ROBERT MUELLER JAMES COMEY
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
In castigo, all'ultimo posto. La guerra è guerra, e quella fra Trump e il New York Times non prevede prigionieri. Casa Bianca, conferenza stampa del presidente con il suo ospite, il rumeno Klaus Iohannis. I posti riservati alla stampa non sono uguali per tutti, davanti stanno le testate più importanti, davanti è sempre stato il New York Times. Ma questa volta il cartellino con il suo nome Peter Baker non lo trova, perché è stato spostato in fondo.
È la prima rappresaglia della Casa Bianca, ed è tipico del metodo Trump, ma le ragioni non mancano. Il New York Times, nel pubblicare brani di un presunto memoriale di James Comey, ex direttore dell'FBI, dopo che Trump lo aveva licenziato, tra l'altro scrisse che c'erano stati ripetuti contatti tra il presidente quando era candidato e autorità russe.
COMEY
La notizia viene pubblicata come una bomba, la prova dell' alto tradimento, dell'inciucio elettorale. Solo che giovedì, nel confermare di essere stato lui a mandare un amico a fornire informazioni al New York Times, Comey nega il dettaglio non trascurabile di questi contatti. ”In the main it’ not true”,non è vero niente. Perciò all'ultimo banco e palla al centro.
Sui giornali nemici circola un po' di depressione.
L'impeachment non lo otterremo, è un percorso defatigante e non porta a niente, finisce come con Clinton, bisogna studiarsi qualche altra cosa. Lo ammette il Los Angeles Times, e si aggiunge all'altro editoriale sconsolato del Washington Post, che riconosceva come la testimonianza dell'ex direttore dell'FBI al Senato si sia trasformata in un vantaggio per il presidente che doveva finire sotto accusa.
Nell’elencare le prove che mancano, la pistola che si è rivelata non smoking, media e tv americani sono veramente nudi, il resto del mondo è fatto di pallidi imitatori, perché rivelano che il desiderio di cacciare il presidente è del tutto indipendente dalle di lui colpe e responsabilità. È che quella elezione come il matrimonio di Lucia e Renzo non s’aveva da fare.
melania e donald
Perciò si passa alle maniere forti annunciate dal regista, vera professione odiatore, ma soprattutto straordinario propagandista di se stesso, Michael Moore, in versione imitatore di Assange, che ha aperto una sezione speciale di caccia a Trump sul suo sito ufficiale: "Una piattaforma che consentirà a coraggiose gole profonde di comunicare privatamente" ha spiegato, per riportare eventuali crimini o la cattiva condotta di Trump, con l'obiettivo di "proteggere gli Stati Uniti “. Il termine gola profonda ovvero informatore anonimo mal si sposa col coraggio, ma insomma…
Moore spiega che "abbiamo messo insieme strumenti che possono essere usati per inviare in modo sicuro informazioni, documenti, fotografie, video e registrazioni audio ora più che mai abbiamo bisogno di whistleblower. So che è rischioso. Ma la posta in gioco è troppo alta". Fra questi strumenti indirizzi e-mail crittografati, app di messaggistica sicure come Signal.
Tanto per contribuire alla trasparenza del clima. Ma siccome Moore sta per girare un film su Trump, ecco che i conti tornano, e la pubblicità gratuita pure.
ALAN DERSHOWITZ
Indirettamente dall'altra parte si è dovuto schierare con ben altri argomenti un personaggio straordinario come Alan Dershowitz, giurista e avvocato di fama mondiale, il quale è un democratico anche un po' liberal, e sicuramente non gli piace Trump, anzi un po' lo disprezza, ma è una persona corretta, evidentemente non a libro paga, conosce come pochi la Costituzione e le leggi, perciò denuncia la pericolosità per il sistema democratico americano della macchina del fango che Washington e media hanno macchinosamente messo in piedi.
Bene, dice Dershowitz, Comey conferma che io ho ragione e tutti i sapientoni commentatori democratici hanno torto. È vero insomma che secondo la nostra Costituzione il presidente ha l'autorità per decidere che l'FBI deve smettere di indagare su qualcuno. Uso una parafrasi perché non disponiamo ancora del testo scritto di quella conversazione, ma fa lo stesso. Il Presidente può decidere chi indagare, chi smettere di indagare, chi incriminare e chi non incriminare.
Altro che limitarsi a sperare che un'indagine finisca, come ha fatto Trump con Comey. Il Presidente può concedere la grazia. Il presidente è il capo del ramo esecutivo del governo e Dipartimento di Giustizia e FBI lavorano alle sue dipendenze. Nella storia del nostro paese molti presidenti, da Adams a Jefferson, a Lincoln, a Roosevelt a Kennedy, a Bush senior, fino a Obama, hanno dato disposizioni al Dipartimento di Giustizia su investigazioni in corso.
micheal moore
La storia e’ chiara, i precedenti sono chiari, il senso comune dovrebbe avere tutto chiaro. Invece quasi tutti i democratici nella loro frenesia di beccare il presidente Trump hanno ignorato, sapendo di farlo, questa realtà, e hanno messo in pericolo il nostro sistema e i diritti costituzionali.
Non solo, secondo Dershowitz, la macchina del fango, con numerosi episodi inventati o dilatati a dismisura - vedi le dichiarazioni del New York Times secondo le quali Trump sarebbe stato indagato, smentite categoricamente da Comey, che pure ha ammesso di essere la gola profonda - ha impedito di mettere a fuoco la parte importante di un eventuale indagine, ovvero se ci sia stato o no un della Russia nel tentare di influenzare le elezioni. Ruolo nel quale Trump potrebbe non avere avuto alcuna parte.
Di certo il presidente sembra tranquillo anzi come lui stesso ha detto si sente vendicato e si consente perciò di attaccare più duramente del solito propalatori di false notizie, giornali giornalisti, establishment di Washington. Ma anche di dire che Comey, pur sollevandolo di fatto da responsabilità, ha detto un sacco di bugie.
Sulle conversazioni tra i due è intervenuta la richiesta formale della commissione Intelligence della Camera, che vuole sentire e vedere eventuali nastri delle registrazioni degli incontri e delle telefonate tra il presidente e l'ex direttore dell'FBI entro il 23 giugno. Ma esistono queste registrazioni? A sentire Trump esistono, infatti aveva minacciato Comey, quando lo ha licenziato più o meno un mese fa, dicendogli di stare attento a riferire cose false o inesatte perché le registrazioni dei colloqui lo avrebbero smentito.
Liar and leaker, bugiardo e gola profonda, così lo ha definito sia via Twitter che nelle dichiarazioni; certo che un ex direttore dell'FBI debba ammettere di aver dato a un amico del materiale da passare al New York Times perché si sentiva minacciato, e aveva delle sensazioni e delle impressioni negative , invece di avere il coraggio di denunciare quello che riteneva un sopruso, e molti altri soprusi, per esempio le richieste inappropriate di 3 ex ministri di Barack Obama, ha gettato l'ombra definitiva sulla traiettoria di James Comey, per tacere del comportamento ondivago, e alla fine di copertura, dello scandalo delle email di Hillary Clinton.
ivanka e jared
Ma a Donald Trump non basta, si è detto pronto "al cento per cento" a dare la sua versione dei fatti sotto giuramento, smentendo di aver mai chiesto fedeltà, loyalty, all'allora capo dell'Fbi James Comey, e di essersi augurato che lasciasse cadere l'indagine sull'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn nel Russiagate. Non perché lo ritenga un abuso di potere o un ostruzione alla giustizia, ma insiste di non averlo fatto. Vedremo se i famosi nastri di registrazione vengono fuori.
A giorni alterni l'attenzione scandalistica si sposta da Trump al genero Jared Kushner, e ora viene annunciato in pompa magna dalla ABC News che la stessa Commissione Intelligence del Senato intende tra la fine di giugno e l'inizio di luglio interrogare il genero e consigliere. A mettersi a disposizione della Commissione era stato peraltro lo stesso Kushner prima di essere dichiarato Person of Interest, persona a conoscenza dei fatti,. che non è in alcun modo un'incriminazione e nemmeno l'apertura di un'indagine.
Kushner ha avuto dei colloqui con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e oggetto di sanzioni da parte degli Usa, e avrebbe anche avuto dei contatti con alcuni funzionari russi che volevano instaurare un canale di comunicazione diretto tra Donald Trump e Vladimir Putin, durante il periodo di transizione tra l'amministrazione Obama e quella attuale.
Tradotto in soldoni, fuori del linguaggio da spia che venne dal freddo, è possibile che come consigliere per la politica estera di Trump, Kushner abbia parlato con un signore che vorrebbe vedere tolte le sanzioni, e con altri signori che volevano capire come parlare con il presidente eletto senza essere spiati. Non sembrerebbe una cosa terribile. La telenovela continua.
donald trump jared kushner