Giuseppe Guastella per corriere.it
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Del brasiliano Robinho in Italia ormai forse si ricordano solamente i tifosi del Milan, nelle cui file vinse lo scudetto nel campionato 2010-2011, l’ultimo conquistato dai rossoneri. In patria, invece, Robson De Souza, 36 anni, sanno tutti chi è, non foss’altro perché di recente è stato messo fuori rosa dal Santos, la squadra che fu di Pelè, per il processo che a Milano gli è costato in appello la condanna a nove anni di reclusione per aver violentato una ragazza albanese con un gruppo di amici.
I giudici della seconda sezione penale della Corte d’appello, infatti, hanno confermato la sentenza per violenza sessuale di gruppo inflitta in primo grado a Robinho e a Ricardo Falco a novembre 2017, come chiesto dal sostituto procuratore Cuno Tarfusser.
Il 22 gennaio del 2013 la ragazza albanese si trovava con alcune amiche nel Sio Café di Milano per festeggiare il suo compleanno. Nel locale c’erano anche Robinho in compagnia della moglie e di almeno cinque amici. Durante la serata, il calciatore brasiliano uscì per accompagnare a casa la consorte e poi tornare indietro e raggiungere i suoi amici ai quali si era unita la ragazza albanese, che allora aveva 23 anni, che già conosceva Robinho.
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Tra risate e alcolici, la giovane si ubriacò, o meglio, come ha sostenuto in primo grado il pm Stefano Ammendola, fu fatta ubriacare dagli uomini che, tra risate e complicità, le offrirono da bere rendendola «incosciente e incapace di opporsi», la portarono nel guardaroba del locale dove la violentarono in gruppo senza che lei potesse opporsi a causa delle condizioni psicofisiche compromesse dall’alcol.
A cominciare lo stupro sarebbe stato Robinho, seguito dal suo amico Ricardo Falco, 38 anni e poi dagli altri quattro uomini — mai identificati — che erano rimasti a guardare. Robinho si presentò in Procura dove fu interrogato, ma qualche tempo dopo lasciò l’Italia per tornare a giocare in Brasile.
Dalle intercettazioni fatte durante le indagini emergeva, hanno scritto i giudici di primo grado nelle motivazioni della sentenza, l’«assoluto dispregio» mostrato dagli imputati nei confronti della giovane attraverso epiteti, offese «crudi e sprezzanti, segni inequivocabili di spregiudicatezza e quasi di consapevolezza di una futura impunità».
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Durante il processo d’appello, le difese hanno prodotto ben quattro consulenze tecniche sulle condizioni psicofisiche della giovane vittima per sostenere, anche allegando fotografie scaricate da Internet, che la giovane albanese fosse dedita all’alcol. «Questa sentenza è un esempio per la tutela della donne che dimostra che il sistema c’è, quando serve», ha commentato l’avvocato Jacopo Gnocchi che ha assistito la vittima nel processo in cui si è costituita parte civile ottenendo un risarcimento di 60 mila euro che dovrà essere versato dai due condannati, pronti a ricorrere in Cassazione. Il caso è tornato d’attualità in Brasile dopo che di recente sono state pubblicate le intercettazioni che erano agli atti.
Mentre Robinho continuava a negare ogni responsabilità nella violenza, Damares Alves, ministra brasiliana dei diritti umani e della famiglia, ha invocato: «Prigione, subito».
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