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    BERTOLUCCI MEMORIES - L’INTERVISTA A BARBARA PALOMBELLI NEL 2005: ‘COL SUCCESSO MONDIALE DI ‘ULTIMO TANGO’ DIVENTAI ANCHE UN PO’ MEGALOMANE. NEL 1969 PRESI LA TESSERA ADEL PCI, E INIZIAI ANCHE LA MIA LUNGHISSIMA PSICOANALISI, CHE CONTINUA TUTTORA’ - ‘NEL 1989 GIRAVAMO IN AFRICA ‘IL TÈ NEL DESERTO’. ARRIVA UN FAX DI MIA MOGLIE: ‘È CADUTO IL MURO DI BERLINO’ E JOHN MALKOVICH MI CHIEDE ‘COME CI VESTIREMO, DOPO LA CADUTA?'’’


     
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    Dal libro ‘’Registi d’Italia’’ di Barbara Palombelli (Rizzoli, 2006), intervista pubblicata sul ‘Corriere della Sera’ del 23 luglio 2005

     

    bernardo bertolucci bernardo bertolucci

    «L'Italia ha perso una grande occasione, dopo Tangentopoli: doveva fare un vero esame di coscienza, capire come mai siamo tutti immersi in un paesaggio affollato di figure corrotte, complici di un sistema che va dalle piccole mance per piccoli favori alle grandi tangenti per grandi appalti. Era questa la rivoluzione morale che tanti avevano immaginato? D'altra parte, agli italiani non si addice l'affermazione della verità storica: ancora oggi, sulla data fondante della nostra Repubblica, il 25 aprile 1945, non siamo stati capaci di vedere i fatti con il distacco necessario.

     

    Lo scoprii alla prima proiezione del mio Novecento, un film in cui raccontavo una saga familiare a partire dalla nascita del comunismo in Emilia Romagna. Eravamo nel 1976, in pieno compromesso storico e mi sembrava di dover celebrare un rito, pensavo di rendere omaggio alla storia del Pci. “Paese Sera”, quotidiano comunista romano, organizzò un dibattito con lo storico Paolo Spriano e Giancarlo Pajetta. Alla fine del primo tempo, Pajetta, entusiasta, mi abbracciò. Poi, vedendo le immagini della Liberazione, in cui mostravo anche le vendette private, i processi popolari contro i fascisti, si alzò furioso e se ne andò gridando: “Mi rifiuto di partecipare”.

    bertolucci ultimo tango vanity fair 3 bertolucci ultimo tango vanity fair 3

     

    Giorgio Amendola disse che il film era bruttissimo. La Fgci di Walter Veltroni, invece, mi appoggiò. Da allora, la mia tessera del Pci, presa nel 1969 contro l'estremismo filocinese della sinistra extraparlamentare, proprio nel momento in cui ci fu la rottura del partito con il gruppo del “manifesto”, si è andata via via scolorendo... Alla metà degli anni Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a vivere più all'estero che qui. Oggi, mi pare di non avere più trasporto politico per nessuno: salverei soltanto Veltroni, perché è capace di guardare al futuro senza dimenticare le radici in cui tutti amiamo riconoscerci.»

    bernardo bertolucci bernardo bertolucci

     

    Bernardo Bertolucci abita da più di trent'anni a Trastevere, all'interno di una specie di «riserva romana» per giornalisti, intellettuali, scrittori, attori, registi. Un comprensorio – di proprietà dei principi Torlonia – che Fernanda Pivano ha celebrato in una delle sue opere più divertenti, La mia casbah. Nel grande salone silenzioso, un'intera parete ospita lo schermo per il cinema in casa, sulle altre vedo dei quadri di Bernardo Siciliano, figlio di Enzo e pittore ormai affermato. «Sono stato suo padrino di battesimo, porta il mio nome, gli ho consigliato di andare a dipingere e studiare negli Stati Uniti». Bertolucci è credente? «No» ride, «sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Buñuel.»

     

    giancarlo pajetta napolitano berlinguer giancarlo pajetta napolitano berlinguer

    Nato a Parma nel 1941, il regista ha vissuto fino a dodici anni in campagna, in una casa che «da quando è morto mio padre (Attilio, grandissimo poeta) non ho più il coraggio di rivedere». Arrivato a Roma, nuovi amici, nuovo quartiere borghese – Monteverde Vecchio – nuova casa al quinto piano in via Carini, dove ha abitato fino a pochi mesi fa sua madre, Ninetta Giovanardi. «Se ne è andata a novantatré anni ed è rimasta fino all'ultimo perfettamente lucida». Bertolucci confida di sentirsi ancora «totalmente figlio. I miei genitori hanno costruito un incantesimo, nel quale mi sento tuttora immerso. Anche per questo, forse, non sono mai diventato padre».

    VELTRONI PASOLINI VELTRONI PASOLINI

     

    Il rito di iniziazione alla regia ha luogo proprio in via Carini. E domenica pomeriggio, alle tre, ora del riposo. «Avevo quattordici anni, vado ad aprire, vedo un giovane vestito a festa, con un ciuffo strano. Chiedo: “Cosa vuole?”. È lui: “Cerco Attilio Bertolucci, sono Pier Paolo Pasolini”. Mi spavento, gli dico di aspettare, lo lascio fuori, chiudo il portone. Vado da mio padre e gli racconto: “C'è un tipo strano, ho paura che sia un ladro”.

     

    E papà: “Ma no, è un poeta, fallo entrare”.» Pier Paolo porta sua madre Susanna ad abitare al primo piano di via Carini e Bernardo – da giovanissimo aspirante poeta – scende le scale di corsa per far leggere le sue creazioni all'amico più grande, «è stato un innamoramento adolescenziale, totale. Quando avevo diciassette anni, sempre sui portone di via Carini, un giorno Pier Paolo mi chiede: “Vuoi fare il mio aiuto regista in Accattone?”. Io ribatto: “Ma non lo so fare”, e lui a me: “Nemmeno io”. In quel periodo, ho assistito all'invenzione del cinema, giorno per giorno, una scuola unica».

    moravia a sabaudia moravia a sabaudia

     

    Pasolini porta il giovane Bertolucci a cena con i suoi amici Alberto Moravia e la moglie Elsa Morante, «siamo usciti tutte le sere insieme, per tre anni. Il giro dei ristoranti romani: Carbonara, Matriciano, Augustea, con Elsa che puntava all'assoluto, Alberto pragmatico e Pier Paolo che mediava negli scontri furiosi fra i due. Con Moravia e mio padre, ricordo una bellissima gita a Sabaudia nel 1958: ci sedemmo al caffè sotto i portici, mio padre e Alberto vomitavano sull' orribile architettura fascista. Tornai dopo vent'anni per girare La luna e la trovai meravigliosa. Anche Alberto, che si era costruito una casa sulle dune con Pier Paolo, aveva cambiato idea. Eppure, anche quando girai Il conformista, scegliendo di ambientare molte scene all'Eur, il quartiere progettato dal regime, ricordo che fu considerato un gesto scandaloso». Lo scandalo assoluto che consacra Bernardo Bertolucci è Ultimo tango a Parigi, con Marlon Brando e Maria Schneider, un film che – dopo denunce e sequestri – finì al rogo.  «Soltanto Marco Pannella mi è stato vicino, in quel periodo.»

    bertolucci e marlon brando bertolucci e marlon brando

     

    Il successo mondiale di quella storia dà al regista, «la possibilità di girare quello che volevo, di scegliere i migliori attori del mondo, diventai anche un po' megalomane. Vedi, nel 1969 non avevo preso soltanto la tessera del Pci, avevo anche iniziato la mia lunghissima psicoanalisi, che continua tuttora. Nei primi dieci anni, è stato un grande stimolo per il lavoro, passavo dall'analisi dell'esperienza alla comunicazione. Dopo, mi hanno aiutato gli anni in Oriente, lo studio della cultura cinese, del buddhismo».

     

    Nel 1986, è Bettino Craxi – nel corso del viaggio in Cina del governo italiano – a ottenere per Bertolucci l'autorizzazione a girare all'interno della Città Proibita a Pechino alcune sequenze dell' Ultimo imperatore. «Avevo conosciuto Craxi ad Hammamet, lo ricordo mentre cantava “A modo mio, avrei bisogno di carezze anch'io”, con Bobo alla chitarra. Era un uomo molto intelligente, ma lo giudicavo molto pericoloso».

    BERNARDO BERTOLUCCI - JEAN LUC GODARD - PIER PAOLO PASOLINI BERNARDO BERTOLUCCI - JEAN LUC GODARD - PIER PAOLO PASOLINI

     

    La dimensione politica e la trasgressione privata, come in Visconti e in Pasolini, s'intrecciano in tutte le vicende narrate da Bertolucci. Fin da Prima della rivoluzione, con Adriana Asti (1964), storia di un giovane borghese che diventa comunista e corteggia la zia, salvo poi rientrare nei ranghi. Un film che Angelo Rizzoli senior decide di distribuire in un pomeriggio. «Lo chiamai al telefono, riuscii a parlargli, gli spiegai che per me quel film era una questione di vita o di morte, che entro quattro ore dovevo incontrarlo e lui disse: “Ma venga pure, giovanotto!”».

     

    BERTOLUCCI PASOLINI E FRANCO CITTI BERTOLUCCI PASOLINI E FRANCO CITTI

    Privato e pubblico, Pci e Freud, alto e basso, raffinatezza e superstizione, grandi attori e piccole storie, oppure kolossal in costume e attori bambini: i contrasti nell'arte del regista scatenano la sua passione. Ma i capolavori e i successi non hanno mai attenuato la dolcezza ironica che è il segno più forte della personalità di Bertolucci, un calore che ti avvolge quando racconta dettagli e ricordi come questo: «Giravamo in Africa Il tè nel deserto, nel 1989, arriva un fax di mia moglie Claire che annuncia: “È caduto il muro di Berlino” e John Malkovich mi chiede: “Come ci vestiremo, dopo la caduta?”».

     

    Il pomeriggio estivo lascia filtrare le luci del tramonto, è finita la nostra pausa dalle paure contemporanee. «Claire èa Londra, abbiamo una casa lì. E sono sempre in ansia per lei.» Lascio l'appartamento di Trastevere e il suo inquilino, che torna al lavoro per il prossimo film: di nuovo da un grande romanzo, di una scrittrice americana, «di più non posso dirti».

    BERNARDO BERTOLUCCI CLAIRE PEPLOE BEATRICE CARACCIOLO BERNARDO BERTOLUCCI CLAIRE PEPLOE BEATRICE CARACCIOLO bernardo bertolucci john malkovich il te nel deserto bernardo bertolucci john malkovich il te nel deserto john malkovich debra winger il te nel deserto john malkovich debra winger il te nel deserto john malkovich il te nel deserto john malkovich il te nel deserto

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