Cesare Giuzzi e Gianni Santucci per il Corriere della Sera
LA VITTIMA MASSIMO IUSSA
Qualche mese fa Massimo Schipa, 52 anni, incontra un suo vecchio collega. Hanno lavorato insieme. Poi, nel 2007, Schipa si trasferì alla Polizia locale di San Donato Milanese, per stare vicino alla moglie malata, e da allora s' erano persi di vista. Vigili, amici, si ritrovano per caso a Milano. «Mi fa piacere vederti, come vanno le cose?». A quella domanda Schipa, leccese, un figlio, non risponde con un generico «tutto bene». Ma abbassa la voce e dice: «Al comando me ne stanno facendo passare di tutti i colori. Vorrei andar via».
Non spiega di più, in quel momento, perché là vicino c' è un suo superiore. Nei mesi successivi l' esasperazione dev' essere diventata insopportabile, deve aver preso (nel vissuto del vigile) i caratteri di una persecuzione ingiusta, una sorta di mobbing. Così ieri, quando è stato richiamato al comando, mentre il suo collega di pattuglia lavava un' albicocca in bagno, ha incrociato nello spogliatoio Massimo Iussa, 49 anni, vice comandante della Polizia locale di San Donato, che stava andando a lavarsi i denti. Schipa ha tirato fuori la pistola e ha sparato. Un colpo solo, al petto dell' ufficiale, senza una parola. Poi s' è appoggiato l' arma alla testa e ha sparato ancora.
MAKAROV PISTOLA CALIBRO 9
«Ho sentito solo due colpi, in pochi secondi», ha raccontato l' agente che era in bagno. Erano da poco passate le 15. Un' ora dopo, in ospedale, i due vigili erano morti entrambi. Il comando di Polizia locale si trova nello stesso stabile del Comune di San Donato, paese dove ha sede lo storico quartier generale dell' Eni. Per tutto il pomeriggio i carabinieri della Compagnia di San Donato e del Nucleo investigativo di Milano hanno ascoltato le testimonianze di altri agenti, di qualche impiegato, di alcuni familiari.
E in qualche modo tutti i racconti descrivono un' antipatia personale, una difficoltà di Schipa nei rapporti col comando, «che però è sempre rimasta al livello di discussioni, anche accese, ma mai degenerate, anche per il rapporto gerarchico». Come dire: una di quelle situazioni di attrito che si incancreniscono e che è facile ritrovare in molti uffici. I colleghi più vicini a Schipa aggiungono però che quel rapporto gerarchico aveva un certo peso nei contrasti: i superiori che imponevano all' agente le pattuglie a piedi, che spesso gli cambiavano i turni con avvertimenti all' ultimo momento.
CADAVERE IN SALA SETTORIA
E proprio su questo stanno lavorando ora i carabinieri, con l' obiettivo di capire se le richieste del comando a Schipa rientravano in reali e giustificate esigenze di lavoro o se, come ha insistito ieri anche la moglie, fossero delle vessazioni. «Massimo Schipa era un uomo tranquillo - ricorda il collega milanese - si teneva sempre in forma».
Nell' ultimo mese, per lo stress, era molto dimagrito.
POLIZIA