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    LA PIZZA DELLA ‘NDRANGHETA CONQUISTA MEZZA EUROPA – 169 ARRESTI IN TUTTA ITALIA E IN GERMANIA DOVE I RISTORANTI ERANO COSTRETTI A COMPRARE DAI CLAN – SEQUESTRATI BENI PER DECINE DI MILIONI DI EURO AL CALN FARAO-MARINCOLA


     
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    Gaetano Mazzucca e Walter Rauhe per la Stampa

     

    CARABINIERI CARABINIERI

    Le eccellenze enogastronomiche diventano made in 'ndrangheta. È quanto emerge dall' inchiesta "Stige" condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha portato all' arresto di 169 persone, tredici delle quali in Germania. Ed è qui che il clan Farao Marincola aveva creato un suo impero fatto di società, ristoranti, pizzerie, gelaterie, beni per decine di milioni di euro che ieri mattina sono stati sequestrati con la collaborazione delle autorità tedesche.

     

    E quello che non era ancora loro, gli 'ndranghetisti lo stavano conquistando pezzo per pezzo, imponendo i loro prodotti ai ristoratori italiani e non solo. Vino, olio d' oliva, salumi, formaggi, pesce e mandarini tutto doveva essere acquistato nelle quantità e ai prezzi decisi duemila chilometri più a sud.

     

    Anche la pizza era rigorosamente "calabrese". «In città grandi come Francoforte, Dusserdolf e Monaco - ha spiegato il procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto - la cosca aveva il monopolio dei semilavorati per pizza». Anche i commercianti turchi o greci dovevano vendere solo il prodotto della cosca. «Ad uno ad uno gli dico come si deve fare e come non si deve fare», diceva un calabrese residente in Germania al telefono con i parenti: «Vogliono vendere tutto loro, vogliono pulire tutti qua». A Stoccarda come a Wiesbaden, nei ristoranti italiani, non poteva mancare il vino Cirò prodotto dalle cantine del clan.

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    La cosca inviava forniture anche a chi non lo chiedeva e che era poi costretto comunque a pagarlo. Il figlio del boss Farao in un colloquio in carcere racconta al padre: «Il vino papà, il vino in Germania abbiamo guadagnato bei soldi». Tanti e in contanti: «un mazzo così da cinquecento euroeh, li ho messi nello sterzo per portarli». E non solo il vino, ma anche il caffè che avrebbe fruttato guadagni tali da essere paragonato alla cocaina: «il caffè, guagliò, è come la roba bianca».

     

    I prodotti, hanno ricostruito gli inquirenti, sotto la guida del procuratore Nicola Gratteri e dei pm Domenico Guarascio, Fabiana Rapino e Alessandro Prontera, venivano spediti dalla Calabria con vettori locali sprovvisti di autorizzazione. In Germania era stata creata ad hoc anche un' associazione di ristoratori italiani che doveva sponsorizzare solo le "eccellenze" degli affiliati. Per tutti gli altri non c' era spazio: «non gli faccio comprare né salsiccia, né soppressata». In Germania, ieri mattina, le manette sono scattate nei Länder del Baden-Württemberg, in Assia, Renania Settentrionale-Vestfalia e in Sassonia, ma le organizzazioni criminali italiane hanno ramificato anche altrove le loro attività.

     

    GRATTERI GRATTERI

    Attraverso una serie di società commerciali e finanziarie create con lo scopo principale di riciclare il denaro sporco. «Un' attività comune a molte associazioni mafiose italiane attive da queste parti - spiega David Schraven, esperto tedesco di criminalità organizzata e autore del libro "Die Mafia in Deutschland" - Gli appartenenti ai clan, non solo quelli calabresi, operano da in modo invisibile: aprono imprese commerciali, holding finanziarie o imprese edili molto efficienti e apparentemente "pulite", grazie a prestanomi con la fedina penale immacolata». Secondo nuovi dati del BKA, sarebbero almeno 1200 le persone in Germania affiliate ai clan mafiosi italiani. Solo nel settore edilizio gestirebbero un volume d' affari tra i 4 e i 6 miliardi di euro l' anno.

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