Francesca Paci per “la Stampa”
the danish girl
È durata un paio di giorni la programmazione qatarina di «The Danish Girl», il film del premio Oscar inglese Tom Hooper sulla vita della pioniera transgender Lili Elbe già in corsa per la statuetta del miglior attore protagonista. Uscita a Doha lo scorso weekend la pellicola è subito incappata nel veto del ministro della Cultura che martedì ne ha annunciato via Twitter la messa al bando, ringraziando generici cittadini per la loro «risoluta vigilanza». Dopo poco, di «The Danish Girl» non restava traccia nemmeno sui tamburini dei siti Novo Cinemas, Cineco Movies, Marhaba.
THE DANISH GIRL
Pur in assenza di motivazioni ufficiali è facile immaginare che la proscrizione sia legata al soggetto del film, che contiene diverse scene di nudo: prova ne sia il successivo dibattito online tra chi plaude lo stop alla «depravazione morale» e chi difende il diritto alla normalità dalla «devianza mentale dei censori».
Sebbene negli ultimi anni abbia investito molto in soft power, differenziando i propri investimenti in occidente dalla moda al calcio alle aste di arte contemporanea, il Qatar è un Paese estremamente conservatore, dove un anno fa il ministro dello sport Salah bin Ghanem bin Nasser al-Ali interpellato sull' eventuale accoglienza di atleti gay ai Mondiali del 2022 replicò: «È esattamente come per l' alcol». Ossia, vietato.
THE DANISH GIRL
Nel caso dei film la messa al bando fa a dir poco sorridere, nota la critica cinematografica egiziana Magda Khairallah: «È irragionevole perché la gente andrà comunque a scaricarsi il film su Internet». Ma i moralizzatori resistono. Negli ultimi anni in quel di Doha il cartellino rosso è toccato al bollywoodiano «Raaz 3», alle video-epopee «Noah» e «Exodus», a «The Wolf of Wall Street», sforbiciato dai previdenti distributori di almeno un quarto delle scene riguardanti sesso e droga. Le autorità pretendono di agire nel nome del comune senso del pudore: secondo un sondaggio della Northwestern University del Qatar l' 80% degli spettatori del grande schermo ritiene giusto oscurare quanto potrebbe offendere la sensibilità sociale.
THE DANISH GIRL
In realtà non è solo il Qatar. Due anni fa a giubilare la storia del patriarca biblico interpretato da Russell Crowe si scomodò l' università cairota al Azhar, il Vaticano sunnita, seguito a stretto giro da Bahrein e Emirati Arabi Uniti. Si sostenne allora che la rappresentazione di un archetipo come Noè avrebbe sbeffeggiato la tradizione iconoclasta dell' Islam (sebbene nelle telenovelas di Ramadan come «Al Hassan wa Al Hussein» compaiano i nipoti di Maometto).
Quando pochi mesi dopo uscì «Exodus» il divieto ebbe argomenti politici: la fuga di Mosè, spiegarono i censori, proponeva «una visione sionista della Storia». E buio fu perfino in Marocco. Ma è quando entra in ballo il sesso (donne, gay e, nemmeno a dirlo, transgender) che gli autonominatisi tutori del bene comune si scatenano per proteggere da Hollywood il mercato delle anime: il 34% degli spettatori mediorientali giudica infatti «moralmente offensivi» i film americani, ma il 45% di loro ammette di guardali (con piacere).
eddie redmayne in danish girl