Alessandro Barbera per “La Stampa”
salvini papeete
Con l'abilità del tecnico di andreottiana memoria, Mario Draghi ha spento (per ora) le tensioni nella maggioranza. Quando Matteo Salvini a metà pomeriggio varca il portone di Palazzo Chigi è per chiudere la polemica sulla delega fiscale.
Lega e Forza Italia hanno ottenuto la modifica della norma nella parte in cui era previsto l'aggiornamento delle rendite catastali ai «valori di mercato». L'aggettivo scelto per riscrivere il secondo comma dell'articolo sei parla di «rendita ulteriore», e peccato che resti anche l'impegno scritto a nessun aumento di tasse fino al primo gennaio 2026.
discorso di mario draghi al parlamento europeo strasburgo 5
Ma poiché in politica le apparenze contano, per il leader leghista era importante sottolinearlo. «Una riformulazione grammaticale» la definisce con un filo di ironia il presidente della Commissione Finanze della Camera Luigi Marattin.
Più significativa è la decisione del governo di rinunciare all'armonizzazione delle rendite finanziarie: quello è il prezzo che il premier deve pagare al tentativo, nelle prossime ore, di chiudere l'accordo su una faccenda ancor più delicata, ovvero il disegno di legge sulla concorrenza.
LUIGI MARATTIN
Salvini è tentato di chiedere lo stralcio della norma che - seppur lentamente - punta ad adeguare le concessioni balneari alla sentenza del Consiglio di Stato sull'obbligo delle gare pubbliche. Se ne parlerà lunedì in un vertice di maggioranza formalmente convocato per suggellare l'accordo sul fisco.
Draghi vorrebbe portare in fondo anche l'iter della delega fiscale, ma deve scegliere le priorità e fare di necessità virtù. Di tutti i provvedimenti in discussione alle Camere, quello sulla concorrenza è il più atteso dall'Europa. Il testo è fermo in Commissione al Senato: finora sono stati discussi quindici articoli su trentadue, e Palazzo Chigi vuole l'approvazione definitiva entro l'estate. Solo così ci sarà il tempo per i molti decreti di attuazione entro la fine dell'anno. Se così non fosse, sarebbe a rischio la concessione della seconda rata da venti e più miliardi del Recovery Plan.
SALVINI CASANOVA PAPEETE
Per il governo Draghi la guerra in Ucraina è allo stesso tempo un elemento di stabilizzazione e un rischio. Fuori dall'Italia nessuno capirebbe una crisi di governo: lo sa il premier, lo sanno i partiti.
E così ciò che fino a ieri appariva impensabile è possibile: dopo aver accontentato Salvini, Draghi ha dovuto cedere alla richiesta dei Cinque Stelle di concedere il bonus da duecento euro anche ai percettori del reddito di cittadinanza. Senza la guerra e l'inflazione galoppante ci sarebbe stata materia per uno scontro politico con la Lega.
salvini putin conte
Anche in questo caso lo staff di Palazzo Chigi ha fatto un complicato esercizio di mediazione. Lega e Forza Italia hanno ottenuto la una tantum per i lavoratori autonomi, il partito di Giuseppe Conte ha rinunciato a dare battaglia per una nuova e ampia modifica (l'ennesima) della cedibilità del bonus edilizio al 110 per cento. Una volta «venduto» ad una banca, potrà essere concesso a un solo correntista.
«I problemi purtroppo sono altri», ammette una fonte di Palazzo Chigi. Tutte le energie di Draghi sono sulla visita della settimana prossima a Washington e su come prepararsi all'ipotesi concreta che il conflitto in Ucraina duri oltre l'estate.
SALVINI AL PAPEETE
Con il consueto stile impolitico, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha detto che per rinunciare al gas russo occorre prima riempire gli stoccaggi: solo in autunno l'Italia si potrà permettere scelte radicali. Ieri il premier e Cingolani ne hanno parlato a lungo con il numero uno dell'Eni Claudio Descalzi. La prossima tappa del tour del gas sarà in Mozambico, uno dei Paesi da cui l'Italia può ricevere grossi quantitativi di gas liquido.
A Palazzo Chigi si sono già fatti i conti: comunque andranno le prossime elezioni, il nuovo governo non si insedierà prima di un anno. Giusto il tempo necessario a rendere l'Italia autonoma da Mosca e a prepararsi ad un'altra novità fin qui poco discussa dai partiti: la fine dell'ombrello protettivo della Banca centrale europea sui conti italiani.
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