Federico Rampini per la Repubblica
donald trump mangia tacos per il cinco de mayo
Indietro tutta, su quasi tutto? Donald Trump sembra rimangiarsi molte promesse elettorali: abbandona le più controverse, che però gli procuravano boati di consenso nei comizi. O forse dovremo abituarci alle montagne russe (Vladimir Putin stavolta non c’entra). Lo stile Trump è frenetico, dà le vertigini, il ritmo degli annunci ha la velocità di un videogame.
Quel che ha detto oggi può rinnegarlo domani, la coerenza non è il suo forte, e almeno in campagna elettorale non sembrò pagare alcun prezzo per gli ondeggiamenti frequenti. Per ora dunque si può fare solo un bilancio provvisorio e condizionale, su tutti i suoi voltafaccia dopo l’8 novembre.
I più recenti e clamorosi riguardano Hillary Clinton, e gli accordi di Parigi sull’ambiente. No, l’ex segretario di Stato non finirà dietro le sbarre. Non sarà neppure indagata da un “procuratore speciale”.
donald trump
Due minacce che Trump le rivolse in diretta tv, in un duello elettorale. Contrordine, scordiamoci il passato. Sembra normale, l’America non vuole diventare una Repubblica delle banane in cui il vincitore perseguita lo sconfitto. Però “lock her up” (mettetela in carcere) fu uno degli slogan più popolari nella base repubblicana, oggi molti siti e opinionisti di destra gridano al tradimento, volevano davvero infierire su «quella criminale».
La questione Parigi è più complicata. Trump sposò la linea della “destra carbonica”: il cambiamento climatico non esiste, forse è un complotto cinese (sic). Ora dice di avere un «atteggiamento aperto e disponibile » sugli accordi presi a Parigi. Attenzione, questo voltafaccia è avvenuto in un’intervista collettiva con la redazione molto liberal del New York Times, potrebbe essere una captatio benevolentiae. O ancora, Trump può fingere di rispettare Parigi per non urtare i firmatari (Cina inclusa), poi sfornare norme favorevoli a carbone e petrolio, nonché liquidare le regole ambientaliste dell’Amministrazione Obama. Tanto l’accordo di Parigi non prevede sanzioni per chi fa il furbo.
TRUMP PALIN
Altri dietrofront sembrano quelli sul Muro col Messico ed espulsioni di immigrati clandestini. Del Muro non parla più, non c’è nel piano dei 100 giorni. Sugli immigrati è passato dalla minaccia di espulsioni per tutti gli 11 milioni di immigrati irregolari, a quella di deportare “solo” due o tre milioni di «stranieri criminali», per poi ripiegare almeno nel programma dei 100 giorni su una semplice offensiva contro «le frodi sui visti».
Può darsi che Trump stia cominciando a confrontarsi col principio di realtà. Espulsioni di massa richiederebbero una militarizzazione del Paese; probabili conflitti con governi locali in mano alla sinistra (California e New York, ad esempio) che controllano le polizie locali; infine una semi-paralisi di interi settori economici dall’edilizia all’agricoltura dove milioni di immigrati senza permesso di soggiorno sono difficilmente sostituibili. Abbandonate anche le minacce di leggi-bavaglio sulla stampa; e l’esaltazione dell’uso della tortura contro i terroristi.
trump
Un elenco a parte deve registrare le promesse fin qui mantenute, almeno nel senso che figurano nel piano dei 100 giorni. La più importante è l’annunciata cancellazione del Tpp, il trattato di libero scambio con l’Asia-Pacifico, un vero strappo rispetto a un quarto di secolo di globalizzazione. Tra le altre conferme, almeno sulla carta, c’è un giro di vite anti-lobbisti, che però andrà verificato nei fatti, visto che la squadra di transizione del presidente-eletto è già piena di esponenti delle lobby finanziarie o industriali. Infine c’è una stretta sui pubblici dipendenti federali con licenziamento immediato per gli improduttivi.
donald trump rudy giuliani
Su un’ultima categoria di promesse è obbligatorio sospendere il giudizio. Sono quegli impegni elettorali sui quali un presidente non ha vero potere perché le riforme gliele deve approvare il Congresso. In quest’ultimo elenco figurano alcuni pezzi forti del programma elettorale. Forti riduzioni di imposte, con aliquote più basse sia sull’Irpef sia sulle tasse che colpiscono le imprese.
Una classica manovra di stampo reaganiano, nella migliore tradizione della destra. Che però Trump vuole accompagnare con un New Deal neokeynesiano sulle infrastrutture, un maxi-piano di investimenti in grandi opere. Qui dovrebbe sorgere qualche tensione coi gruppi parlamentari repubblicani dove abbondano i falchi anti-deficit. Se Trump vuole tener duro su quella manovra di sostegno alla crescita può tentare di pescare voti nell’opposizione democratica, che in linea di principio è favorevole.
TRUMP HILLARY