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    TEMPO DI LIBRI, NON DI LETTORI – VISITATORI IN AUMENTO ALLA FIERA DI MILANO MA SI VENDE POCO RISPETTO A TORINO, GLI EDITORI  SE NE TORNANO A CASA PIUTTOSTO MALCONCI - NON ERANO STATI I COLOSSI A DIVORZIARE DAL LINGOTTO ANCHE CON L'ARGOMENTO CHE LE FIERE SI VALUTANO SULLE COPIE VENDUTE?

     


     
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    Simonetta Fiori per la Repubblica

     

     

    «La fiera di Milano non è più un' opinione, è un fatto».

    Ricky Levi si appresta a un gioioso bilancio nel salottino dietro la sala stampa. Il presidente degli editori, che tanto ha investito nella seconda edizione di Tempo di Libri, fa festa con Andrea Kerbaker, il direttore culturale. «Milano ha parlato. E ha detto che questa fiera la vuole davvero. Quindi la prossima edizione ci sarà, sempre nel mese di marzo: il giorno della donna ci ha portato fortuna».

     

    Tempo di Libri non è ancora terminato, ma si possono tirare le somme. Per la "coppia di fatto" Levi & Kerbaker - confermata per il 2019 - ha funzionato "superbamente" tutto, o quasi: la formula degli incontri («solo qualche aggiustamento alla programmazione serale e alle rappresentazioni teatrali»), l' ufficio diritti con 500 agenti italiani e stranieri, il rapporto con le scuole e l' università. Inutile chiedere cifre precise perché i numeri si potranno avere solo domani.

     

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    Ma già nei primi due giorni è stato calcolato un pubblico raddoppiato rispetto alla malinconica edizione di Rho, quindi si guarda con ottimismo al traguardo dei centomila visitatori. Sin qui la fotografia della fiera scattata dai suoi organizzatori, un' immagine luminosa e ridente che non ammette riserve. Una foto truccata? No davvero. Perché questa seconda edizione è stata più felice della prima. E, a differenza dell' anno passato, ha portato in fiera le scuole e i ragazzi, lanciando esche al mondo delle università - anche il pubblico è sembrato ringiovanito.

     

    E il Mirc ha confermato l' ottimo risultato dello scorso anno, rafforzato dall' accordo con la Buchmesse. E la formula Kerbaker - tra il pop e la poesia, le youtuber e i maestri del '900, il mainstream e la nicchia - ha riempito le sale. Per non dire dell' arena Robinson, l' inserto culturale di Repubblica, che tra politica, storia e spettacolo ha inchiodato una marea di persone.

     

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    Ma c' è un aspetto che la rosea fotografia non inquadra. E non è solo il vuoto lasciato dalla parte più vitale della piccola e media editoria (da Laterza a Sellerio, da e/o a Donzelli, e tanti altri assenti). L' omissione riguarda i fatturati degli editori: si sono venduti pochi libri. E non è un dettaglio irrilevante. Il terreno diventa scivoloso, perché è difficile avere numeri certi dai grandi gruppi come Gems che hanno fortissimamente voluto la fiera a Milano. Conviene dire che tutto va bene. Ma ci basta la testimonianza di Filippo Guglielmone, il direttore commerciale di Mondadori, che pur uniformandosi alla parola d' ordine della felicità dichiara:

     

    «Abbiamo venduto di più rispetto a Rho, ma in assoluto sono valori molto piccoli, inferiori a quelli del Salone». Limitandosi alla giornata di sabato, tra le più affollate della fiera, Feltrinelli calcola vendite di gran lunga lontane dall' ultima edizione torinese (più o meno la metà). Anche Martino Montanarini, ad del gruppo Giunti-Bompiani, ci racconta di incassi dimezzati rispetto al Lingotto. Marchi come Il Mulino, Carocci e Adelphi portano a casa il 50 per cento delle vendite. La casa editrice di Elisabetta Sgarbi ancora meno. La folla passa, entra negli stand ma non compra. O compra poco. Forse perché Milano è la città con il più alto numero di librerie e se il milanese va a Tempo di Libri è per sentire gli autori, non per comprare.

     

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    Probabilmente non ha aiutato la formula dei due piani distinti: sotto i libri senza gli eventi; sopra gli eventi senza i libri. Fatto sta che gli editori se ne tornano a casa piuttosto malconci.

     

    Come finirà? Certo il fattore vendite non sarà secondario nel bilancio che Levi rimanda alla fine di maggio, quando concluso il Salone torinese si discuterà del paradosso tutto italiano di due fiere nazionali. Non erano stati i colossi a divorziare dal Lingotto anche con l' argomento che le fiere si valutano sulle copie vendute? Quanto all' anima di Tempo dei Libri, bisogna ancora aspettare. Se la sua identità è apparsa quest' anno meglio definita, il confronto con Torino resta schiacciante. Non certo per insipienza di Kerbaker o Levi, ma è come competere con la cerimonia del santo patrono o con una festa comandata. Al Lingotto palpita il cuore della tribù del libro e solo una disavventura societaria potrà fermarlo. Augurarsi che ciò avvenga non è segno di grandezza.

     

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