L’uso di coloranti per ottenere una tonalità più vivace è poi un altro esempio di un’operazione che parte dal peso ma che coinvolge in modo evidente anche l’estetica della pianta.
L’Università di Berna ha analizzato 191 campioni di marijuana sequestrati sul territorio svizzero e i risultati, pubblicati il mese scorso, parlano di un 91 per cento di cannabis contaminata. Studi di questo tipo in Italia non esistono, anche e soprattutto a causa di quella bolla di moralismo e omertà in cui si trova il Paese sul tema.
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Credere però che i dati svizzeri non si ripropongano in Italia significa chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. La marijuana contaminata svizzera è infatti per lo più di provenienza italiana, sia attraverso la rotta più classica che parte dall’Albania e viaggiando per il Mar Adriatico e l’Italia arriva in territorio elvetico, sia attraverso le varie cellule ‘ndranghetiste svizzere che si occupano di traffico di stupefacenti in connessione con i loro quartieri generali in Calabria.
Quella della cannabis tagliata con sostanze nocive è dunque una questione anche e soprattutto italiana. Un problema frutto della clandestinità e della conseguente assenza di controlli sul prodotto. “Non avere un sistema di certificazioni è come non controllare se la nostra carne è affetta dalla mucca pazza” ha detto a CBS Heather Miller Coyle, professore dell’University of New Haven.
Il mercato delle droghe è cresciuto nel tempo nonostante decenni di war on drugs. È un business in mano alle mafie, che giocano sulla salute e sulle debolezze delle persone raccogliendo ogni anno miliardi di euro. La legalizzazione della cannabis permetterebbe di sottrarre alla criminalità organizzata un mercato che già esiste e che continuerà ad esistere. Questo a sua volta garantirebbe il commercio di un prodotto sicuro e non avariato, grazie al sistema di licenze e certificazioni a monopolio statale.
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È questo che chiedono trentuno deputati svizzeri, che a seguito dello studio dell’Università di Berna hanno presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere la legalizzazione. “Siamo chiari: nessuno pensa che la canapa sia innocua” ha detto all'Espresso Fabio Kappeli del Partito Liberale Radicale Ticinese. “Legalizzare, regolamentando severamente il mercato, è però la soluzione migliore se vogliamo controllare la qualità della canapa in circolazione”.
Se questa è la situazione svizzera, in Italia oltre duecento parlamentari riuniti nell’ Intergruppo cannabis legale si stanno battendo da più di un anno per legalizzare un mercato che nel nostro Paese riguarda oltre 4 milioni di persone. In gioco non c’è solo la lotta alla criminalità organizzata, ma anche la salute di questo enorme pubblico di consumatori.
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