MANUELA MESSINA per la Stampa
VITTORIO SGARBI
Esiste «un’epica Sgarbiana» per la Corte d’Appello di Milano. Un argomento cultural-giuridico che emerge dalle motivazioni dalla sentenza con cui i giudici nel febbraio scorso hanno prosciolto il critico d’arte dall’accusa di avere minacciato dei carabinieri durante un litigio avuto a Expo tre anni prima.
I fatti: è il 22 maggio 2015, l’esposizione universale è stata inaugurata da una ventina di giorni, e l’ex parlamentare è atteso alla presentazione della mostra Il tesoro d’Italia, di cui fanno parte opere da lui scelte. È in ritardo e senza accredito, ma pretende di entrare comunque, a bordo di una macchina guidata dal suo autista di fiducia Nicola Mascellani. I militari lo bloccano, e comincia il battibecco.
sgarbi
Volano parole grosse. «Sei un fascista – dice Sgarbi all’indirizzo di un carabiniere – non fate un c... e ci vedremo in Tribunale. Siete due cogl... vaffanc...!». Quindi risale in auto, prova a forzare il blocco, infine scende di nuovo. E ricomincia l’alterco. «Adesso chiamo il prefetto e Sala (l’ex ad di Expo, ndr) perché c’è un Duce che non mi fa entrare!». E così via.
Sgarbi finisce a processo per resistenza a pubblico ufficiale e oltraggio. Risarcisce i carabinieri e l’Arma con 11mila euro, ma viene comunque condannato in primo grado a 5 mesi di reclusione (il suo autista a 4 mesi). Nel febbraio scorso la Corte d’Appello di Milano ribalta il verdetto, accogliendo sia le tesi delle difese di Sgarbi e Mascellani, gli avvocati Giampaolo Cicconi, Paolo Rossi e Andrea Righi, che del sostituto pg Celeste Gravina, hanno stabilito che il reato di resistenza a pubblico ufficiale, contestato originariamente dal pm Elio Ramondini a entrambi gli imputati, sia già stato assorbito da quello di oltraggio. Ed ecco la motivazione.
formigli sgarbi
L’esclamazione «Vi porto in Tribunale», secondo i giudici, non è minacciosa ma rientra nel «consueto approccio forzatamente aggressivo e denigratorio che tale personaggio adotta nelle più svariate occasioni» e contraddistingue «il personaggio come un “brand” o un marchio di fabbrica». E ancora: la frase è «l’esemplificazione pratica e gestuale del suo disprezzo e insofferenza per qualsiasi forma di coercizione e controllo» e fa parte di una «epica “Sgarbiana” (definita efficacemente e condivisibilmente dal pg nella sua requisitoria solo “sgarbata”» e di un «approccio appare macchiettistico, forzato, fuori contesto e sopra le righe da scadere a consunto luogo comune, come una moderna versione del proverbiale (e ridicolo) ’lei non sa chi sono io».
SGARBI