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    RICORDANDO L'11 SETTEMBRE 2001! "CIAO MAMMA. UN AEREO E' ANDATO A SBATTERE CONTRO IL WORLD TRADE CENTER ONE. HO APPENA VISTO UNO CHE CADEVA, PROBABILMENTE DAL 91ESIMO PIANO, FINO A TERRA" - LA MAMMA DI BRAD FLETCHER, MORTO ALL'89ESIMO PIANO DELLA TORRE SUD, RICORDA IL MESSAGGIO CHE IL FIGLIO GLI AVEVA LASCIATO IN SEGRETERIA QUELLA MATTINA: "NON AVER PRESO LA TELEFONATA RESTERA' IL MIO PIU' GRANDE RIMPIANTO DELLA MIA VITA" - "LE TEORIE COSPIRATIVE? NON GLI DEDICO UN SECONDO DI ATTENZIONE..." - VIDEO


     
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    Paolo Mastrolilli per “La Stampa”
     

    ATTACCO ALLE TORRI GEMELLE ATTACCO ALLE TORRI GEMELLE

    «Ciao mamma, sono Brad. Volevo solo chiamarti... per informarti. Di sicuro avete sentito che un aereo è andato a sbattere contro il World Trade Center One. Noi stiamo bene, siamo nella torre due. Io sono ovviamente vivo... ma... è un'esperienza piuttosto terrorizzante... ho appena visto uno che cadeva, probabilmente dal 91° piano, fino a terra... perciò... umh. Sei benvenuta a chiamarmi, penso staremo qui tutto il giorno. 
     

    foto rare dell 11 settembre 9 foto rare dell 11 settembre 9

    Ma... fammi una telefonata più tardi. Ti voglio bene». Erano passate da poco le 8,46 del mattino, l'11 settembre 2001, quando Brad Fetchet aveva lasciato questo messaggio per la madre Mary, nella segreteria telefonica della loro casa in Connecticut. Lui, 24 anni, era all'89° piano della torre sud, dove lavorava come broker per Keefe, Bruyette & Woods. Pochi minuti dopo, alle 9,03, il volo United 175 si era schiantato contro la South Tower, tra il 77° e l'85° piano. Brad era rimasto intrappolato sopra le fiamme. «Quelle sono state le sue ultime parole», dice adesso Mary, diventata una delle più famose attiviste dei famigliari delle vittime con il VOICES Center for Resilience. «Non aver preso la telefonata e non essere riuscita a richiamarlo in tempo - aggiunge con la voce rotta - resterà il più grande rimpianto della mia vita». 
     
    Cosa ricorda di quella mattina? 

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    «Stavo lavorando in una clinica per le malattie mentali, mio marito mi aveva avvertita che Brad aveva chiamato. Un collega mi aveva portata a casa e avevo sentito il messaggio. Avevo provato a richiamare, ma non c'era risposta. Il cielo era blu, senza nuvole. Ricordo soprattutto il silenzio. Uno dopo l'altro erano arrivati gli amici: qualcuno portò cibo, altri rispondevano al telefono. Facemmo la denuncia per le persone disperse».
     
    Speravate ancora di trovarlo vivo?
    «Come tutti. Magari era scappato in tempo, e adesso era in ospedale o in giro per New York. Non fu così, per tremila persone».
     

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    Quando avete capito?
    «La sua azienda teneva il conto dei dipendenti. Parecchi giorni dopo ci chiamarono per dire che non pensavano che Brad fosse riuscito ad uscire dalla torre. Aspettammo ancora un po'. Un altro problema era che non avendo il corpo, esitavamo sul funerale. Verso la fine di settembre tenemmo un memorial. Poi, in tre occasioni e luoghi diversi, i soccorritori identificarono alcuni resti di Brad, che ci consegnarono per seppellirlo».
     
    Oggi avrebbe 44 anni, come lo ricorda?
    «Era fidanzato e si sarebbe sposato presto. Sarei nonna, con un nipote al liceo. È molto dura. Pensiamo spesso a come sarebbe stata la sua vita, quando vediamo i suoi amici di allora sopravvissuti, ma siamo felici per loro».
     
    Alla Commissione di inchiesta chiese perché Brad era rimasto nella torre. Ha ricevuto risposta?
    «Si erano basati sull'esperienza dell'attacco del 1993, e i protocolli che allora ritenevano più sicuri, senza sapere che era un attentato e il secondo aereo stava arrivando».
     
    Chiese perché gli attacchi non furono prevenuti.

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    «È stato un enorme fallimento dell'intelligence, ma perciò è stata importante la Commissione. Ha consentito di riconoscere gli errori e correggerli. Le agenzie ora comunicano, le forze dell'ordine sono addestrate per l'antiterrorismo, e siamo più sicuri. La minaccia è globale, richiede coordinamento globale».
     
    Restano i sospetti sull'Arabia Saudita.
    «Serve trasparenza. Le agenzie non devono nascondere informazioni che possono aiutare ad identificare i colpevoli. Bisogna pubblicare tutto».
     
    Crede che l'Arabia abbia aiutato gli attentatori?
    «Non abbiamo mai davvero scoperto chi ha finanziato gli attacchi, e se non lo capiamo non saremo mai sicuri. Gli stessi metodi possono essere usati per radicalizzare altri terroristi, che colpiranno in qualsiasi paese».
     

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    Biden ha promesso di pubblicare i documenti segreti.
    «È un grande passo nella direzione giusta».
     
    Cosa pensa del ritiro dall'Afghanistan?
    «Ora onoriamo le vite perdute. Il dibattito si potrà fare dopo».
     
    Cosa ha provato quando bin Laden è stato ucciso?
    «Un senso di sollievo, perché ero preoccupata che cercasse di coordinare altri attacchi».
     
    VOICES fa un lavoro enorme per le famiglie, siete soddisfatti della risposta?
    «I protocolli per rispondere alle tragedie sono di breve termine, 12 o 18 mesi. Il governo federale non riconosce che le famiglie hanno bisogno di aiuto di lungo termine, fisico e mentale».
     

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    Oggi 75 milioni di americani sono nati dopo l'11 settembre, correte il rischio di essere dimenticati?
    «No, ma a questo servono il museo e l'istruzione».
     
    Cosa risponde alle teorie cospirative?
    «Non gli dedico un secondo di attenzione. I medici forensi hanno 7.000 resti umani non identificati, e 1.100 famiglie non hanno ricevuto nulla. Tra sopravvissuti e soccorritori, 83.000 sono in cura e 4.700 sono morti dopo gli attacchi. Non ho tempo per i cospiratori».
     

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    L'attenzione c'è ancora, nell'America così divisa?
    «L'11 settembre è una pietra miliare della nostra storia, però l'istruzione deve continuare per tenerla viva».
     
    Come sono cambiati gli Usa negli ultimi 20 anni?
    «Abbiamo fatto molti progressi per la sicurezza nazionale, ma il terrorismo resta una minaccia per tutto il mondo. Siamo a rischio, voglio che i governi facciano tutto il possibile per proteggerci».

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