philip roth
E' morto lo scrittore Philip Roth, gigante della letteratura contemporanea americana e mondiale. Aveva 85 anni. La notizia è stata data dal New Yorker e confermata anche dal suo agente letterario, Andrew Wylie, che ha detto che Roth è morto per insufficienza cardiaca. "E' morto circondato dai suoi amici di una vita che lo hanno profondamente amato", ha scritto il suo biografo.
Discendente di una famiglia di ebrei emigrata dall'Europa nel 19° secolo, Philip Milton Roth era nato a Newark, nel New Jersey, il 19 marzo del 1933, si era laureato alla Bucknell University ed aveva conseguito un master in letteratura inglese all'Università di Chicago. I suoi primi racconti erano stati pubblicati, mentre insegnava a Chicago e in seguito all'Università della Pennsylvania, dalla Paris Review, su Esquire e sul New Yorker.
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L'autore di 'Pastorale Americana' - per cui vinse il Premio Pulitzer nel 1997 - e di 'Lamento di Portnoy' è morto in un ospedale di Manhattan. La scomparsa è stata confermata dalla amica Judith Thurman, scrive il New York Times. Scrittore prolifico, il suo lavoro è considerato un'esplorazione profonda e critica dell'identità americana. Sesso, religione, morale, i temi ricorrenti trattati con una grande ironia in una produzione vasta e punteggiata da figure letterarie iconiche, da Nathan Zuckerman a David Kepesh e Alexander Portnoy. Lo scrittore viveva fra New York e il Connecticut.
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La sua poetica partiva dalla vita familiare nella comunità ebreo-americana, ma ha raccontato soprattutto la società americana del secondo Novecento, toccando tutti i temi, dal sesso alla morale e agli ideali americani.
Esordì nel 1959 con "Addio Columbus' e dieci anni dopo pubblicò 'Il lamento di Portnoy ' che oltre al successo e alla notorietà gli attribuì anche l'etichetta di scrittore 'scandaloso' per come osò sfidare il pudore affrontando il tema del piacere con un registro tragicomico che consegna la figura di Alexander Portnoy all'Olimpo della creazione letteraria. Con 'Pastorale Americana', del 1997, aprì un capitolo molto più esplicito nella sua osservazione politico-sociale, il primo di una trilogia che comprende 'Ho sposato un comunista' e 'La macchia umana'.
Autore di oltre 30 libri, Roth era un autore dai toni feroci e crudi e un realista intransigente, che si confrontava i lettori con uno stile audace e diretto che disprezzava il falso sentimento o le speranze di una ricompensa celeste. Lo scrittore nel 2009 aveva annunciato il suo ritiro dall'attività di romanziere.
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2. TUTTE LE DONNE DI PHILIP ROTH SONO OTTIME SCUSE PER PUBBLICARE LIBRI
Antonio Gurrado per il Foglio – 5 febbraio 2015
Le ho contate: sonno diciassette. Mica tante le donne che hanno lasciato nella vita di Philip Roth un segno tangibile a sufficienza da meritare di venire ricordate più o meno di sfuggita nella biografia “Roth scatenato” di Claudia Roth Pierpont (Einaudi), la quale esordisce assicurando che nonostante il cognome non sono parenti. Se volete un termine di raffronto, i romanzi di Roth sono trenta, quasi il doppio. Perfino la quarta di copertina dell’edizione italiana ammicca alla fama che, forse per colpa del “Lamento di Portnoy”, lo vuole ossessionato dalle donne; però è evidente che Roth fosse tutto il contrario, ossessionato piuttosto dall’urgenza di scrivere e come tale propenso a fuggire le donne per trovare il tempo e la solitudine necessari.
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Le tante recensioni negative di femministe militanti, che la biografia cita a bizzeffe, anelano forse a cogliere quest’aspetto della sua ostilità o diffidenza verso le donne ma inevitabilmente si fermano alla superficie lampante: l’accusa di considerarle solo come oggetto sessuale. Poiché la carne è debole, talvolta il metodo più sbrigativo per liberarsi di una donna è sedurla. Roth non se lo fa dire due volte, certo, ma queste diciassette che costellano la sua biografia – mica tante, davvero, per un ottantenne che dal lontano 1960 ha sempre potuto mantenersi con premi e diritti senza dover far altro che scrivere – sono le donne alle quali è scampato.
Philip Roth, Lamento di Portnoy
Dell’ultima, “una stangona di un metro e ottanta” di nemmeno trent’anni, è stato facile sbarazzarsi: le ha chiesto di sposare in lui un magnifico esemplare di scrittore settantenne e lei ha nobilmente rifiutato garantendoci altri sette romanzi per il decennio successivo.
Poi ci sono state “una torrida relazione con una ex lesbica” che si è impegnato a trasformare in amicizia casta, e in tempi più recenti un’innominata alla quale ha pensato di dare un figlio salvo poi non pensarci più. “Se questa fosse una normale biografia ci sarebbero nomi e date”, scrive la Pierpont che insegue la vita creativa di Roth quindi si concentra sui romanzi anziché sui pettegolezzi. Le donne appaiono all’improvviso e in breve si dileguano, lasciando l’impressione che tutta la scrittura di Roth sia stata una reiterata fuga dalla prima moglie, Maggie Williams, sposata nel ’59 ovvero quando esordiva col primo libro e ancora non supponeva che sarebbe riuscito a mantenersi scrivendo.
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A Maggie Roth restò legato da affetto ambivalente, come accade sempre con le persone orribili, e nonostante la precoce e costosissima separazione fu in grado di fare i conti con lei solo nel ’67, eternandola in “Quando lei era buona”. L’anno dopo Maggie morì. Per disfarsi della seconda moglie, l’adorabile attrice Claire Bloom, Roth dovette dar fondo alla tortuosità cerebrale, sposandola nel ’90 dopo quattordici anni di fidanzamento durato grazie anche a una “spudorata poliamante”; pochi mesi prima aveva pubblicato “Inganno”, in cui compare un marito che si chiama Philip e tradisce una moglie che si chiama Claire.
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Nel ’93, il divorzio lo chiese lui. Di tanto in tanto alcuni fantasmi gli riappaiono, ancora negli anni 2000: scrisse “Indignazione” e ne spedì una copia alla diretta ispiratrice, “l’autrice dell’unico pompino” mai azzardato nella sua università fra il ’50 e il ’54; una ragazza che nel frattempo era diventata nonna e, anche a causa di un ginocchio malandato, declinò l’invito a rivedersi. Ancora oggi, quando gli capita di rincontrare per caso una delle sopravvissute fra le diciassette, Roth scopre che ha almeno settant’anni con sgomento pari quasi al sollievo che provò durante una cena con l’autrice stessa della biografia: vedendolo terrorizzato dall’omonimia, lei gli assicurò che nonostante l’assenza di legami di sangue non erano mai stati sposati.
3. SE MI CENSURATE NON PUBBLICO
Luigi Mascheroni per “il Giornale” pubblicato da Dagospia 8-luglio 2015
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Il romanzo di Philip Roth Portnoy's Complaint fu pubblicato negli Stati Uniti nel 1969, iniziando un lungo, accidentato ma ininterrotto cammino di successo che ha attraversato il secondo Novecento della letteratura mondiale. Un libro-culto, come si dice. In Italia uscì l'anno successivo, nel 1970, da Bompiani, col titolo Lamento di Portnoy nella traduzione di Letizia Ciotti Miller. Bene. Tutte cose più che note.
È invece poco (o per nulla) noto ciò che rivela una lettera di Philip Roth, scritta al suo editore italiano, mai pubblicata, e che riemerge dall'oblio per il fatto di essere stata messa in vendita da una libreria antiquaria italiana.
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Dattiloscritta con firma autografa di Philip Roth, datata New York 17 dicembre 1969, la lettera è diretta all'editore Bompiani. Poche righe nelle quali l'autore di Newark, in quel momento trentaseienne, nega la propria disponibilità a un taglio voluto dalla censura italiana al suo romanzo.
Che - piuttosto - preferisce non sia pubblicato nel nostro Paese. «Non posso assolutamente concedere il permesso di modificare il testo come il vostro avvocato suggerisce - scrive Roth (la traduzione è nostra) -.
Sono contro ogni censura per ragioni che non siano letterarie, e di conseguenza preferisco che il mio romanzo rimanga inedito in Italia piuttosto che censurare il testo per renderlo un po' più appetibile per le autorità.
Ho già informato il mio agente a Londra, Deborah Rogers, che sono pronto a restituire l'anticipo versatomi dalla vostra casa editrice nel caso in cui non foste in grado, o non voleste, pubblicare la traduzione del testo completo americano a causa delle sanzioni legali che potrebbero esservi imposte».
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E in effetti a garantire al Lamento di Portnoy polemiche a non finire e, nello stesso tempo, un incredibile successo di pubblico (la prima edizione fruttò un milione di dollari) fu l'utilizzo di termini e descrizioni «pornografiche», fra espliciti desideri sessuali ed estenuanti attività onanistiche.
Sono quindi comprensibili i dubbi che all'epoca (siamo alla fine del 1969) percorsero l'ufficio legale della Bompiani. Ciò che interessa, però, è che Valentino Bompiani non cedette alle pressioni delle «autorità» italiane preposte alla censura e il romanzo uscì nel 1970 integralmente, senza alcun taglio (per dire: il secondo e quarto capitolo nella traduzione italiana s'intitolano «Seghe» e «Figomania»).
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Alla fine, l'Italietta degli anni Sessanta era meno bigotta, e più coraggiosa, di quanto si pensi. E sì che, al confronto, un romanzetto come Atti osceni di Marco Missiroli, che ne fa il verso 45 anni dopo, è persino più soft, oltre che scialbo. Ma questa è storia.
Per la cronaca, invece, va segnalato che la lettera (non compresa neppure nel carteggio Caro Bompiani. Lettere con l'editore curato nel 2007 da Gabriella D'Ina e Giuseppe Zaccaria) compare nel nuovo catalogo della Lim, libreria e casa editrice di Lucca specializzata in manoscritti e autografi (per informazioni limantiqua@limantiqua.it). Prezzo? 1.500 euro.
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PHILIP ROTH INTERVISTATO DALLA SERVADIO philip roth NEL SESSANTOTTO philip roth PHILIP ROTH custom b a ee d bc ec dfb cbebb s c