Ernesto Ferrara per “la Repubblica”
PROTESTA CONTRO IL RIGASSIFICATORE
«Deh, sarà anche sicuro ma sempre una bomba è», allarga le braccia passeggiando lungo il molo delle barche della paranza Massimo, ex pescatore, oggi dipendente del porto di Piombino.
Lui è uno dei tanti che non riesce a spiegarsi come mai il governo non capisca quanto sia «ingiusto» - dice - piazzare in una banchina a 300 metri da qui una nave rigassificatore lunga quanto 3 campi da calcio, tanto più proprio ora che la speranza di rifarsi una vita col turismo e l'itticoltura sembrava assicurata, per la vecchia capitale dell'acciaio italiano.
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«Va bene che non dobbiamo più dipendere da Putin ma siamo sicuri che non ci siano rischi?» si fa avanti Paolo Brancaleone mentre ripara le reti danneggiate del suo peschereccio, il "Gabbiani II".
E tutto il porto ribolle: «Io ho 30-40 amici che lavorano negli allevamenti di cozze o orate. I ristoranti in centro sono pieni, negli ultimi anni è arrivato un turismo sano, che dà lavoro. Il primo suicidio di un operaio disoccupato della Lucchini invece l'ho visto che avevo 8 anni.
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Dal 1992 la storia dell'acciaio a Piombino è finita. Io non ho strumenti per giudicare rischi e benefici del rigassificatore, dico solo che adesso non possiamo di nuovo andare a complicarci la vita », scuote il capo Alfonso, 40 anni appena fatti, mentre serve caffè e poncini coi suoi baffi alla Dalì al bar "Chalet", con vista perfetta sulla banchina "Pim", dove presto potrebbe arrivare la nave "Golar Tundra".
Solo il nome incute un qualche timore, ma alla mega imbarcazione il governo attribuisce un valore enorme: ha una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l'anno, il 6% del fabbisogno nazionale.
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Snam l'ha comprata per 330 milioni di euro, in 9 mesi potrebbe essere operativa e la dipendenza italiana dal gas russo inizierebbe a ridursi.
La ragion di Stato non basta a scalfire i dubbi e le paure, che soffiano come brezza marina nei capannelli piombinesi, dal centralissimo bar Cristallo alla piazza di Cotone, il vecchio quartiere operaio: «Perchè qui? Noi abbiamo già dato».
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Ma la decisione a Roma pare presa: Piombino dovrà avere «compensazioni adeguate», ha promesso nei giorni scorsi il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani di fatto confermando che il governo Draghi più che discutere del se sta pensando al come.
Un migliaio di persone sono scese in piazza sabato scorso mentre una cinquantina di barche di pescatori protestavano contemporaneamente in mare. E i negozi sono pieni di cartelli "no rigassificatore". Il sindaco Francesco Ferrari, l'avvocato di Fratelli d'Italia che nel 2019 ha mandato a casa la sinistra dopo 70 anni, spalleggiato dalla leader Giorgia Meloni (ma non dalla Lega) si è messo a capo della rivolta e dice di «non escludere nemmeno le vie legali» contro un'operazione che danneggerebbe «porto, pesca e turismo. E non è sindrome Nimby».
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Lo sfida il governatore Eugenio Giani, nominato commissario da Draghi e fin da subito disposto a trattare nonostante la contrarietà del Pd piombinese e dell'ex presidente Rossi. Il governatore emiliano Bonaccini dice che «se Piombino non prende il rigassificatore Ravenna si candida a prenderne due». Ma Giani non molla: ieri è andato da Cingolani con un memorandum di richieste di compensazioni per la città e la val di Cornia: «Bonifiche nell'area del porto per 200 milioni.
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I due lotti della nuova strada 398. Un parco eolico e fotovoltaico nell'area ex Lucchini che alimenti il nuovo forno elettrico atteso da Jindal per il rilancio delle acciaierie. E sarebbe il caso anche di pensare ad una riduzione della bolletta energetica per i piombinesi in cambio di un sacrificio per la nazione» invoca il governatore. «Non offendiamo l'intelligenza della mia comunità. So di non avere poteri di veto ma nessuna compensazione sarà mai possibile» ribatte Ferrari, che oggi vede Cingolani.
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Mentre il comitato del no per sabato prepara chiusure stradali. Opportunità o condanna? La vecchia Lucchini è un gigante di lamiera che occupa tre quarti dell'area portuale ma non riesce a risorgere: un tempo ci lavoravano 8 mila operai, oggi è ferma, con 1.660 dipendenti quasi tutti cassintegrati. Il turismo e le crociere invece prosperano, come l'itticoltura: il 60% delle spigole e delle ricciole prodotte in Italia sono allevate qui.
Snam spiega che l'impianto sarebbe sicuro e non ci sarebbero ripercussioni per pesca e rotte navali. «Niente assistenzialismo nelle compensazioni: l'unica cosa da fare è dare una prospettiva a questo territorio», dice il capo dei balneari Fabrizio Lotti. «Io non sono per il no a prescindere» dice anche il segretario Fiom David Romagnani. Chissà, forse per farsi una nuova vita Piombino dovrà ingoiare un altro rospo.