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    APOCALISSE DI FUOCO IN PORTOGALLO – GOVERNO SOTTO ACCUSA PER NON AVER CHIUSO LE STRADE MENTRE LA LOTTA CON L’INCENDIO NON E’ ANCORA FINITA - LE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI: "CI SIAMO TUFFATI NELL'ACQUA, VEDEVAMO GLI ALTRI MORIRE. SE L'INFERNO ESISTE, È STATO QUI"  - VIDEO


     
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    PORTOGALLO INCENDIO PORTOGALLO INCENDIO

    Giampaolo Cadalanu per La Repubblica

     

    La vasca di Maria da Conceição è sotto una tettoia, accanto a lattughe e zucchine. L' acqua è chiara e fresca, solo i fili d' erba sul fondo lasciano dubbi sulla sua purezza. Un cartellino avvisa: «Acqua non controllata». Ma per Maria quell' acqua è stata la salvezza.

     

    «Quando è arrivato il fuoco abbiamo avuto paura. Abbiamo chiamato i pompieri, la polizia. Non è venuto nessuno. Ci siamo buttati nella vasca, siamo rimasti lì tutta la notte. Almeno credo. Sono sconvolta, non ricordo nemmeno chi eravamo, lì nella vasca». La signora ha una gamba gonfia per le ustioni, prende fiato, seduta sotto una pensilina dell' autobus.

     

    Accanto a lei è seduto il vicino, Manuel Costa. Si morde le labbra, ma le lacrime affiorano.

     

    «Mio figlio Tiogo è uscito durante l' incendio. Non lo abbiamo ancora trovato. Voleva vedere che cosa era successo al suo camion. È andato con l' auto, ma ha perso il controllo per il fumo, è finito contro un albero. Abbiamo visto la macchina. Lui non si trova».

     

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    La zona di Nodeirinho, sulla strada 236, è una delle più straziate dall' incendio che ha fatto 63 morti nel Portogallo centrale. Solo qui in paese ci sono almeno undici vittime, e c' è chi ha trovato scampo nel serbatoio comunale, come i sei che hanno raccontato al Diario de Noticias la loro avventura: si sono immersi nell' acqua potabile, costringendo poi il comune ad avvertire che «l' amministrazione non è responsabile della qualità dell' acqua ». Insomma, non bevetela ma pensate che ha salvato delle vite. Racconta Maria Pereira, turista arrivata da Cascais: «Abbiamo visto due persone divorate dalle fiamme. Se esiste un inferno, ci siamo stati».

     

    All' incrocio di Barracca de Boavista, pochi chilometri più avanti, José Fonseca mostra le braccia piene di ustioni e invita a credere ai miracoli. Il rogo ha lambito la sua proprietà, ha danneggiato il tetto, bruciato gli aranci e i ciliegi, incenerito la Bmw parcheggiata fuori. Ma quando si stava avvicinando al camion bianco carico di tronchi d' eucalipto, parcheggiato a pochi metri dalla casa, le raffiche di vento hanno fatto indietreggiare le fiamme. «Credevo che fosse arrivato il mio momento. Se il fuoco avesse attaccato quella legna Non so se pensare all' intervento di san Giuseppe, o di Nostra Signora di Fatima ».

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    Dopo l' incrocio, ecco i resti carbonizzati del camion di Tiogo Costa: sotto gli pneumatici ridotti a filamenti metallici, i rivoli delle leghe metalliche si sono già solidificati, ruscelli lucenti che si inoltrano fra i tronchi neri. Dai mozziconi dei pini escono colonne di fumo denso, mentre gli eucalipti, dritti come fusi, sembrano decisi a sopravvivere, spogliati delle fronde e stretti l' uno accanto all' altro. Forse proprio l' abitudine alla coltivazione intensiva, legata al business della pasta di legno per le cartiere, ha avuto un ruolo decisivo nella diffusione del rogo.

     

    «Quando queste foreste producevano il legname e la resina di pino per l' industria navale, ai tempi dei descobrimentos, delle conquiste coloniali al di là del mare, la famiglia reale le faceva controllare per bene. Adesso ogni fazzoletto di terra è coltivato a eucaliptus, non ci sono gli spazi necessari alla sicurezza», commenta un abitante della zona.

     

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    La prova di tutto questo è più in là, dove la 236 è chiusa. I nastri bianco-gialli della polizia chiudono due piccole auto quasi irriconoscibili, forse una Citroen e una Peugeot, bloccate da un tronco caduto e bruciate. È qui che sono morti il piccolo Rodrigo e suo zio, è qui che la campagna mostra i segni più impressionanti. Erba bruciata solo a chiazze, le chiome degli alberi spazzate via, i tronchi vivi: «Ho visto le fiamme saltare e rimbalzare, andavano a una velocità incomprensibile», racconta una guardia forestale.

     

    Il governo è sotto accusa per non aver chiuso per tempo le strade della zona, qualche esperto punta il dito anche contro la parcellizzazione del territorio, che rende difficili i soccorsi.

     

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    Ma nell' autorimessa dei pompieri, a Pedrógão Grande, volontari, scout, militari non se ne curano e si affaccendano con casse di acqua minerale, frutta, scatolette. Vicino al centro di raccolta degli aiuti c' è il monumento ai vigili del fuoco, con due figure che salgono su una scala a prendere una bambina. «Ci servono alimentari a lunga conservazione, tende e coperte per gli sfollati», grida Annabella Coelho, responsabile del centro di raccolta, sotto il rombo di un Canadair che si abbassa sulla diga di Cabril per far rifornimento. La colonna di fumo all' orizzonte dimostra che la lotta non è finita. «L' incendio sta tornando in questa direzione», dice il capo dei pompieri volontari. «Speriamo che si fermi sul rio Zezere. Altrimenti ci resta solo la preghiera».

     

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