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    LA VERA DOMANDA DA FARE A BILLIE EILISH È: CHE CI FACEVA A 11 ANNI SUI SITI PORNO? – LA CANTANTE HA RACCONTATO COME GIÀ DA BAMBINA SPIPPOLAVA SUI SITI PER ADULTI E COME LE IMMAGINI “VIOLENTE E INQUIETANTI” LE ABBIANO “DISTRUTTO IL CERVELLO”: “MI FA STARE MALISSIMO IL FATTO DI ESSERE STATA ESPOSTA A COSÌ TANTA PORNOGRAFIA QUAND'ERO COSÌ PICCOLA”. MA I SUOI GENITORI (E IL FRATELLONE FINNEAS) DOV'ERANO MENTRE SPIPPOLAVA SU INTERNET? IL PARENTAL CONTROL A CASA NO? - VIDEO


     
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    Matteo Persivale per il “Corriere della Sera”

     

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    «A casa da sola, cercando di non mangiare / Mi distraggo con la pornografia / Odio il modo in cui lei mi guarda / Non sopporto quei dialoghi, lei non godrebbe mai così / È una fantasia maschile / Torno in terapia».

     

    Più le canzonette sono stupidine più dicono la verità, era la teoria di François Truffaut, una triste realtà nel caso di Billie Eilish, vent' anni dopodomani, artista più giovane di sempre ad aver vinto tutti e quattro i Grammy - l'Oscar della musica - più importanti nello stesso anno.

     

    Che la canzone fosse autobiografica sembrava evidente - Eilish, come vedremo, si esprime sempre con franchezza ammirevole, un'eccezione nel mondo dello spettacolo specialmente americano - ma nel corso dell'Howard Stern Show sulla radio Sirius Xm la musicista ha raccontato senza tabù i suoi problemi con la pornografia: «Penso che il porno sia una vergogna. Guardavo un sacco di pornografia, se devo essere sincera. Ho iniziato quando avevo, tipo, 11 anni», ha detto spiegando che allora la faceva sentire più sicura di sé.

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    «Penso però che mi abbia davvero distrutto il cervello: mi fa stare malissimo il fatto di essere stata esposta a così tanta pornografia quand'ero così piccola», ha aggiunto, ricordando che ha sofferto di incubi perché alcuni dei contenuti che ha visto erano violenti e inquietanti.

     

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    «Le prime volte che ho fatto sesso, mi sono trovata a non dire no a cose che non andavano bene. Pensavo che io, da quelle cose, avrei dovuto essere attratta». Eilish non ha studiato regolarmente a scuola, i suoi genitori hanno scelto l'opzione dell'home schooling (molto popolare negli Stati Uniti, 4 bambini su 100 studiano a casa): è una famiglia di musicisti poco convenzionale che vive nella bohéme losangelina di Highland Park, casa di artisti come Beck, Jackson Browne, Zack de la Rocha, dell'attrice Diane Keaton e del comico Marc Maron.

     

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    Con la stessa franchezza Eilish ha anche spiegato a Stern che semplicemente uscire con un coetaneo sia complicato dalla fama e dal lavoro nel mondo della musica: «È davvero difficile incontrare persone quando sono intimidite dal tuo personaggio, o pensano che tu sia fuori dalla loro portata».

     

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    Rocco Siffredi, non esattamente un bacchettone, ripete spesso (anche nella sua autobiografia) che «i ragazzi devono capire che noi che facciamo questo mestiere siamo quelli anormali, e i normali sono loro», perché il porno è come la fantascienza, messaggio sensato ma sepolto dalla quantità di immagini che travolgono il mondo digitale (dei dieci siti più visitati del mondo due sono porno, e il numero 1, Google, viene utilizzato una volta su quattro proprio per visionare contenuti per adulti).

     

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    Il problema evidenziato da Eilish è che il «parental control» - cioè i sistemi che permettono di filtrare contenuti vietati ai minori - può essere aggirato con facilità da ragazzini più adusi dei genitori a utilizzare la tecnologia. Eilish almeno rappresenta una modalità nuova di enfant prodige: per decenni l'industria dell'intrattenimento ha sfornato bambini-attori e cantanti finiti spesso malissimo da grandi che regalavano a un pubblico molto diverso da quello di oggi una versione patinata, edulcorata della loro infanzia sempre felice a uso e consumo dei press agent.

     

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    Oggi ragazzi famosi come Eilish gestiscono in prima persona la comunicazione della loro vita - di solito tramite social media, commuove che in questo caso abbia scelto la vecchia cara radio seppur via satellite - con un bonus di verità, anche quando raccontano storie poco edificanti ma almeno, finalmente, vere.

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