Andrea Galli per il Corriere della Sera
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Le migliori inchieste nascono dai piccoli particolari e crescono con il tempo e soprattutto la fatica, mentale e fisica. Gli investigatori della Settima sezione dell’Ufficio prevenzione generale diretto da Maria José Falcicchia hanno dedicato tre mesi d’attività, partendo (quasi) da zero, per «scoprire» una banda di ladri georgiani.
È un dato storicizzato che i georgiani siano i «re» dei furti in appartamento. Preparati, maniacali nella ricerca degli obiettivi: mai un «colpo» facile giusto per raccattare qualcosa, ma sempre attacchi rischiosi (e remunerativi), gli appartamenti di inquilini benestanti, condomìni sorvegliati dalle telecamere, abitazioni protette da allarmi ultra tecnologici, zone della città (hanno rubato in Fiera come vicino all’Arco della Pace) più «fisiologicamente» soggette al frequente passaggio delle forze dell’ordine.
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Se dunque la nazionalità non è un inedito (da gennaio le «volanti» della Questura hanno arrestato 61 persone per «colpi» nelle case e 18 sono georgiane), la conformazione di quest’ultima banda presenta un dato nuovo. Il capo era un italiano. Dino Gavazzeni, 44enne della provincia di Varese, lavora nel mondo delle slot-machine dei bar. Qui ha conosciuto i georgiani e qui è nata l’idea: lui a scegliere i luoghi dei furti e gestire la rivendita della merce rubata, loro a entrare in azione. Dopodiché, chiaro, ed è la stessa Falcicchia a riconoscerlo, al cittadino interessa che casa sua non venga svaligiata e non che il criminale autore del «colpo» venga comunque catturato.
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Della lunga galleria dei reati, il furto in appartamento è uno di quelli maggiormente lesivi, al di là del bottino, perché viola l’intimità e innesca un altissimo senso generale d’insicurezza. Ciò premesso, il medesimo cittadino deve sapere che esistono sia ladri improvvisati, che magari razziano per fame, disperazione e assenza d’un lavoro; ma deve anche sapere che sovente, come dimostrano i georgiani, l’estrema «professionalità» rende i malviventi difficili da anticipare e ancor più da catturare.
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La banda si serviva di «telefonini-citofono», apparecchi da 20/30 euro di prezzo, datati, coi servizi essenziali (chiamare e rispondere), acquistati e intestati a prestanome, utilizzati per poche ore (l’immediata vigilia d’un «colpo») e subito buttati. Dopo un furto, un georgiano s’era dimenticato un «telefonino-citofono» nell’appartamento svaligiato. Quel cellulare conteneva in agenda un solo numero, che ugualmente indirizzava a un prestanome. Attraverso le «celle» dei telefonini, gli investigatori hanno censito le zone e i tempi di comparizione di quei prestanome a Milano. Dopo averli agganciati, hanno esteso la «rete» ad altri numeri collegati e iniziato gli accertamenti. Decine e decine, centinaia e centinaia di accertamenti. Senza perdere il filo e la pazienza.
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Un numero ha «portato» a un iPhone4 regolarmente acquistato da un georgiano, finito sotto pedinamento. I primi incontri dell’uomo non hanno dato esito: si intratteneva con persone «inutili» dal punto di vista dell’inchiesta. Fin quando è stato notato con un connazionale: erano due ladri che stavano preparando un «colpo». In scena sono entrati altri georgiani, ovvero tutti i componenti della banda. È scattata la trappola. L’operazione è stata chiusa e altri furti in progetto sono stati evitati dalla polizia.