Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
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Qui gatta ci cova. Non c' erano riusciti i barbari né i Barberini, i Galli e neppure i Vandali, ma alla fine ce la fecero i grillini. Il simbolo di Roma rischia di abdicare a vantaggio di un' altra bestia, in un cambio onomastico e animalesco. E la Lupa capitolina si fece Gatto Rosa. Cosa sia successo al vecchio canide, trasformatosi in un micio, non è dato sapersi. Bisognerebbe chiedere lumi alla Raggi che, con un guizzo felino, ha deciso di modificare l' icona dell' Estate Romana, tradizionale rassegna culturale della Capitale.
La mamma Lupa, icona millenaria della Città Eterna, nutrice di Romolo e Remo, diventa una gatta dal manto rosa a pois, una bestiolina single senza cuccioli o pargoli da allattare, forse espressione della necessità di quote rosa pure nel mondo animale. I "figli della Lupa" si ritrovano così a essere figli di una micia sorniona e fiera, aristocratica e longeva. Dai sette colli alle sette vite come i gatti il passo o, meglio, il balzo è breve.
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A livello estetico la sostituzione non ci dispiace neanche troppo, dato che il gatto esprime altrettante forza e nobiltà di quante possa esprimerne una lupa. E poi, dopo 2.700 e passa anni di onorato servizio, la Lupa avrà pure il diritto di prendersi una pausa e di far riposare le sue mammelle.
Il punto è capire cosa abbia indotto questa fantasiosa operazione di marketing. Qualcuno ha intravisto, dietro la sostituzione faunistica, l' onda lunga della tendenza iconoclasta, la volontà di rottamare e sostituire i vecchi simboli della tradizione, magari infangandoli o imbrattandoli di vernice (rosa). Un attacco, insomma, alla storia e all' identità di Roma, portato avanti da chi è stato ingiustamente discriminato: Cat Lives Matter.
O addirittura un tentativo femminista e furbesco, da gattamorta, di dare spazio alla donna anziché alla mamma.
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Leggere così questo cambio iconografico significherebbe però pretendere troppo dai grillini e credere che abbiano in testa una qualche forma di politica culturale. Ciò che cogliamo, in questa scelta, è piuttosto l' ambizione un po' infantile e un po' megalomane di lasciare qualche traccia di sé, e di essere ricordati come coloro che cambiarono volto alla Città Eterna.
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Da qualche tempo la Raggi si è cimentata in una specie di gioco creativo da nomi, cose, animali e città. Ha cambiato il nome alle stagioni, tanto che l' Estate Romana è stata ribattezzata «Romarama», un «nome non propriamente bellissimo», come ha ammesso lo stesso vicesindaco, ma che «verrà ricordato» (forse per la sua bruttezza). Ha cambiato i nomi delle strade e ne ha cambiato anche il numero, tanto che, come avverte un consigliere grillino, la Raggi ha fatto più vie di quante non ne abbiano fatte gli antichi Romani.
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E infine ha cambiato gli animali simbolo della Capitale. La sindaca vuole passare alla storia come il novello Romolo che si allattò alla Gatta, come la Virginia che rimpiazzò Virgilio nel cantare genealogia e mitologia della Città, o come colei che fu all' altezza dei suoi grandi cineasti: dalla Roma di Fellini alla Roma dei Felini. Vuole segnare uno spartiacque, la Raggi, nella storia dell' Urbe: rendere la Capitale cuore pulsante del gattolicesimo o almeno regno degli Aristogatti, dove domina Romeo, er mejo der Colossseo.
Poi però non si lamenti, la sindaca, se al momento di votare gli elettori grillini si ridurranno a quattro gatti.
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