Elena Meli per www.corriere.it
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Fischi e mugugni, risatine e vere e proprie vocalizzazioni sono segnali provenienti dal mondo dei sogni, perché non è sempre vero che chi dorme lo fa in silenzio. Gli psicologi esperti di sonno conoscono bene il fenomeno di queste espressioni vocali di chi dorme, che possono assumere aspetti affascinanti, perché sembrano provenire da un universo al quale chi è sveglio non ha accesso.
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Il fenomeno è più frequente tra i bambini e i giovani, ma chi parla nel sonno di norma non se ne rende conto, a meno che non venga svegliato immediatamente. Il più delle volte il partner di letto lo informa la mattina seguente che durante la notte «ha parlato». In genere comunque chi parla nel sonno, al contrario di quanto si vede talvolta nei film, non rischia di svelare trame e segreti inconfessabili.
«La maggior parte delle vocalizzazioni si limita a una-cinque parole» dicono gli autori dello studio Sleep talking: A viable access to mental processes during sleep, pubblicato sulla rivista Sleep Medicine Reviews, guidati da Luigi De Gennaro del Dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma.
«La durata media di queste vocalizzazioni è di uno-due secondi, la massima di circa 30 secondi. Il volume può variare dal sussurro al grido e c’è accordo sul fatto che gli episodi di vocalizzazione hanno contenuti più emozionali se avvengono durante il sonno REM, rispetto ai contenuti più piatti e non emozionali del sonno non-REM».
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Neologismi
Durante il sonno non-REM, le frasi sono poi più frequentemente sconnesse, con la produzione anche di neologismi incomprensibili, mentre durante il sonno REM l’articolazione del discorso può raggiungere una certa strutturazione. C’è una stretta relazione tra il parlare nel sonno, detto anche sonniloquio, e la frequenza con la quale si ricordano i sogni.
«Chi ha la tendenza a parlare durante il sonno spesso è anche una persona che con maggior facilità ricorda i propri sogni» dice De Gennaro. «Inoltre, dati provenienti dalla ricerca indicano che esiste una coerenza tra i contenuti del sonniloquio e quelli dei sogni, almeno per come vengono ricordati.
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Anche se può sembrare sorprendente, questo stretto rapporto tra sogni e sonniloquio può potenzialmente essere utilizzata per superare alcune difficoltà decennali nell’indagine sui sogni. Infatti per la maggior parte gli studiosi si sono in realtà limitati a studiare il ricordo dei sogni piuttosto che i sogni stessi nel momento in cui sono generati dalla mente che dorme. Esplorare direttamente le parole che vengono pronunciate durante il sonno potrebbe invece permettere indagini sui sogni mentre si stanno svolgendo».
Contenuti volgari
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Oggi si sa che nei sogni c’è una prevalenza di contenuti a carattere emozionale, con riferimenti frequenti agli eventi della vita quotidiana o a situazioni che sono state vissute come traumatiche. «E sono frequenti, anche se a qualcuno può non fare piacere saperlo, contenuti espressi con un linguaggio volgare, spesso in associazione a situazioni erotiche» dice ancora De Gennaro, il cui gruppo studia in particolare i meccanismi cerebrali alla base delle esperienze emozionali che si fanno durante i sogni.
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«Si tratta di strutture e meccanismi in larga parte sovrapponibili a quelli che svolgono la stessa funzione durante l’attività diurna. Un esempio per tutti è rappresentato da una piccola formazione chiamata amigdala, nota per svolgere un ruolo cruciale nella regolazione delle emozioni negative durante il giorno. Alcuni studi indicano che svolgerebbe lo stesso ruolo anche nel sonno e che la neurochimica cerebrale sottostante sia simile a quella della veglia».
Continuità tra veglia e sonno
Uno studio realizzato dal gruppo di ricerca di De Gennaro sui sogni di pazienti affetti da Malattia di Parkinson – che quindi avevano un ridotto funzionamento dei network cerebrali mediati dalla dopamina - ha messo in evidenza un ruolo di questo neuromediatore nella produzione di sogni, che in questi pazienti sono infatti risultati poco vividi e impoveriti.
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C’è un altro esempio di continuità tra meccanismi della veglia e del sogno dice ancora De Gennaro, «ed è rappresentato dagli incubi dei pazienti affetti da Disturbo Post-Traumatico da Stress. Come gli psichiatri hanno descritto da decenni, i flashback visivi dell’esperienza traumatica che sono alla base di questo disturbo rappresentano un suo sintomo cardine. In assoluta continuità, chi ne soffre vive sogni terrifici e incubi notturni che sono spesso una rivisualizzazione della scena del trauma».
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