Pietro Dubolino* per “la Verità”
*presidente di sezione a riposo della corte di Cassazione
la foto di carola sul profilo vkontakte di giancarmine bonamassa 1
La Capitana della Sea Watch, prima ancora di mettere in atto la condotta che ora le viene addebitata, aveva pubblicamente dichiarato, stando alle non smentite notizie di cronaca, che quanto si apprestava a compiere trovava giustificazione nello «stato di necessità», determinato dall' esigenza prioritaria di porre fine alle gravi e insopportabili sofferenze fisiche e psichiche che alle persone salvate e prese a bordo al largo delle coste libiche derivavano dal protrarsi della loro forzata permanenza a bordo della nave.
E la stessa causa di giustificazione risulta ora evocata da quanti, in ambito politico e mediatico, tendono a prendere le sue difese, anche con riferimento al reato che ha poi dato luogo al suo arresto, e cioè quello, previsto dall' articolo 1100 del Codice della navigazione, di resistenza e violenza contro nave da guerra.
Vale la pena di osservare preliminarmente, a quest' ultimo proposito, che un noto personaggio, oggi investito di mandato parlamentare, ha voluto sostenere, facendosi forte della sua qualità di ex ufficiale di marina, che non sarebbe da considerare «nave da guerra» la motovedetta della Guardia di finanza quasi speronata dalla Sea Watch e che quindi il reato in questione non sarebbe configurabile.
CAROLA RACKETE
Peccato che tale rispettabile opinione risulti però in netto contrasto con quanto a suo tempo affermato e mai più contraddetto dalla Cassazione, secondo cui dev' essere invece considerata «nave da guerra», ai fini che qui interessano, anche «una motovedetta armata della Guardia di finanza, in servizio di polizia marittima.
Ciò premesso va detto che, in effetti, il vigente codice penale prevede, all' articolo 54, come causa di non punibilità per qualsiasi reato, il fatto che chi lo abbia commesso vi sia stato «costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona»; ciò a condizione, però, che si tratti di «pericolo da lui non volontariamente cagionato né altrimenti evitabile» e «sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».
CAROLA RACKETE
Ora, ammesso pure (e non concesso) che i migranti presi a bordo della nave fossero realmente esposti, al «pericolo attuale di un danno grave alla persona», occorre chiedersi, però, in primo luogo, se un tale pericolo non fosse stato «volontariamente cagionato» proprio dalla Capitana.
Carola Rackete, infatti, era perfettamente consapevole che, in base ai provvedimenti normativi assunti e ampiamente pubblicizzati dalle autorità italiane, non sarebbe stato consentito l'ingresso della nave nelle acque territoriali e, meno che mai, lo sbarco dei migranti. I provvedimenti erano operativi, per cui la Capitana non avrebbe dovuto prendere la decisione di sfidarli, perché ciò equivaleva a mettere consapevolmente e volontariamente gli stessi migranti a rischio di trovarsi proprio nella condizione in cui essi si sono poi effettivamente trovati.
CAROLA RACKETE
Avrebbe dovuto invece fin dall' inizio puntare su porti, ugualmente sicuri ed anche più vicini, diversi da quelli italiani. In alternativa, poi, una volta ricevuta la formale intimazione a non fare ingresso nelle acque territoriali italiane, avrebbe dovuto, almeno a questo punto, cercare altre destinazioni, sicuramente possibili a breve termine, piuttosto che ostinarsi a rimanere in zona per giorni e giorni.
Quand' anche, poi, si volesse escludere che la pretesa situazione di pericolo nella quale si sarebbero trovati i migranti fosse addebitabile alle precedenti scelte della Capitana, mancherebbe comunque la seconda delle condizioni previste dall' articolo 54 del codice penale, e cioè che quel pericolo non fosse «altrimenti evitabile» con condotte diverse da quella costituente reato.
LA BARCA DELLA GUARDIA DI FINANZA CHE RISCHIAVA DI ESSERE AFFONDATO DA CAROLA RACKETE
Al riguardo basti osservare che nulla avrebbe impedito di chiedere e ottenere l'assistenza sanitaria ritenuta necessaria per i migranti; e ciò tanto più in quanto la Corte di Strasburgo, con la stessa decisione con la quale aveva respinto il ricorso della Ong volto ad ottenere l' ordine di sbarco, aveva fatto carico al governo italiano di prestare tutta l'assistenzanecessaria alle persone che si trovavano a bordo della nave.
Da ultimo, appare anche da escludere la terza condizione, costituita dalla proporzionalità tra il fatto - reato addebitato alla «capitana» ed il «pericolo» per la salute dei migranti, dal momento che lo speronamento della motovedetta della Guardia di finanza comportava, con ogni evidenza, un pericolo immediato e diretto per l' incolumità, se non anche per la vita, dei militari che si trovavano a bordo della motovedetta; pericolo a fronte del quale quello nel quale si sarebbero trovati i migranti non poteva certo dirsi altrettanto immediato e diretto.
CAROLA RACKETE ARRESTO DI CAROLA RACKETE CAROLA RACKETE