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    “LE DONNE BOSS DEI CASAMONICA? PIÙ VIOLENTE DEGLI UOMINI” – HANNO PRESO IN MANO IL CLAN DOPO GLI ARRESTI DELLA SCORSA ESTATE: NELLA RETATA DI IERI CHE HA INFERTO UN ALTRO DURO COLPO ALLA FAMIGLIA SINTI, 7 DI LORO SONO FINITE IN MANETTE - “PRENDEVANO ISTRUZIONI DAI MARITI IN CARCERE, ANDAVANO IN PRIMA PERSONA A MINACCIARE, A ESTORCERE DENARO” - I RAPPORTI CON LA 'NDRANGHETA


     
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    Michela Allegri per “il Messaggero”

     

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    Più violente dei mariti, dei compagni, dei fratelli. Hanno preso in mano il clan dopo gli arresti della scorsa estate, quando 37 affiliati della famiglia mafiosa Casamonica sono finiti in carcere. E loro, le donne del clan, sono diventate, all' occorrenza, vere e proprie boss.

     

    Hanno continuato a vessare commercianti, a prestare soldi a interessi usurari, a minacciare. A riscuotere il denaro che serviva per sostenere le spese giudiziarie dei familiari detenuti. Ieri, la Dda di Roma ha inflitto un altro duro colpo alla famiglia Sinti «arroccata nella parte sud-est della Capitale, con roccaforte a Porta Furba e nella zona Appio-Tuscolano», si legge nell' ordinanza di custodia cautelare.

     

    Un clan che, sottolinea il gip Gaspare Sturzo, «terrorizza gli abitanti e li induce all' omertà». Altre 23 persone sono state arrestate. Otto sono già detenute, come il capoclan Giuseppe Casamonica, detto Bìtalo, Massimiliano, soprannominato Ciufalo, e Rocky. In manette pure esponenti delle famiglie Spada e Di Silvio. Ma ci sono anche sette donne, appunto. In carcere sono finite Celeste, detta Paparella, Lauretta, Liliana, Rosaria, Gelsomina Di Silvio e Concetta Morelli, detta Lilli. Giacomina Casamonica - Stella, per gli amici - è invece ai domiciliari. Dalla nuova ordinanza emerge il ruolo centrale di tutte loro nel clan: violente come e più degli uomini, andavano in prima persona a minacciare, estorcere denaro. Tenevano i conti e gestivano gli affari del gruppo grazie alle direttive impartite dai detenuti durante i colloqui in carcere.

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    LA SFIDA ALLO STATO Anche grazie a loro, per il gip, il clan sinti ha dimostrato «straordinaria capacità criminosa» e ha messo in atto una vera e propria «sfida allo Stato» arrivando addirittura a rioccupare l' abitazione in vicolo di Porta Furba - confiscata - dove aveva il suo quartier generale il boss Giuseppe Casamonica. Un gesto di sprezzo di cui è protagonista Asia Sara Casamonica, nuora di Giuseppe, ora sottoposta all' obbligo di dimora: ha forzato la serratura e ha anche riattivato l' utenza telefonica fissa. Lauretta Casamonica, invece, insieme al fratello Luciano, ha costretto un commerciante a consegnarle una parure di gioielli per onorare un debito inesistente.

     

    E quando Luciano è stato arrestato, ha preteso altri soldi, «facendo leva sulla forza di intimidazione derivante dalla appartenenza alla famiglia ed evidenziando che la somma sarebbe servita per sovvenzionare la carcerazione del fratello», sottolinea il gip. «Se tu denunci ne arrestano uno, due di noi, ma ne restano sempre cento», ha detto un' altra indagata, intercettata.

     

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    Liliana, invece, ha minacciato un' estetista che mesi prima era entrata in società con lei. Quando il centro è fallito, l' indagata ha preteso la restituzione della quota di apertura: «Questo è il sudore di mio fratello, lui sta dentro a pagare dieci anni, questi sono soldi suoi e me li devi dare», ha detto. Lilli, invece, è la moglie di Rocco Casamonica. Teneva la contabilità del marito, che prestava soldi a strozzo ed estorceva denaro.«Devo sentire mia moglie - diceva lui intercettato - se mia moglie mi dice una piotta, due piotte».

     

    PREPOTENZA MAFIOSA Per il gip, i comportamenti del clan sono «un chiaro messaggio allo Stato e ai cittadini romani». Dimostrano la «volontà di continuare a imporre, sebbene ferita, la propria prepotenza mafiosa». L' indagine «Gramigna bis», condotta dai carabinieri di Frascati e coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal pm Giovanni Musarò, è il secondo step dell' inchiesta che nel luglio scorso ha portato alla retata che aveva decapitato il clan della Romanina. Sono almeno cinque le nuove vittime che, nonostante il terrore, hanno deciso di raccontare le violenze subite. Le accuse vanno, a seconda delle posizioni, dall' estorsione all' usura, dall' intestazione fittizia di beni allo spaccio di droga. Reati commessi, spesso, con l' aggravante del metodo mafioso.

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    Ieri, nelle abitazioni degli indagati, i carabinieri hanno trovato beni per almeno 400mila euro, che sono stati sequestrati, insieme a ville e gioielli. Per l' accusa, sono il provento di attività illecite, portate avanti anche grazie alle amicizie «importanti» del clan, come confermato dal pentito di ndrangheta Roberto Furuli: «Hanno rapporti anche con importanti famiglie di ndrangheta, fra cui i Piromalli di Gioia Tauro».

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