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    VIA DEL “CAMP” - ARTIFICIO ESTETICO, ESAGERAZIONE, OPULENZA E ABBINAMENTI ECCESSIVI, E’ LO STILE CAMP, CHE SARA’ CELEBRATO A “METROPOLITAN MUSEUM” DI NEW YORK CON LA MOSTRA “NOTES ON FASHION” - LA DEFINIZIONE, CHE RISALE AL 1964, E’ DI SUSAN SONTAG: L'INTELLETTUALE AMERICANA DESCRIVEVA QUESTO FENOMENO ESTETICO COME AMORE PER L'INNATURALE, L'ECCESSO E L'ARTIFICIO


     
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    Veronica Timperi per “il Messaggero”

     

    lady gaga lady gaga

    Artificio, estetica portata all' esagerazione con abiti opulenti, nudità svelate, abbinamenti eccessivi. In una parola: Camp. Questo termine sarà il protagonista indiscusso del 2019 modaiolo, un trend sopra le righe secondo cui capi e accessori sono belli se eccentrici. Molti di questi, alcuni visti in passerella, altri ripescati dagli archivi delle maison, saranno oggetto della mostra del Metropolitan Museum di New York, dal titolo Camp: Notes on Fashion, che sarà inaugurata il 6 maggio con testimonial d' eccezione come Lady Gaga, Harry Styles e Serena Williams e che il 22 febbraio verrà presentata in anteprima a Milano.

     

    SUSAN SONTAG SUSAN SONTAG

    LE ORIGINI

    L' esposizione, ma anche la definizione stessa di Camp, nasce dal saggio in 58 punti di Susan Sontag Notes on Camp del 1964, in cui l' intellettuale americana descriveva questo fenomeno estetico come amore per l' innaturale, l' eccesso e l' artificio, una sorta di sensibilità disimpegnata che svuota gli oggetti di contenuto per puntare su un' immagine in continua evoluzione, trasfigurata spesso con ironia.

     

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    «La natura dirompente del Camp e la sovversione dei valori estetici moderni sono spesso stati banalizzati, ma questa mostra rivelerà la sua profonda influenza sia sulle più alte espressioni dell' arte sia sulla cultura popolare», ha affermato Max Hollein, direttore del Met.

     

    «Tracciando la sua evoluzione e mettendo in risalto i suoi elementi costitutivi, il percorso incarnerà la sensibilità ironica di questo audace stile, sfiderà la comprensione convenzionale della bellezza e del gusto e decifrando il ruolo che Camp ha avuto nella storia dell' arte e della moda».

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    IL RE SOLE

    La mostra del Met, sponsorizzata da Gucci e realizzata con Condé Nast, esplora, attraverso 175 capi di 37 stilisti, i confini del kitsch esagerato, usato in maniera consapevole e sofisticata nell' arte, nella moda e nei comportamenti con l' obiettivo di affrontare temi pesanti, dalla religione all' ascesa della Cina.Abiti, sculture, disegni e dipinti seguono due percorsi espositivi: il primo sulle origini del Camp, dalla Versailles del Re Sole ai dandy vittoriani fino alla rivolta di Stonewall come espressione della comunità gay e l' avvento delle sottoculture queer dell' Europa e dell' America tra la fine del XIX secolo e l' inizio del XX secolo.

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    Il secondo invece racconta l' opera destrutturante di stilisti come Franco Moschino, Cristóbal Balenciaga, Thom Browne, Jean-Charles de Castelbajac, Jean Paul Gaultier, Prada, Karl Lagerfeld, Saint Laurent, Elsa Schiaparelli, Versace, Vivienne Westwood, Marc Jacobs, Christian Lacroix e Demna Gvasalia e l' uso del trompe-l' oeil, del pastiche, dell' ironia e del teatro.

     

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    DOLLY PARTON

    È sottile la linea di demarcazione tra il Camp e il kitsch, cambia, infatti, solo la prospettiva con cui si guardano l' ambiente e gli oggetti. L' abito-maiale di Walter Van Beirendonck è, in tal senso un' opera d' arte, proprio come la intendeva l' esteta Oscar Wilde, pur nella sua esagerazione e scarsa vestibilità nel quotidiano. I look di John Galliano, opulenti, teatrali e visionari restano iconici per la cultura Camp, un po' come quelli scandalosi della cantante statunitense Dolly Parton regina del Camp made in Usa, in questi giorni celebrata al Grammy Museum di Los Angeles con la retrospettiva Diamond in a rhinestone world: the costumes of Dolly Parton.

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    Le ultime passerelle internazionali hanno poi messo un sigillo a questo fenomeno estetico facendolo diventare tendenza. A partire dalle collezioni di Alessandro Michele per Gucci che, da quando è diventato direttore creativo ha sdoganato alcuni rigidi canoni stilistici della maison disegnando capi dall' anima genderless, fluida, e accessori altresì ai limiti del buon gusto. E spesso il Camp sconfina nel trash.

     

    L' imporsi di questo fenomeno stilistico dimostra come la massificazione nella moda porti all' esigenza di rompere gli schemi estetici attraverso soluzioni stravaganti e provocatorie. E a volta la provocazione può anche aiutare la creatività ed essere fruibile da tutti. Come disse Lawrence d' Arabia «l' eccesso nel senso migliore della parola, è indispensabile alla grande arte». Sarà il Camp a salvarci?

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