Luca Telese per “la Verità”
virginia raggi
E se si votasse a Roma? E se il primo cittadino della Capitale ritornasse una carica contendibile? Per adesso si tratta di un caso di scuola improbabile, perché Virginia Raggi gode di una maggioranza blindata dal punto di vista numerico, e - ovviamente - spera di raccogliere nell' ultima parte della sua legislatura il frutto delle realizzazioni di medio-lungo termine. Ma è anche vero che Roma è stata eletta a campo di battaglia con una sfida campale, lanciata via radio da Matteo Salvini, concedendosi un inconsueto grado di esplicitazione: «Roma è trascurata e poco seguita» aveva detto il leader del Carroccio a Radio anch' io, «la Lega sta preparando progetti per una Roma diversa».
matteo salvini e virginia raggi 4
Non è un mistero che la Raggi e Salvini si detestino, anche sul piano dei carismi personali. Lei aveva invitato lui - via Giovanni Floris - ad andare a lavorare. Lui aveva replicato con un avviso di sfratto. Lei lo aveva beffeggiato con un video a base di mollichelle di pane sul debito di Roma («Non è difficile: lo puoi capire pure tu»), lui ha reagito facendo saltare il cosiddetto «Salvaroma». Lei si è tolta lo sfizio del gesto atletico quando - con coraggio - è andata a prendersi i fischi a Casal Bruciato.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI BY CARLI
Insomma: nulla li unisce, tutto li divide, e Matteo ha conquistato nel voto per Strasburgo parte delle periferie che avevano investito in modo bulgaro la candidatura di Virginia.
Il paradosso dunque è questo: emergenza rifiuti, cadaveri all' università, guerriglia su appalti e scale mobili biblicamente inceppate fanno di Roma una capitale «scalabile», prima ancora che per i giudizi sull' operato della giunta, per i dati simbolici che ne hanno fatto la protagonista di un racconto nazionale di decadenza. E hanno anche eletto la Capitale - e questo è il secondo motivo di interesse - a una potenziale valvola di sfogo. Centrodestra, centrosinistra e M5s, per esempio, hanno già come potenziali candidati tre leader di spessore nazionale.
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI
Nel campo sovranista, sicuramente, il nome più forte sarebbe quello di Giorgia Meloni, che (nelle scorse elezioni) perse Roma solo per la «diserzione» di Forza Italia. Nel centrosinistra il nome più solido è quello di Carlo Calenda, appena baciato da un notevole successo personale nella circoscrizione Nord Ovest. Nel campo dei pentastellati l' unica vera alternativa forte a Virginia Raggi (qualora lei scegliesse di tirarsi indietro) è Alessandro Di Battista.
LUIGI DI MAIO ALESSANDRO DI BATTISTA BY LUGHINO
Non sfugge a nessuno, ovviamente, che queste tre candidature, oltre a dare luogo a una sfida spaziale, risolverebbero tre problemi di leadership. Calenda verrebbe sottratto al sogno di fondare un suo partito («Siamo europei»), la Meloni verrebbe distratta dalla cura di Fratelli d' Italia (proprio nel momento in cui il partito sta raggiungendo livelli elettorali da record), ad un passo dal sorpasso di Forza Italia (già annunciato nei sondaggi). Di Battista - infine - è in un momento di enorme visibilità mediatica e a Luigi Di Maio, che ha palesato chiari segnali di insofferenza, non parrebbe vero vederlo impegnato su un campo di battaglia fangoso e duro, piuttosto che averlo libero di esternare e giudicare, potenziale competitore o severo censore.
ZINGARETTI CALENDA SIMBOLO PD EUROPEE
A Roma si dice: tre palle un soldo. Calenda è tentato dalla Costruzione di Siamo europei (e Nicola Zingaretti non ne è felice), la Meloni dalla trasfigurazione di Fdi nel secondo partito del centrodestra (cosa che in Salvini non suscita entusiasmo) Di Battista verrebbe allontanato dalla possibilità di scalare il M5s (se non altro perché finché non cambiano le regole gli resta solo un mandato).
virginia raggi visita la famiglia rom a casal bruciato 13
Il fatto divertente - viceversa - è che a prima vista nessuno dei tre profili che abbiamo elencato sarebbe felice di essere designato. Forse proprio per motivi uguali e contrari a quelli che spingono i rispettivi leader a pensare a loro, per inanellare un immaginifico «promoveatur ut admoveatur». La guerra di Corea deflagrò in un teatro minore perché i due imperi della guerra fredda non potevano combattere la sfida sul terreno degli armamenti strategici nucleari. I partiti della terza repubblica, desiderosi di farsi le zanne, gonfiare i muscoli, riscuotere crediti e incassare rivincite, sarebbero tutti felici di confrontarsi sul teatro di guerra della Capitale. Qualcuno si farebbe sicuramente male, non c' è dubbio. Ma la battaglia della Capitale lascerebbe ancora aperta la guerra della legislatura.