Franco Giubilei per la Stampa
ENRICO RUGGERI
Un tuffo all' indietro di quarant' anni, quando a Londra deflagravano i Sex Pistols e in Italia Santa Esmeralda & Leroy Gomez dominavano la classifica dei 45 giri, ci riporta un Enrico Ruggeri dai capelli giallo fosforescente mutuati dal Lou Reed di Sally Can' t Dance , alle prese coi suoi Decibel e col tentativo di far soffiare il vento del nuovo rock anche nel Bel Paese. Nel video Il leader , il futuro autore di Quello che le donne non dicono si presenta con due chiavi inglesi davanti al microfono, evocando i metodi dei servizi d' ordine del movimento studentesco e prendendo per i fondelli certo conformismo politico:
«Il punk diede una grande sterzata anche da noi: in quel periodo sentivi Emerson Lake and Palmer, gli Yes, ma erano tutti troppo bravi e se volevi fare musica era una frustrazione. Poi fai un viaggio a Londra e vedi gente che suona peggio di te ma ha rabbia, idee e motivazioni».
E a Londra cosa trovaste?
RUGGERI DANNUNZIO
« Era il 1976, c' erano gruppi come Uk Subs e i primi Boomtown Rats (la band di Bob Geldof, ndr), e c' era consapevolezza che potevi fare cose anche se non eri un virtuoso strumentista. Molte band gravitavano intorno ai locali, compresa gente come Elvis Costello e Joe Jackson, che non erano punk ma giravano comunque in quei posti».
Nel 1978 esce il primo disco dei Decibel, riportava la scritta Punk in copertina e venderà poche centinaia di copie.
RUGGERI DANNUNZIO 1
«Sì, ma in realtà al chitarrista piacevano i Deep Purple, e la stessa canzone Contessa è più genere Kurt Weil, più Sparks, che non Sex Pistols, più Repubblica di Weimar che non i quattro accordi del punk».
E la musica italiana di allora?
«In quel momento per me la musica italiana faceva tutta schifo, solo maturando ho scoperto che c' erano belle differenze, e che i cantautori non erano da disprezzare. Poi nell' 80 con i Decibel siamo andati a Sanremo con Contessa : sembravamo marziani rispetto a Pupo o alla Bottega dell' Arte, la nostra apparizione al festival fu deflagrante.
Diciamo che il mondo musicale era spaccato in due, e l' Italia era dalla parte sbagliata. Fra musica ultramelodica e pop, solo i cantautori andavano per la loro strada.
Il rock di fatto non esisteva, a parte un po' Bennato»
Per voi però fu il primo successo.
ENRICO RUGGERI
«Sì, ma a noi piacevano i maledetti, i Velvet Underground, e invece sul palco ci arrivavano gli orsacchiotti lanciati dalle ragazzine, era un pubblico molto più giovane di quanto ci aspettassimo. Era bello essere famosi, ma diventare idoli delle teen-ager non era quello che ci aspettavamo».
E cominciò a scrivere per altri.
«Come è stato con Den Harrow, andavamo in studio con un altro musicista dei Decibel e gli facevo i testi. Mi serviva per fare soldi, scrivevo perché è sempre meglio che lavorare.
Poi avevo un progetto più nobile con Diana Est, di cui ho prodotto Tenax e Le Louvre (atmosfere new wave e postmoderne, ndr)».
Come è arrivato a scrivere il primo testo per Loredana Bertè?
«Ero al Festivalbar con Polvere , nell' 83, Ivano Fossati mi venne incontro per farmi i complimenti e mi chiese un brano per Loredana. In realtà quando l' ho fatto non pensavo a lei; era novembre ed ero superentusiasta, era un periodo in cui scrivevo un brano al giorno, Il mare d' inverno l' ho scritto davanti al pianoforte, l' altro brano era Nuovo Swing . Ho trovato il primo più adatto, a Fossati è piaciuto e la Bertè lo ha cantato. Allora soffrivo di sovrapproduzione, scrivevo più di quanto incidevo».
enrico ruggeri e i nastri arcobaleno
Comporre per un' interprete femminile comporta un approccio diverso da parte dell' autore?
« Scrivo canzoni per il piacere di farlo, mi viene naturale, poi Quello che le donne non dicono è uscita subito al femminile e ho pensato di affidarla in prima battuta a una donna, a Fiorella Mannoia. Fra l' altro quell' anno, l' 87, vincevo a Sanremo con Si può dare di più insieme a Umberto Tozzi e Gianni Morandi, ma non era un pezzo da cantautore e rischiava di essere pericoloso per me, ma allo stesso tempo Fiorella vinceva il premio della critica nella stessa edizione del festival, e questo bilanciava».
C' è una canzone a cui si sente più legato?
«Difficile rispondere dopo tanti album, diciamo che quella più autobiografica è una canzone non di prima fascia, Ulisse , in cui in realtà descrivo me stesso».
I suoi musicisti preferiti chi sono?
«Le mie radici sono Bowie, Lou Reed, gli Sparks, gli Stranglers, quasi sempre gruppi d' Oltremanica a parte Lou Reed, e poi i cantautori francesi. Fra i nostri, De Gregori e Battiato mi sembrano di categoria superiore».
Non c' è incongruenza fra la vena punk, post-punk e la canzone d' autore che ha praticato?
Enrico Ruggeri
« La grande sfida è riuscire a fare musica particolare abbinata a buoni testi. Il rock è difficile da tradurre in canzone d' autore. Il miglior complimento che mi possano fare è rock d' autore, mentre l' insulto peggiore è quando mi definiscono pop: così mi sembra di aver vissuto invano».
I talent sembrano essere diventati l' unica via per avvicinarsi alla musica, tu sei stato anche giurato, cosa ne pensa?
«Che è un' incompletezza del sistema. I talent ti spingono a scegliere quelli che cantano meglio, ma non credo che De Gregori, Paolo Conte o Ruggeri, ma neanche Vasco e Ligabue, sarebbero stati scoperti in quel modo. Non dovrebbe essere l' unico mezzo per trovare nuovi talenti, ma c' è un patto fra discografia e tv, che ha esigenze che non collimano con quelle della discografia. In dieci anni di talent non tanti sono emersi, e sono tutti pop».
A cosa sta lavorando?
«Sto facendo le mie solite cose: ho un mio studio, dove posso andare con un tecnico e starci una settimana. Sto scrivendo, sto cercando dentro di me, a un certo punto arriverà».
ENRICO RUGGERI elio ruggeri