- SALVINI VUOLE CONFERMARE DESCALZI ALL'ENI MA NON HA FATTO I CONTI CON IL TRIBUNALE DI MILANO
DAGONEWS - Come mai il ministro dell'Interno Salvini si è lanciato in lodi sperticate dell'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, all'indomani delle condanne per il caso Eni-Saipem? I motivi sono due: il manager avrebbe aiutato il governo nel pasticciaccio libico, e al momento la Lega non ha nomi forti per il dopo-Descalzi in Eni, e dunque il leader con la felpa si è messo in testa di riconfermarlo quando scadranno i vertici.
DESCALZI
Ovviamente il diavolo rossonero fa le pentole ma non i coperchi, e ci pensano procura e tribunale di Milano a rovinare i suoi piani: il processo che vede coinvolti Descalzi, Scaroni e Bisignani non vedrà la sua conclusione prima di marzo, cioè quando dovranno essere fatte le nomine. Cosa farà quindi Matteo? Sceglierà comunque Descalzi incurante dell'eventuale verdetto di colpevolezza oppure preferirà giocare di prudenza? Ah, saperlo…
- ENI E SAIPEM, LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNE SALVINI: "STIMO E RINGRAZIO L' AD DESCALZI"
Emilio Randacio per ''La Stampa''
Tangenti in Nigeria, per accaparrarsi giacimenti off shore, mazzette in Algeria, per la controllata dell' Eni, Saipem, questa volta per ottenere sette concessioni.
salvini sull aereo militare verso la libia
Due giorni neri per le nostre aziende partecipate dallo Stato. Lunedì le motivazioni sulle prime condanne sul giacimento Opl 45 nel mare nigeriano, e le ombre sul numero uno del gruppo Claudio Descalzi. Ieri, è toccato a Saipem conoscere le motivazioni che hanno portato alla condanna degli ex vertici, sempre per corruzione internazionale, a pene di poco inferiori ai 5 anni.
Nonostante quanto emerge dagli atti giudiziari, a sorpresa il ministro dell' Interno Matteo Salvini si schiera senza se e senza ma, al fianco di Descalzi. «Lo stimo e ringrazio lui e l' Eni per quello che fanno in Italia e nel mondo». E ancora: «Un sistema Paese dovrebbe tutelare le sue aziende migliori. Dico solo questo e non commento le sentenze». I due, pochi mesi fa, sono volati insieme in Congo per una visita ufficiale, probabilmente da lì il rapporto, e la stima è cresciuta.
salvini sull aereo militare verso la libia
Ieri, però, i giudici milanesi sul management che gestisce strutture estrattive e carburanti, hanno descritto un altro ritratto impietoso. Sull' Algeria, la quarta sezione del tribunale - presidente Giulia Turri -, tre mesi fa ha condannato per corruzione internazionale l' ex ad di Saipem Pietro Tali (4 anni e 9 mesi), e gli ex direttori finanziario e operativo, rispettivamente Alessandro Bernini (4 anni e un mese) e Pietro Varone (4 anni e 9 mesi).
Secondo la procura, rappresentata dai pm De Pasquale e Palma, tra i condannati doveva esserci anche l' ex ad Eni, Paolo Scaroni e uno dei manager a lui più vicini, Antonio Vella. Per loro, però, i giudici hanno emesso una doppia assoluzione. Accuse «non delineate con sicurezza», la motivazione.
Come per la Nigeria lunedì, anche in Algeria, per mettere le mani su 7 appalti della società governativa Sonatrac, Saipem avrebbe versato «compensi di mediazione».
Marie Madeleine Ingoba moglie di Claudio Descalzi
Un sofismo, in realtà. Tangenti, nell' ordine del 3 per cento dei lavori ottenuti. In totale, circa 192 milioni di dollari, versati a un prestanome dell' ex ministro degll' energia algerino, Chabib Kelil, attraverso false mediazioni. Questo sarebbe stato l' unico modo per spuntarla su altre multinazionali. A ricordarlo, le prime dichiarazioni di Varone, uno dei condannati, che ha raccontato il sistema che vigeva in Algeria. In Saipem, secondo i giudici milanesi, «non c' era alcun controllo, neppure a posteriori, sulla bontà della scelta degli intermediari, né sulla puntualità ed effettività delle attività svolte».
La società di San Donato, fino a pochi anni fa totalmente controllata da Eni, è stata condannata per la responsabilità penale degli enti a 400 mila euro.
Non solo. I giudici hanno ordinato la confisca di 192 milioni, la cifra pagata per la corruzione. Una pena accessoria salata. Per il Tribunale, vi è infatti stata «piena prova dei plurimi pagamenti del prezzo della corruzione» e del «"pactum sceleris" stipulato tra Tali e il ministro algerino Khelil a partire da marzo 2006» e del fatto che «Saipem aveva iniziato ad ottenere i primi inviti a partecipare alle gare avvantaggiandosi della relazione illecita intrattenuta con lo stesso Khelil».
- «LADY DESCALZI E I RAPPORTI CON ENI» MA LEI: CON QUELLA SOCIETÀ IO NON C' ENTRO
Luigi Ferrarella per il ''Corriere della Sera''
Una società grossa fornitrice di Eni, «Petro Service Congo», che dal 2012 (quando Claudio Descalzi era il capo del settore esplorazione e produzione di Eni) al 2017 (quando Descalzi era, come oggi, amministratore delegato di Eni) ha affittato a «Eni Congo Sa» navi e logistica per un controvalore contrattuale di 105 milioni di dollari, nel 2014 apparteneva - tramite la controllante società lussemburghese «Cardon Investments sa» - alla moglie congolese di Descalzi, Marie Magdalena Ingoba.
DESCALZI CON MOGLIE
«Non ho mai sentito parlare di questa società, non ho mai avuto a che fare con questa società», risponde da Parigi la signora Ingoba interpellata tramite il suo legale Nadia Alecci. Eppure documenti in possesso delle autorità finanziarie del Lussemburgo indicano che sia stata la moglie di Descalzi l' 8 aprile 2014, 6 giorni prima che il governo Renzi indicasse Descalzi quale nuovo n.1 della multinazionale italiana, a vendere le proprie quote di «Cardon Investments sa» al 35enne uomo d' affari britannico (operativo a Monaco) Alexander Anthony Haly.
Il nome di Haly non è nuovo: lo scorso 5 aprile è stato indagato e perquisito a Monaco dalla Procura di Milano (insieme all' allora n.3 di Eni, Roberto Casula, e alla manager ambientale Eni Maria Paduano) in quanto formale «director» di una «società di comodo» britannica, «World Natural Resources Ltd».
descalzi
E in quel decreto di perquisizione i pm esprimevano la convinzione che il governo del Congo, in cambio dell' assegnazione di permessi di sfruttamento di giacimenti a Eni, da un lato avesse «suggerito» a Eni di riservare quote azionarie di minoranza al gruppo locale «"Aogc-Africa Oil&Gas Corporation sa", riconducibile a Denis Gorkana, consigliere speciale per gli affari petroliferi del presidente del Congo», Denis Sassou Ngueso; e che, dall' altro lato, nella medesima intesa illecita, per invogliare gli italiani ad associare negli investimenti il gruppo Aogc «avente pubblici ufficiali congolesi tra i soci occulti», lo stesso Aogc congolese avesse trasferito il 23% del permesso di sfruttamento petrolifero «Marine XI» a manager Eni nascosti appunto dietro la «World Natural Resources Ltd» apparentemente appartenente dal 2014 a Paduano, e prima dal febbraio 2012 al giugno 2014 proprio ad Haly.
Il dato di fatto puramente storico, e cioè l' indicazione lussemburghese della moglie di Descalzi come venditrice ad Haly nel 2014 della «Cardon», controllante tutto un nugolo di società «Petro Service» (una per ogni Paese) fornitrici di Eni per centinaia di milioni (105 appunto già solo nei contratti con Eni della filiale in Congo), suona così sorprendente da essere spiazzante.
Al mercato, alle autorità di controllo o alla stampa non è mai stato dichiarato che la moglie di Descalzi potesse avere (o aver avuto) attività imprenditoriali con controparte Eni, e dunque potenzialmente in conflitto di interessi.
Scaroni Descalzi Bisignani
Nell' assemblea Eni dello scorso 18 maggio, la società aveva ribadito che «non risultano partecipazioni di dirigenti o amministratori in società fornitrici, che non siano di mero investimento e come tali non censite». In più la compagnia petrolifera aveva ricordato che «in base alla normativa interna, gli amministratori sono tenuti a rilasciare periodicamente dichiarazione sui loro "soggetti di interesse"»; e che «in ogni caso il Codice Etico di Eni prevede espressamente l' obbligo per tutti i dipendenti di evitare e segnalare conflitti di interesse tra le attività economiche personali e familiari e le mansioni che ricoprono all' interno dell' azienda».
Di fronte alle carte lussemburghesi, dunque, le possibilità teoriche sono solo tre. La prima (con due sotto-ipotesi) è che la moglie di Descalzi abbia davvero avuto la società e l' abbia venduta nel 2014 ad Haly: o con Descalzi consapevole ma silente, o senza che la moglie ne facesse mai cenno al marito (neanche per caso quando due mesi fa l' Espresso aveva scritto che in Francia la moglie di Descalzi e la figlia del presidente del Congo risultavano azioniste alle Mauritius della «African Beer Ltd», del tutto estranea all' Eni ma operativa nel produrre birra).
KEN ETETE
La seconda ipotesi è che, avendo Ingoba per qualsiasi altro rapporto d' affari rilasciato una qualche procura ad Haly, la procura sia stata usata per compiere operazioni finanziarie facendole figurare come disposte da lei. La terza ipotesi è che i documenti in possesso delle autorità del Lussemburgo siano «fabbricati», cioè falsi creati ad arte e inoculati nel circuito istituzionale-finanziario lussemburghese per screditare il n.1 Eni.
DAN ETETE