Alessandra Mammì per
http://mammi.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/12/28/2015-lanno-del-more-is-more/
okwui enwezorl x
Ci sono cose che non si dimenticano. Cose che svelano lo spirito dei tempi. Mostre che penetrano nei sogni, artisti che sanno costruire nuovi simboli. Ecco due o tre cose che hanno dato un volto all'eccessivo 2015.
La biennale di Okwui Enwezor (maggio) il direttore più politicamente corretto che c’è (a meno che Alejandro Aravena a fine maggio con la sua Architettura non gli strappi lo scettro). Mostra che ha diviso e confuso.
padiglione italia biennale arte 2015 20
Tra il “Capitale” di Marx letto ogni giorno come un breviario o un libro mistico; tra opere di ex ragazzi anni Settanta ancora arrabbiati; tra molta blackness e bei video; tra un omaggio a un cineasta di genio (vedi opera omnia di Harun Farocki in una sequenza di schermi) e la sala di apertura dedicata a Fabio Mauri; tra la scoperta o riscoperta di tanti, meno noti ma bravi artisti dell’avanguardia newyorkese rimasti ai margini del mercato (e dunque della storia)…. è stata una bella avventura.
biennale arte japan venezia
Più che messa in scena del pensiero di Marx, riflessione sulla presenza del comunismo nel nostro immaginario e sulla sua potenza creativa, evocativa, artistica e letteraria nel corso del Novecento. In tempi di neo-liberismo inquinato e decadente, una vera boccata d’ossigeno.
Mount Olympus 24H di Jan Fabre (ottobre). Ventiquattr’ore vere e tutte di fila, con qualche pausa in mezzo come si usava tra i greci agli albori del teatro, perché su quello si è esercitata la potenza d’immaginazione e costruzione di questo titanico, rubensiano ed eccessivo artista che non ha mai neanche per un minuto della sua vita preso in considerazione la pace del “less is more” razional-minimalista.
JAN FABRE
Così nelle nostre analgesiche esistenze il “More is more” di Jan Fabre entra come un pugno improvviso. Le 24 ore per chi le ha vissute (testimonio per 16) sono penetrate sotto la pelle e nei sogni. Medea, Antigone, Agamennone, Elettra… gli dei, gli eroi, le vittime… l’orrore, la bellezza, i corpi perfetti e quelli imperfetti… i muscoli, il sangue, il sudore… la danza, la musica, il canto… le nebbie, il buio, le luci.Un ipnotico e incalzante delirio onirico che raggiunge il profondo, sommuove, commuove e spaventa. Provare per credere.
jan fabre teatro argentina
Ci saranno altre repliche nell’anno a venire:
30/01/2016 Antwerpse Kleppers, Toneelhuis, Anversa
05/03/2016 Teatro Central Siviglia
21/05/2016 WienerFestwochen Vienna,
24/09/2016 Kaaitheater, Bruxelles
jan fabre
Val pena mettersi in viaggio come molti ragazzi giunti da tante parti d’Italia e d’Europa per bivaccare al teatro Argentina di Roma come fossero sul Monte Olimpo.
L’età dell’Angoscia. Musei Capitolini Roma (giugno-settembre). Non una mostra archeologica, ma una mostra politica. E non solo il passato (per la precisione III secolo) , ma L’ETERNO presente. Come eravamo o come siamo? Conflitti e migrazioni di popoli, la crisi che battezza il secolo come quello del “Ferro arrugginito” in caduta libera dall’ "Impero dell’oro" di Marco Aurelio; l’incertezza politica; le guerre di religione e la frenetica speculazione edilizia nella capitale dell’Impero che risponde con compulsivo grandeur agli scricchiolii nelle sue periferie. Imperversano le religioni esoteriche, si moltiplicano stregoni e indovini, culti mitraici e conversioni all’unica religione che avrebbe vinto su tutte: il cristianesimo.
MUSEI CAPITOLINI
Nella totale incertezza sociale ed economica agli oracoli sono poste sempre più domande come «mi ridurrò a mendicare?», «avrò il mio salario?»…L’angoscia trasformata in mostra aggredisce fin dalla prima sala. Già nei ritratti di imperatori, notabili, militari con figli e mogli che accolgono il visitatore. Complimenti alla ritrattistica romana che nel suo immenso talento non ci risparmia rughe problematiche e occhiaie profonde di antenati in equilibrio sull’abisso.
Mentre l’Impero scricchiola sui confini e porta la guerra in casa …..
juan munoz
Hangar Bicocca Pirelli. Ovvero il luogo delle mostre più belle 2015. Più intelligenti. Più sorprendenti. Vien voglia di prendere il passaporto per entrare all’Hangar tanto si è immersi in una realtà di profilo internazionale che non segue mai i sentieri più ovvii ma costruisce con gli artisti (o per gli artisti) le installazioni che da sole equivalgono a una saggistica. Quindi non vien che da ringraziare per aver restituito ad Juan Munoz la potente malinconia, il senso di umanità, la struggente qualità scultorea e compositiva che con pezzi singoli e abbandonati in mostre collettive rischiava di essere fraintesa.
conversation piece munoz
E ringraziare di nuovo adesso per quell’ora e quaranta di proiezioni, film, musica immagini che racchiudono l'intero ciclo di “Hypothehis”: opera totale di Philippe Parreno che totale non sarebbe senza la collaborazione fattiva del musicista Nicolas Becker, del curatore Andrea Lissoni, del collega Liam Gillick più il serio investimento di questa istituzione nella vera cultura visiva.
MUNOZ HANGAR BICOCCA 2
Gianfranco Baruchello. Un esempio per tutti noi. Non solo un maestro, un intellettuale, un grande artista, un uomo di eccezionale cultura etc… non solo un saggio che ha saputo aspettare così tanti anni che gli venisse riconosciuto in patria il suo vero valore senza rancori o lamenti, perché sapeva che sarebbero stati un freno a mano e non valeva la pena di perder tempo…ma un uomo che è incuriosito da tutto/ da tutti e dal lavoro di altri artisti anche molto lontani da lui, cercando ogni volta di registrare quel che di stimolante ha visto o ascoltato.
MUNOZ HANGAR BICOCCA
Le sue conversazioni poi sono sempre sorprendenti, sorrette da nessi logici fuori dal seminato e dall’ovvio. Omaggio dunque a Baruchello che a Londra in ottobre in una personale ha portato tutte opere nuove, sgobbando un anno intero, perché lui ha sempre qualcosa di nuovo da dire.
Omaggio a Baruchello che al Macro di Roma nell'ambito del progetto espositivo "L’Albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte", ideato e curato da Achille Bonito Oliva, ha costruito un’oasi di pensiero. Una quercia giovane e una radice vecchia; un letto, luogo del sogno, del riposo e della riflessione; alcuni monitor, immagini in movimento, sollecitazioni ulteriori da cui partire per immaginare/pensare; un comodino con piccole boccette che contengono essenze/parole derivate dai sogni.
hans ulrich obrist e gianfranco-baruchello
Il pubblico è invitato a lasciare indicazioni per partecipare a questo laboratorio dell’immaginazione. “Come la quercia” l’ha intitolata. E le querce non si spostano. E tantomeno si smontano (il 10 gennaio prossimo) come una qualsiasi mostra. Che il museo, lo stato, il comune, la provincia o tutti insieme si diano da fare perché quella quercia resti lì. Non è solo un’opera di Baruchello è un albero cosmico e appartiene a tutti.
alberto grifi e baruchello
La Grande Madre. Dove il curatore della mostra diventò padre il giorno dell'inaugurazione. Proprio così: Massimiliano Gioni la conferenza stampa l'ha fece via Skype, con le occhiaie del caso e l'aria stralunata di chi non sa ancora bene cosa gli è successo. Eppure di parti e neonati ne aveva visti parecchi in quel paio di anni in cui ha lavorato alla più grande e intelligente mostra sull'iconografia non solo della Madre ma del corpo della donna, dell'idea di maternità, del potere del maschio ma anche della sua impotenza di fronte al "mistero della vita" .
Massimiliano Gioni con opera di Baruchello
Attraversando le lotte femministe, gli ambigui sentimenti delle artiste surrealiste, l'approdo a maternità post-umane e concettuali,tra video e foto, disegni, dipinti e performance, ai confini di un mondo dove la scienza sta rivoluzionando l'unicità del concepimento e della gravidanza, la "Grande nutriente e cannibalica Madre" del nostro immaginario ha preso corpo in una delle sue più complete manifestazioni. Ce la ricorderemo a lungo.
la grande madre, mostra di gioni
Adriàn Villar Rojas E a chiudere questo anno tormentato, contorto, drammatico e barocco, un anno eccessivo in tutto nel conflitto, nella tragedia, nel collasso del clima e della storia; a condensare in un’immagine la veglia e l’incubo, l’utopia e la distopia le paure che ci volteggiano intorno e che prendono inevitabilmente corpo nelle opere e nelle mostre, non poteva essere che lui. Argentino dal corpo minuto e gli occhi grandi, coreografo o impresario di una bottega dell’arte eterna.
big mother thumb[2]
Uno scultore (chissà se è giusta la definizione) dell’immaginario collettivo dove la natura e, i micro e macro-organismi, la putrefazione e il monumento, tutto trova una collocazione nell’universo parallelo che chiamiamo arte.
villar rojas sandretto
Lì tra le primitive pietre che han rotolato fin nell' indimenticabile mostra della Fondazione Sandretto a Torino o di fronte al bestiario che ha fatto emergere dal Bosforo per la Biennale di Istanbul, Villar Roja ha strappato un sipario, sfuggendo alla dittatura della ragione e riconsegnandoci la meraviglia. More is more, anche qui… è l’estetica di un anno che si è chiuso ovunque nel nome dell’eccesso.
villar rojas villar rojas sandretto obrist adrian villar rojas, fondazione sandretto re rebaudengo, torino 8 VILLAR ROJAS adrian villar rojas fondazione sandretto re rebaudengo torino 7 480x360 villar rojas 3 adrian villar rojas. rinascimento 2015 installation view 17 adrian villar rojas rinascimento opening alla fondazione sandretto re rebaudengo torino 2015 foto giorgio perottino villar rojas 9 VILLAR ROJAS adrian villar rojas, fondazione sandretto re rebaudengo, torino 0