Lidia Catalano e Lodovico Poletto per “la Stampa”
ALBERTO CIRIO CON LA MASCHERINA
Sei mesi fa, nel pieno dell'emergenza, il Piemonte scontava la carenza di laboratori. Erano appena due, con una capacità di processare 120 tamponi al giorno. Troppo pochi per provare a tracciare e contenere una pandemia che solo nella regione mieteva fino a 100 vittime al giorno. Impossibile pensare di isolare i positivi, individuare i loro contatti stretti interrompendo la catena del contagio.
Le conseguenze sono state drammatiche e hanno fatto del Piemonte la terza Regione d'Italia più colpita dalla pandemia, subito dietro la Lombardia e l'Emilia Romagna. Molte lacune di allora oggi sono state colmate. I laboratori del sistema sanitario regionale sono 15 e si sommano a quelli dei privati, portando la capacità massima delle strutture piemontesi a circa 11 mila tamponi.
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Esattamente quelli che la regione dovrebbe garantire ogni giorno per ottemperare a quanto previsto dal Dpcm di aprile, che imponeva tra gli indicatori di monitoraggio della fase 2 uno standard minimo di almeno 250 tamponi al giorno ogni 100 mila abitanti.
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Eppure quell'obiettivo non è mai stato raggiunto. Per tutto il mese di settembre la quota di test effettuati si è attestata tra i 5-6000 al giorno, contro gli oltre 10 mila di Emilia-Romagna e Veneto (territori paragonabili in termini di popolazione) e i 20 mila della Lombardia. Ora che i contagi hanno ricominciato a galoppare - 1500 nuovi casi negli ultimi due giorni - e la pressione sugli ospedali inizia a farsi sentire, la regione guidata da Alberto Cirio torna nel mirino.
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Troppo pochi tamponi, denunciano i medici e le opposizioni in Consiglio regionale. E dire che proprio dall'unità di crisi piemontese, da quel gruppo di lavoro guidato dall'ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, era arrivata l'indicazione precisa di arrivare a 15 mila test al giorno. Una potenza di fuoco mai raggiunta.
Ad oggi i guai del Piemonte nel contact tracing restano tanti. Dalla scarsa produttività dei laboratori regionali per l'analisi dei tamponi, alla carenza dei reagenti che si riflette anche sulle capacità di analisi («che cala anche del 50%»). Sui tavoli della Regione e delle Asl del Piemonte c'è un documento che denuncia tutte le carenze del Piemonte. È stato realizzato da una commissione di esperti.
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Punta il dito sulle Asl meno produttive (fanalino di coda sono quelle del cuneese, ma anche il capoluogo di regione ha qualche difficoltà). Chiede la creazione di una piattaforma informatica comune per tutti laboratori e le aziende, così che la mappatura e lo scambio di informazioni siano rapidi e veloci. Dichiara che intervenire è fondamentale per far sì che la macchina del tracciamento dei contatti funzioni.
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E poi c'è la questione dei laboratori di analisi privati, un parterre da implementare rapidamente se si vuole rientrare nei parametri previsti dal decreto aprile e inseguire ciò che aveva suggerito il gruppo di supporto istituito la scorsa primavera e guidato dall'ex ministro Fazio. Ma ciò che manca - a monte di tutto - sono le forniture per i test. A cui devono provvedere le Asl regionali. Visto che Invitalia ha fatto calcoli disallineati rispetto al reale.
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