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    “MASSIMO È MORTO, MA TANTI VIVI SONO PIÙ ESANGUI DI LUI” – MATTIA FELTRI SU BORDIN: “CAPIVA IL LINGUAGGIO DEI POTENTI DI OGGI, NONOSTANTE NON FOSSE IL SUO LINGUAGGIO, MA LORO NON POTEVANO CAPIRE LUI. SAPEVA CHE L' ETERNO FASCISMO ITALIANO È STATO LA RINUNCIA A USARE LA TESTA” – CRIPPA: “QUEL RONZIO DI VOCE È STATO PER TANTI DELLA NOSTRA GENERAZIONE IL TARLO DI UN DUBBIO. IL MONDO DECIFRATO ATTRAVERSO LE PAROLE DEI GIORNALI, OGGI, NON C’È PIÙ” – VIDEO: UNA DELLE STORICHE LITI CON PANNELLA IN DIRETTA


     
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    1 – IL TEMPO DI MORIRE

    Mattia Feltri per “la Stampa”

     

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    Non c' è mai un tempo buono per morire, soprattutto se si muore in anticipo, come è toccato ieri a Massimo Bordin. Aveva sessantasette anni. Era la voce di Radio Radicale. Non c' è mai un tempo buono per morire, ma qualche volta ci si chiedeva a chi stesse parlando ancora Massimo Bordin, perché lui capiva il linguaggio dei potenti di oggi, nonostante non fosse il suo linguaggio, ma loro non potevano capire lui.

     

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    E noi, fragile mondo di mezzo, ci eravamo aggrappati alla sua voce, al suo microfono, alla sua rassegna stampa mattutina, alle sue conversazioni con Marco Pannella come a uno sperone sullo strapiombo.

     

    Ma quanto potranno capire di tutto questo i potenti di oggi? Come si spiega a un Paese sperduto e digrignante, sentenziante, famelico di un abracadabra qualunque esso sia, che la vita è politica, e la vita e la politica sono una disastrosa complicazione, una ricerca affannata del pertugio giusto, un errore via l' altro, e non c' è soluzione magica, quella è illusione, roba da fattucchieri? Come glielo si spiega, ora che siamo uno di meno, e quell' uno aveva il calibro di Massimo Bordin?

     

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    Eravamo aggrappati da decenni a lui, alla radio, a Marco Pannella, dagli anni della Prima Repubblica in cui schierarsi in politica era affiliazione fideistica - cioè per un sentimento anteriore e superiore alla ragione - al grande partito della Chiesa, la Dc, e alla grande Chiesa dei partiti, il Pci. Lu i, la radio e Marco Pannella continuavano a frequentare una politica per cui nulla fosse anteriore e superiore alla ragione, e dunque una politica cosciente dei limiti e delle contraddizioni.

     

    Come si spiega a un Paese sperduto che cosa significa restare saldi nella precarietà del raziocinio? Massimo Bordin sapeva che l' eterno fascismo italiano è stato la rinuncia a usare la testa, tutti ad ascoltare i battiti del cuore e i sommovimenti della pancia, lasciar salire gli umori non oltre la bocca per un urlo da stadio, il tifo, la soluzione definitiva e salvifica dell' ultimo irrimediabile condottiero, a destra, a sinistra.

     

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    Massimo Bordin sapeva che la libertà ha un piccolo cagionevole significato soltanto se è decidere per sé, se è l' esercizio della propria fallibilità, e dunque dissentiva, contestava, ironizzava anche davanti a Marco Pannella. Massimo Bordin sapeva, durante gli anni della Seconda repubblica, quando era indispensabile scegliere una parte o l' altra, di volta in volta, che il compromesso è sempre al ribasso e non è mai un cedimento ma un centimetro guadagnato, ed è l' essenza stessa della politica se rifiuta di essere autoritaria.

     

    Sapeva che la politica non è mai innamorarsi di un' idea, è semmai distaccarsene per valutarla meglio nel momento stesso in cui la si sposa. Sapeva che una società funziona soltanto se il più profondo dei convincimenti si arresta davanti alle barriere che l' uomo si è dato, ad argine dell' arroganza delle proprie verità, a tutela dunque di sé oltre che degli altri, e cioè le regole istituzionali, il rigore dei ruoli di Stato, l' autolimitazione quando si ha la responsabilità di tutti e non soltanto del proprio recinto politico. Sapeva che il consenso non è il fine unico della politica, perché la politica è la capacità di dire quello che si ritiene giusto e non quello che si ritiene gradito: quando il consenso diventa il fine unico della politica, la politica muore.

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    Sapeva che il diritto, inteso come amministrazione della giustizia, è filosofia, perché ricerca direttamente il cuore dei rapporti umani, arriva a definire l' inviolabile unicità dell' essere umano, anche quando è l' ultimo degli ultimi, cioè il più disprezzabile dei colpevoli, e pertanto il diritto non è mai vendicativo perché, quando produce vendetta, il diritto muore.

     

    Sapeva che la purezza è la voce dei folli, solamente la contaminazione è corroborante, incontrare l' avversario, tendergli il microfono, dargli fiato. Sapeva che tutto è così vano, inutile, e quel pochissimo di concreto su cui ci è dato di sostenerci poggia sulla memoria, sugli archivi, sui libri, su quello che è stato scritto e detto, su quanto l' uomo ha concepito nel disperato tentativo di aiutare l' uomo, e che l' uomo senza memoria è un uomo perduto nel suo vacuo delirio che non ha nulla su cui sostenersi.

     

    massimo bordin e marco pannella massimo bordin e marco pannella

    Sapeva, in definitiva, che la vita è politica, e la vita e la politica senza un' ambizione di cultura sono la rinuncia a essere uomini per partecipare alla storia degli uomini. Ma come si spiega tutto questo a chi pensa che tutto questo debba misurarsi con l' analisi costi benefici? Che Radio Radicale o si regge sulle sue gambe o chiude? Che sia una questione di mercato? In che lingua glielo si spiega ai nuovi potenti? Noi siamo rimasti aggrappati a Massimo Bordin, a Radio Radicale, a Marco Pannella per decenni, noi radicali, noi liberali di destra e di sinistra, noi socialisti libertari, noi cattolici liberali, noi atei devoti, noi repubblicani, noi laici, noi anarchici, noi poveri apolidi, noi alla ricerca di un posto dove sapere qualche cosa di più, e non di un riparo dove mettere in sicurezza l' ultima confortante ideuzza dell' occasionale maggioranza.

     

    ANNALENA BENINI MATTIA FELTRI ANNALENA BENINI MATTIA FELTRI

    Resteremo aggrappati ancora, finché la radio avrà voce, anche senza la voce di Massimo Bordin, non potremo dimenticare il debito che abbiamo nei confronti di Massimo e della radio, sarà un debito che potremo ripagare soltanto restando lì, ad ascoltare le voci finché ci saranno e ad ascoltare gli echi delle voci che non ci sono più. Non c' è mai un tempo buono per morire, e non è mai un tempo buono quello in cui si sopravvive. Massimo è morto, ma tanti vivi sono più esangui di lui.

     

    2 – LA VOCE COME IL TARLO DI UN BUON DUBBIO

    Maurizio Crippa per “il Foglio”

     

    MASSIMO BORDIN MAURO BIANI MASSIMO BORDIN MAURO BIANI

    L’equipaggio-macchina, per molti anni fatti di molte mattine e di molte code ai semafori sulla via della scuola, era anche una strategia di sopravvivenza genitoriale, e di accudimento filiale, non privi di affetto, come le favole raccontate al mattino. Si portavano all’asilo e poi alle elementari i figli, e i loro compagni, fino a stipare l’auto di umani e zainetti, e a turno ognuno aveva la sua strategia. Mamme che raccontavano storie, padri che facevano cantare, e dire le preghiere, mamme che mettevano i cd di musica e fiabe. Zero smartphone, allora.

     

    Al mio turno accendevo la radio, “Buongiorno agli ascoltatori, eccoci all’appuntamento con Stampa e regime, la rassegna stampa di Radio Radicale”. Necessità mia, e virtù di quella voce di caverna e da fiaba, ma da mago delle parole che s’intuiva buono, che abbassava di colpo i decibel, trasformava le chiacchiere in sussurri e in silenziosi fruscii il traffico delle figurine dei Pokémon. Il dubbio del possibile trauma infantile indotto da quello scaraventare nell’abitacolo quei discorsi lenti, astrusi, lo ricacciavo indietro, anzi non mi ha mai sfiorato.

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    Ogni tanto ridevano, quando citava il Foglio: la prova che quello strano lavoro che facevo esisteva davvero, in un mondo reale ma distante. Così la voce di Massimo Bordin, in quelle antiche mattine, era diventata una cosa familiare, uno di famiglia. Chissà che effetto avrebbe fatto a lui, avesse sospettato di essere “uno di famiglia” per famiglie così lontane dal suo mondo. Mi sono chiesto a volte se sia stata anche una educazione sentimentale, ma di certo no. Lo è stata per noi, altra generazione, una educazione civile, quella narrazione quotidiana. Il mondo decifrato attraverso le parole dei giornali, oggi non c’è più.

     

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    I miei figli, cresciuti, vivono in un' Italia, anche sotto il profilo di chi la conosca, e la sappia narrare, più vuota. Mi è capitato di pensare, a volte, a quanto sarà meno ricca l' educazione sentimentale e civica, e letteraria, delle generazioni che oggi non hanno più alcuna passione urgente per la politica, tanto meno per la lettura dei giornali, e hanno disintermediato e ridotto a stories il rapporto con le news. Insomma senza la mediazione, la maieutica, di un narratore onnisciente ma a tratti reticente, capace ogni mattina di riannodare e dipanare il filo del mondo. Senza quella voce.

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    Massimo Bordin, la persona, l' ho incontrato un paio o tre di volte, e qualche telefonata. Non c' è bisogno che aggiunga la mia, su un uomo che aveva scelto la precisione e il riserbo come regole naturali. Mi piace ricordarlo come Adriano Sofri: sembrava Donald Sutherland anche a me. Che mi abbia insegnato molto, e incuriosito sempre, è la cosa che importa, che resta.

     

    Quando morì Pannella, "Marco" per lui e per molti altri, mi capitò di scrivere, a mo' di nota a margine senza la pretesa dell' ete rodossia una cosa che avevo per la testa. Che quell' angelo sterminatore, quel demone che era stato Pannella per i cattolici fosse invece stato, paradossalmente, un katékon ribaldo, che l' aveva difesa da se stessa, la chiesa, costretta a uscire, messa in guardia dai suoi vicoli ciechi.

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    Non so come la prese, Bordin, non credo che andasse in cerca di sorprese. Ma una parte di quella mia impressione, di quella percezione di Pannella, veniva anche da un lungo ascolto di quei racconti alla radio, di quei contrappunti di giudizio - sempre motivati, non per forza sempre condivisi - che invitavano a capire, prima che a giudicare o a schierarsi.

     

    E sottilmente, come un mago nella sua caverna, a seguire i meandri di una cultura diversa, laica e illuminista, e a porsi le stesse domande che rimbalzavano dalle sue pause, nei suoi accenni di battute che lasciava chiudere agli ascoltatori. Quel ronzio di voce in sottofondo, che è stato per tanti della nostra generazione, del nostro mestiere, della nostra passione per la politica, il tarlo di un dubbio, di un pensiero mancherà ai bambini di oggi.

     

     

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