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    STA CADENDO IL CASTELLO DI CARTA DELLA FINANZA, COSTRUITO IN 10 ANNI DI TASSI BASSI, LIQUIDITÀ ABBONDANTE E ZERO RISCHI. GLI INVESTITORI STANNO SMONTANDO IN FRETTA E FURIA QUELLE STRATEGIE D'INVESTIMENTO CHE SERVIVANO PER AUMENTARE I RENDIMENTI IN TEMPI DI CALMA, MA CHE ORA DIVENTANO DEI PERICOLOSI BOOMERANG, ATTIVATI SIA DAGLI ALGORITMI SIA DA UMANI IN PREDA AL PANICO


     
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    Morya Longo per ''Il Sole 24 Ore''

     

    Non è più solo il coronavirus. Non è più solo il flusso di notizie a far precipitare e risalire i mercati finanziari come fossero yo-yo impazziti. Il problema ormai è anche un altro: sta cadendo quel gigantesco castello di carta finanziaria costruito in un decennio di tassi bassi, liquidità abbondante e assuefazione ai rischi. Gli investitori stanno insomma smontando in fretta e furia tutte quelle strategie d’investimento che servivano per aumentare i rendimenti in tempi di calma, ma che ora diventano dei pericolosi boomerang.

     

    WALL STREET BORSA NEW YORK STOCK EXCHANGE WALL STREET BORSA NEW YORK STOCK EXCHANGE

    E dato che tutti fanno la stessa cosa contemporaneamente, i mercati si ingolfano e vanno in tilt: la liquidità sparisce, le quotazioni crollano, l’incertezza si autoalimenta. In un vortice. È così che nascono i tracolli seguiti da super-rimbalzi. O i movimenti apparentemente inspiegabili, come l’oro o i titoli di Stato Usa trentennali che cadono insieme alle Borse.

     

    «Le posizioni d’investimento che andavano bene nello scenario pre-coronavirus sono diventate complicate da sostenere nel nuovo contesto – spiega Bruno Rovelli, chief investment strategist di BlackRock -. All’inizio di una correzione si cerca solitamente di coprire i portafogli comprando beni rifugio, ma se le tensioni diventano eccessive gli investitori sono costretti a smontare le posizioni sui mercati. E vendono tutto, non solo ciò che è in perdita».

     

    TRADER A WALL STREET TRADER A WALL STREET

    A quel punto scattano meccanismi boomerang dei mercati, come i cosiddetti “margin call”, che amplificano i tracolli. Fino a creare un effetto domino incontrollabile, che si autoalimenta sia nei crolli sia nei rimbalzi. Il boomerang della volatilità Il primo grande problema di questi giorni è stato causato dall’improvviso aumento degli indici che misurano la volatilità: per esempio il Vix, passato da un livello pari a 15 il 20 febbraio a 75 ieri.

     

    Non solo gli algoritmi, ma anche molti gestori patrimoniali e fondi d’investimento usano infatti la volatilità (che sia proprio l’indice Vix oppure il Var) come principale parametro per misurare i rischi dei mercati. Insomma: un unico indicatore determina comportamenti di massa. Quando la volatilità era bassa, fino a metà febbraio, gli algoritmi e queste strategie riempivano dunque i portafogli di azioni e di titoli rischiosi.

     

    Per questo ancora a febbraio, con il coronavirus già pesante in Cina, Wall Street era sui massimi storici: perché la bassa volatilità “ingannava” tutti. Poi però il coronavirus è arrivato in Europa e la volatilità è aumentata. Apriti cielo: più l’indice Vix ha iniziato a salire più algoritmi e strategie basate su questi indicatori sono stati costretti a vendere azioni e titoli rischiosi. In massa. «Siccome le vendite sono state forti, amplificate da alcune strategie quantitative che hanno un’elevata leva, la volatilità ha continuato a crescere - spiega Mateo Ramenghi, direttore investimenti di Ubs -. Questo ha creato un corto circuito».

     

    Concordano gli analisti di Bank of America: «I forti cali delle Borse di questi giorni non sono tanto dettati dai fondamentali, quanto dal più grande shock sul Var dai tempi di Lehman». Datemi una leva... Ad amplificare il tracollo c’è stato anche un altro fenomeno: la leva. Tanti investitori negli ultimi anni hanno comprato azioni o bond facendosi prestare i soldi dalle banche.

     

    INTELLIGENZA ARTIFICIALE INTELLIGENZA ARTIFICIALE

    Solitamente ci si indebita dove i tassi sono bassi (ultimamente in Europa e Giappone) per investirli dove i ritorni sono maggiori (per esempio negli Usa). Ma quando tutto tracolla, si fa l’inverso: si vendono titoli in dollari (facendo cadere la moneta Usa) per rimborsare i prestiti in euro. Arrivando al paradosso dell’euro che nei giorni scorsi si apprezzava contro una valuta rifugio come il dollaro.

     

    Ma la leva fa un danno molto maggiore: dato che chi si fa prestare soldi per investire offre alla banca azioni in garanzia, man mano che le azioni perdono di valore la banca chiede nuove garanzie (più azioni, bond o cash) oppure è costretta a vendere a sua volta le azioni per recuperare soldi. Sono i cosiddetti «margin call», che in questi giorni hanno pesato sul mercato.

     

    «Noi nell’ultima settimana abbiamo dovuto chiedere di reintegrare le garanzie tre volte», testimonia un banchiere di un grosso istituto internazionale che lavora nel settore. Anche qui il meccanismo diventa autoreferenziale: più scattano i «margin call» più il mercato crolla e fa scattare nuovi «margin call». È questo che in alcune sedute pare abbia affossato l’oro, nonostante sia un bene rifugio. La pressione dei clienti Questi sono solo esempi.

     

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    Si potrebbero citare le strategie chiamate «cash and carry» a leva, che in questi giorni hanno contribuito a mandare in tilt il mercato dei titoli di Stato Usa obbligando la Fed a intervenire iniettando liquidità. Anche ieri la Federal Reserve di New York ha annunciato l’acquisto di 37 miliardi di dollari in titoli di Stato Usa, come misura di emergenza. Si potrebbero citare molti altri esempi.

     

    Ma tutti portano allo stesso fenomeno: vendite forzate, che sono l’altra faccia degli spensierati acquisti che si vedevano fino a poche settimane fa. Ilproblemaèchequestoingolfamentodelmercatostaprosciugandolaliquiditàsututtoilmondoobbligazionario, e questo rende difficile per i fondi o gli Etf soddisfare le richieste dei clienti che vogliono smobilizzare. Nella sola ultima settimana- stima Bank Of America- i riscatti sono stati al record storico per i fondi obbligazionari (34 miliardi tra corporate bond ed emergenti) e sugli Etf. Così le pressioni aumentano. E non bastano giorni di isterici riassestamenti al rialzo, come ieri, per cambiare lo scenario.

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